
fight club. il più controverso film di fincher. il più chiacchierato. per alcuni anche il più sopravvalutato. in verità alla sua uscita spaccò la critica e fu pressoché ignorato dal pubblico. il suo culto si è fatto strada nell'home-video e nel passaparola. è indubbiamente un film che resterà, ma condivide con gli altri film dell'annata 1999 - un anno galvanizzante per il cinema made in usa: the matrix, american beauty, magnolia, three kings, essere john malkovich - pregi e difetti della hollywood contemporanea
mi piace la lettura che ne ha dato lo stesso fincher: fight club è un coming of age ma per degli spettatori trentenni. il suo ritratto di una generazione frustrata, alienata, abbandonata (materialmente e spiritualmente) è ancora oggi attuale, basterebbe giusto aggiornarlo alla tecnologia sempre più pervasiva nelle nostre vite quotidiane. è un film mainstream che osa, con grandi quantità di cinismo, nichilismo, ambiguità morale ed ideologica (si sprecano le accuse di fascismo). ma è pur sempre un film hollywoodiano e come tale si pone dei freni quando rischia di spingersi troppo oltre: come ad esempio quando si mette in piedi una organizzazione paramilitare che un po' richiama i black block di seattle con le loro attività sabotatrici, un po' ricorda le milizie neonaziste, un po' i militari fanatici dell'esercito usa, ma non si ha il coraggio di mostrare le reali conseguenze degli atti, nessuno si fa mai male per davvero, mai che un innocente finisca coinvolto in alcuni di questi attentati o pseudo tali. ci si ferma un secondo prima di alienarsi le simpatie del pubblico, prima di diventare troppo sedizioso
al netto di questi peccati di gola, fight club sta alla generazione dei "figli di mezzo della storia" come il laureato sta a quella dei 60 e gioventù bruciata a quella dei 50. un film di soli maschi sulla crisi del maschio occidentale, alienato, indebolito, annoiato dalla società dei consumi. la risposta di tyler durden alla non-vita del protagonista è riappropriarsi del controllo della propria vita riscoprendo/riaffermando la propria mascolinità originaria attraverso la violenza, fino all'(auto)distruzione. irriverente, irresponsabile, provocatorio come il bellissimo finale che lascia volutamente irrisolto il film, anche sul piano ideologico. nello scontro di bravura tra i due attori protagonisti, per me vince ai punti brad pitt: è vero che è suo il ruolo iconico e carismatico del film, ma è vero che lo interpreta senza remore o paure da superstar, tuffandosi nel personaggio con la fame di un attore all'esordio. è l'attore perfetto per il ruolo perché come tyler durden incarna tutte le contraddizioni ideologiche di fight club: bello come un adone predica l'autodistruzione e l'automacerazione, si riempie la bocca di tirate anticapitalistiche mentre i fantamiliardi ingrossano il suo conto in banca, predica la rivolta contro i consumi e poi costruisce la propria rete di fight club sul modello del franchising industriale
nelle sue contraddizioni sta la forza del film, ma ovviamente anche la sua debolezza per i critici. la verità la dice tyler in uno dei suoi ultimi scambi di battute con il protagonista senza nome: "non sono io che mi sono costruito un alter ego perdente per sentirmi meglio". chi lo farebbe? nel costruirsi il suo alter ego il protagonista lo crea secondo gli stereotipi piacenti e vincenti della nostra società: crea brad pitt. e chi non vorrebbe essere brad pitt? fight club celebra la rivincita sul mondo degli esclusi, degli incompresi, dei deviati, ma lungi dall'essere una rivoluzione all'insegna della giustizia e dell'altruismo, è soltanto una soddisfazione di bisogni e pulsioni primarie, primitive. violenza. caos. perché la verità è che l'unica cosa a cui aspira la vittima del bullo, è soltanto avere la forza per abusare e sopraffare chi è più debole di lui, trasformarsi quindi a sua volta in bullo. è quello che vediamo accadere quotidianamente in internet, dove folle di nickname senza volto si accaniscono sulla preda di turno per il pubblico ludibrio. o le numerose stragi americane parlano chiaro in questo senso. in fondo tyler è una fantasia proprio perché può agire libero da tutti quegli impedimenti che nella vita di tutti i giorni subiamo ed esperiamo, e che ci impediscono di vivere come veramente vorremmo