Archers of Loaf – Archers of loaf vs the greatest of all time 87/100
17 minuti ispirati tanto quanto Icky mettle, di cui è fondamentalmente una costola. In ambito indie anni 90, tra i pesi massimi
Blue Oyster Cult – Blue Oyster Cult 91/100
Meno ricordati e meno appariscenti di altri dinosauri hard rock, ma assolutamente tra i capisaldi del genere. Brutti come la fame, rozzi ma potenti e capaci di momenti persino dolci (Redeemed, l’intermezzo semijazzato in Before the kiss, a Redcap).
Eleventh dream day – Lived to tell 90/100
Minchia quant’è rovente sto disco, non me l’aspettavo. Estremamente chitarristico, chitarre che paiono andare in fiamme tra slide e assoli. Se mi concedete una metafora indegna, sembrano una versione Gunclubiana dei Low
Lonnie Holley – MITH 83/100
La sua vita è un film. Questo disco, mastodontico, è complesso e stratificato e difficile, molto difficile da metabolizzare, ancor più difficile da inquadrare. Una sorta di soul sperimentale, che assembla, mastica e sputa elementi come synth, batterie jazz, percussioni e bassi spessi, però non esiste un genere che possa inquadrare il tutto. In realtà, il focus totale è la voce di Holley, una sorta di Van Morrison - attenzione, paradossalmente il confronto è al contrario: è Van che è negro dentro pur essendo un irlandese bianco come una scamorza - Black Lives Matter (album spirituale e molto, molto politico) coperto da troppa cenere e fumo di tubi di scappamento che semplicemente fa di tutto:intona, sputa, fischia, piange, ride, vive
ILL – We are ILL 79/100
Band giovanissima, inglese, tutta al femminile. Esordio che tre anni fa The Quietus mise nelle posizioni alte, e quindi l’ho preso. Un interessante esercizio punk funk/B52s che unisce puntini apparentemente lontani come certi fuzz dei Cramps e certe distorsioni no wave.Quel che manca forse è il guizzo totale, in quanto pare un po’ tutto già sentito e pedissequo, ma hanno stoffa.
IOSONOUNCANE – DIE 84/100
Ok è sardo, ma è uno di quei casi in cui ascolti e vedi ed odori la Sardegna: le pecore puzzolenti, le montagne selvagge, gli sprazzi di natura selvaggia ancora intatti, il mare e il vento tra i rovi, il sole accecante. Un flusso di coscienza onirico ed abbagliato, sicuramente un figlio interrotto di Anima Latina continuamente staffilato da complicazioni ed ingarbugliamenti prog (più mentali che reali). Una bella esperienza.
Pink Fairies – Never never land 92/100
Disco bellissimo, travolgente ma trasognato.
Rolling Blackouts Coastal Fever – Hope downs 84/100
Esercizio power pop stilisticamente perfetto. Un difetto se devo trovarlo è il non osare troppo con la chitarra: nel mio pezzo preferito, Exclusive grave, invece si lasciano andare e si vede che ci sanno fare.
Ben Seretan – Youth pastoral 78/100
Sempre più lontane le reminiscenze Dinosaur Jr del disco d’esordio a favore di un indie rock molto più liquido e ragionato, pur non venendo meno l’uso della chitarra. La voce è sempre ai limiti della stonatura, l’equilibrio è sottile ma c’è: Ben Seretan continua ad essere il bravo ragazzo amico del mondo ed uno da seguire (pare che Pitchfork l’abbia fatto).
Tv on the radio – Seeds 73/100
Ridendo e scherzano, non li ho mai abbandonati. Il loro disco meno bello, la sensazione di pilota automatico è forte. Si penda Winter: azzeccano il riff super rock super saturo, e lo perpetuano dall’inizio alla fine invece di piazzarci una cazzo di chiusa tipo assolo stratosferico o coda noise (avete presente Monomania dei Deerhunter?). Vabbè, gli voglio bene, e comunque non deludono.
Mothers of invention – Uncle Meat 95/100
Probabilmente il picco di contaminazione tra l’emisfero destro (l’art rock ridicolo, lo sbeffeggio continuo della musica americana, l’assoluta non volontà di essere lineari) e quello sinistro (la musica bandistica). Due considerazioni: a) Zappa se solo lo avesse voluto, sarebbe potuto essere un Gershwin, un genio compositore “classico”; b) usa fin troppo poco la chitarra, mi piacerebbe ascoltare un suo disco basato su questa; se c’è me lo consigliate?
Bugo – Golia & Melchiorre 75/100
Un disco elettr(on)ico fatto di pura idiozia e però tanto ispirato e godibile, sempre col santino di Beck sul comodino, ed uno acustico troppo altalenante, in certi momenti ai limiti dell’amatorialità, che semplicemente alterna cosa brutte (Hyperblues, Amen) ad altre belle (Che diritti ho su di te?, Quando vai via). Pensare che all’epoca ospitava gente come Rico degli Uochi Toki e Bruno Dorella mentre ora son due anni che va a Sanremo a rendersi ridicolo, beh, fa male.