Stessa opera, doppio spettacolo.
La prima trasposizione di un testo di Williams e quella che puo' sostanzialmente essere considerata l'ultima.
Vista l'ambientazione newyorkese e' per altro una delle sue opere meno sudaticcie.




1950 The Glass Menagerie (Lo zoo di vetro) di Irving Rapper
Il Tram di Kazan sarebbe arrivato solo un anno dopo, ma sembrano film di due diverse ere. Fotografia, musica, regia dello specialista Rapper, tutto era ancora nello stile antinaturalistico e trasognato degli anni 40. Williams stesso diede un taglio piu' ottimista a un testo autobiografico in origine ben piu' amaro. Ne usci' un commovente filmone d'altri tempi, quasi dickensiano, dolcemente immalinconito dalla voce narrante che, declinando la storia al passato, dava al tutto un sapore di cose perdute. E' comunque la descrizione di un conflitto generazionale, quello tra una madre resa insopportabile dal suo amore soffocante e i suoi due figli, angosciati dalla meschinita' materna e in cerca di una via di fuga dalla vita in generale. In un certo senso erano gia' "ribelli senza causa", ma doveva arrivare un'altra generazione di attori perche' quella tensione trovasse la sua giusta incarnazione, soprattutto per quanto riguarda gli interpreti maschili: Arthur Kennedy (comunque grandioso) e Kirk Douglas che facevano i "giovani" erano ultratrentenni e sembravano dei quarantenni. Anche se pure lei aveva gia' 33 anni, perfetta invece Jane Whiman nei parti della timida zoppa sognatrice, adorabile incarnazione d'innocenza.




1987 The Glass Menagerie (Lo zoo di vetro) di Paul Newman
Bellissimo e sottovalutato, come sottovalutata e' stata la minuscola carriera registica di Paul Newman. In un certo senso un film pienamente anni 80, che riportando Tennessee Williams al cinema dopo molti anni di assenza si inseriva sia nel revival anni 50, sia nel filone neo-classico allora imperante e oggi rimosso dall'immaginario. (Era lo stesso anno di "The Dead" di Huston e "Le balene d'agosto" di Lindsay Anderson, tanto per citare due titoli ai tempi venerati e che oggi nella considerazione generale finiscono molto sotto a "Balle spaziali" e "Beverly Hills Cop II".) E' un film 80s anche in un senso piu' obliquo, un'opera postmoderna sul ricordo di un ricordo, con quell'atmosfera autunnale e da realismo quasi-magico che era trasversale a tantissimo cinema di quegli anni; non sempre era un pregio, anzi, ma in questo caso lo era. Rispetto al film del '50 Newman mantiene l'unita' di luogo teatrale e fa emergere tutta l'amarezza della vicenda, ma chiudendo la sua trilogia di spietati ritratti femminili affidati al talento della moglie (uno per decennio, uno piu' bello dell'altro: "Rachel, Rachel" del '68 e "Gli effetti dei raggi gamma sui fiori di Matilda" del '72) si nota una maggior tenerezza e comprensione verso il personaggio della madre.