Dopo cinque anni dall'ultimo disco, e passati attraverso quella pandemia in cui sembrava essere diventato uno spettro - Calcutta come Contessa, non pubblica più dischi - eccoci a commentare il nuovo album di uno dei migliori cantautori della sua generazione.
Partiamo dai lati negativi, i testi hanno perso la brillantezza spiazzante, le metafore e i correlativi oggettivi ridotti all'osso, le tematiche, spesso amorose, si raccontano in uno scheletro descrittivo che tradisce a volte qualche banalità; la musica, di pari passo, si è lasciata alle spalle il gusto per le dissonanze, ma non, e qui passiamo ai lati positivi, quello per le soluzioni armoniche, i cambi attorno a cui ruotano i ritornelli, o quei salti d'ottava che fanno partire il karaoke mentale, un marchio di fabbrica che funziona ancora.
Calcutta è un po' meno Calcutta e un po' più un prototipo it-pop, ma è ancora vivo, ti parla ancora, forse un po' meno di prima, ma va bene così. Insomma relax, Calcutta c'è.
(Se poi chiama a fargli il video uno dei miei artisti preferiti, ossia Luis Sal, divento anche più buono)