Non so per quale ragione, forse per masochismo, ho scelto che il mio primo disco del 2022 dovesse essere questo. D'altra parte, l'esordio di questa band era stato uno dei miei album preferiti dello scorso anno... Ma di fiducia nella nuova opera ne avevo pochina.
La partenza mi ha fatto sperare di aver preso un abbaglio: un'intro minimal/festante, un pezzo degli Arcade Fire come gli Arcade Fire non ne fanno più da troppo tempo, un altro bene o male in scia (ma meno entusiasmante). Sì, la voce è debole, il songwriting non è davvero pervenuto, ma l'effetto è comunque convincente. Bravi, dai!
Poi però il gioco cambia, la voce si fa più prominente e più nociva, le atmosfere (se di atmosfere si può parlare) diventano un semplice sottofondo alla nenia monocorde e baritonale del novello Ian Curtis, che ammazza l'una dopo l'altra le sporadiche buone intuizioni dei pezzi. I crescendo riescono nell'impresa assai ardua di alzare la pienezza strumentale senza aumentare in alcuna maniera la capacità evocativa dell'insieme. Che noia. Hanno una bella idea del suono, vecchiotta sì ma intrigante; certamente sono dei pesci fuor d'acqua nel contesto di quel post-post-punk in cui a forza li si vuol far rientrare... Ma sembrano non accorgersene. In tanti pezzi paiono i Croma senza colori e senza idee. Altrove, i Godspeed You! Black Emperor in versione apatica, o gli American Football col pilota automatico. Giusto in "The Place Where He Inserted the Blade" qualcosa si smuove e la voce appare in qualche maniera espressiva (non ho detto ben impiegata). Un po' poco.
A fine album è ripartito colla riproduzione automatica un pezzo dal disco prima: un altro pianeta.
Spero davvero che senza cantante si diano una svegliata. Intanto io qualche riascolto rispetto a quelli già spesi glielo darò senz'altro, sai mai che riesca a sviluppare un'efficace sordità selettiva alle cose che non mi van giù. Dopotutto, strumentalmente episodi come "Good Will Hunting" e "Haldern" sono niente male.