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Francesco Guccini


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187 replies to this topic

#101 Twin アメ

    pendolare pre post attilio lombardo

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Inviato 21 settembre 2017 - 11:04

 

Non so nulla del personaggio e della persona Guccini e vi chiedo, che rapporti aveva Guccini con gli altri contautori? Perché per esempio "prendersela" con De Gregori (altro autore che sto ascoltando tantissimo ultimamente)? 

 

 

Non ti sono d'aiuto, solo una curiosità, anch'io proprio in questi giorni sto ascoltando Guccini e De Gregori per la prima volta in vita mia asd

 

#postconcoincidenze


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“Era un animale difficile da decifrare, il gigante di Makarska, con quella faccia da serial killer e i piedi in grado di inventare un calcio troppo tecnico per essere stato partorito da un corpo così arrogante." (Marco Gaetani  - UU)

 


#102 Tom

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Inviato 21 settembre 2017 - 11:08

A parte che le critiche ai colleghi e il chiamarsi fuori era un classico dell'epoca, penso che Guccini ci si riconoscesse e ci credesse parecchio nella scuola dei cantautori, quindi viveva male un certo "darla via" dei colleghi, soprattutto di quelli che sentiva piu' vicini, anagraficamente e artisticamente, come appunto quelli esplicitamente citati. Pur, beninteso, non essendo lui certo uno di quelli che predicava la poverta' artistica, anzi gli dava parecchio fastidio il francescanesimo freakettone alla Enzo Del Re.

Con De Andre' erano amici e la frecciata sui suoi concerti "borghesi" alla Bussola di Viareggio era piu' uno scherzo tra di loro. Le frecciate a Venditti ("la povera infelice" e' Lilly) e a De Gregori erano invece piu' sentite.


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#103 lazlotoz

    Enciclopedista

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Inviato 21 settembre 2017 - 11:33

Però uno come De Gregori in quegli anni "l'ha data via"? 

Cioè alla fine è sempre la cosa del "non è più come una volta, non è quello dei primi dischi, si è venduto" è un fatto costante. Che alle mie orecchie di oggi, un disco come Bufalo Bill (stesso anno di VPF43) non è proprio attiguo al concetto di commerciale... non hai bisogno certo che ti dica la tracklist, ma per ribadire:

 
Lato A
Bufalo Bill – 4:29
Giovane esploratore Tobia – 3:25 (musica: Lucio Dalla, Francesco De Gregori)
L'uccisione di Babbo Natale – 2:50
Disastro aereo sul canale di Sicilia
Ninetto e la colonia – 2:52
 
Lato B
Atlantide – 3:41
Ipercarmela – 3:07
Ultimo discorso registrato – 3:28
Festival – 4:34
Santa Lucia – 3:21
 
 
Non è che il Guccini prese un abbaglio bello grosso? Oppure mi perdo qualche cosa (specie magari se ci son storie personali lì in mezzo, di cui non so francamente nulla).
 
 
Di Venditti non parlo perché non ho mai ascoltato un suo disco. E a pelle mi è sempre stato antipatico, quindi mi sta bene che Guccini se la prendesse con lui (e mi pare pure De Gregori dicesse a lui: è un pianista di piano bar vende a tutti tutto quel che ha)

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#104 PinkFreud

    Jung Last

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Inviato 21 settembre 2017 - 11:40

sarà , ma Compagno di Scuola non non l'ha scritta  nè Guccini nè De Gregori. asd


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Ja196z8.jpg

superstereo!

*lastfm*

 

 


#105 Tom

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Inviato 21 settembre 2017 - 11:54

Però uno come De Gregori in quegli anni "l'ha data via"? 
Cioè alla fine è sempre la cosa del "non è più come una volta, non è quello dei primi dischi, si è venduto" è un fatto costante.

 
Ma un po' si', forse. Credo che all'epoca Guccini vedesse il cantare e suonare ancora come un'attivita' che doveva restare una cosa svagata e bohemien, di cui rifiutava il lato piu' professionale. Voglio dire, questo era Guccini "in tour" all'epoca...

 

 

E' stato proprio il successo di "Via Fabbri" che gli ha poi imposto un approccio piu' lavorativo e contrattoso.
 

Comunque, cosi' dice lui...
In Via Paolo Fabbri ci sono tre eroine della canzone italiana: due evidenti ("Alice e Marinella"), una piu' nascosta ("la piccola infelice", cioe Lilly). Frecciatine rivolte a De Gregori, De Andre', Venditti. Mi sembrava avessero accettato piu' facilmente di me anche gli aspetti negativi di questo mestiere. Io ho impiegato piu' tempo.


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#106 lazlotoz

    Enciclopedista

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Inviato 21 settembre 2017 - 12:08

 

Comunque, cosi' dice lui...
In Via Paolo Fabbri ci sono tre eroine della canzone italiana: due evidenti ("Alice e Marinella"), una piu' nascosta ("la piccola infelice", cioe Lilly). Frecciatine rivolte a De Gregori, De Andre', Venditti. Mi sembrava avessero accettato piu' facilmente di me anche gli aspetti negativi di questo mestiere. Io ho impiegato piu' tempo.

 

 

Insomma, ha capito che andava bene anche per lui di aver le tasche piene e non solo i coglioni. 

 

asd


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#107 Mr Repetto

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Inviato 21 settembre 2017 - 12:10



sarà , ma Compagno di Scuola non non l'ha scritta  nè Guccini nè De Gregori. asd

L'ha scritta JOhn Lennon infatti  ashd

 

Scherzi a parte, a me non dispiace come pezzo, anche se per me i suoi capi sono altri, da Roma capoccia a   https://www.youtube....?v=6HsiVZeImi4    :wub:


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#108 lazlotoz

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Inviato 21 settembre 2017 - 12:15

sarà , ma Compagno di Scuola non non l'ha scritta  nè Guccini nè De Gregori. asd

In che senso?

 

(non conosco quel pezzo)


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#109 lazlotoz

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Inviato 21 settembre 2017 - 12:38

 

 

 

Piccolo OT, anche da Adesso tutti sanno che.

 

Ho scoperto ora che Paolo Pietrangeli è il regista di C'è Posta per te e di Amici di Maria de Filippi. 

 

Anche lui ha capito quella roba là delle tasche e dei coglioni  :fear:


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#110 Mr Repetto

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Inviato 21 settembre 2017 - 12:42

 

sarà , ma Compagno di Scuola non non l'ha scritta  nè Guccini nè De Gregori. asd

In che senso?

 

(non conosco quel pezzo)

 

Ma è impossibile che non la conosci. Forse ha scritto male MaxPower, il titolo corretto è "Compagno di scuolaaaaAAAAAA"

 


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#111 lazlotoz

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Inviato 21 settembre 2017 - 12:57

Ascolto per la prima volta in questo momento mentre scrivo.

A me lui sta proprio antipatico, ha una voce di uno niente sincero. Però 'sto pezzo non fa mica schifo.

 

Però non conosco eh, è proprio un fatto epidermico.


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#112 lazlotoz

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Inviato 21 settembre 2017 - 20:09

 

Però uno come De Gregori in quegli anni "l'ha data via"? 

 

 

Dove vai? Quanti soldi ti hanno dato,
 
quanti sogni e quanti anni?
 
Dove vai?
 
La tua cella è un po' più stretta ma ti pagano di più.
 
 
 
sì forse pure lui se la sentiva...

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#113 Tom

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Inviato 17 gennaio 2018 - 17:54

*
POPOLARE

(Da qui al 2030 dovrei finire.)

GUCCINIADE SETTIMA
OVVERO ADESSO NEANCHE QUEL BUFFONE CHE TU ERI È RIMASTO SOLO A PIANGER DIVERTITO


"Il disco che più ho odiato nella mia vita", "Fu terribile [registrare il disco]", "Era lungo da morire", "Lo incisi in situazioni psicologiche difficili", "Al tempo, Pier [Farri, il produttore] era fissato con l'esotismo, le marimbe. Ares Tavolazzi, il bassista, se ne andò quando Pier gli chiese di eseguire "un suono giallo"... cazzo voleva dire?".

1974d.jpg

1974 Stanze di vita quotidiana

Chissà se qualcuno poi gli l'ha mai spiegata, al Guccini, che quel "suonare giallo" era una citazione di "Trout Mask Replica". E' che dietro le quinte del sesto album andó in scena una specie di dramma o farsa generazionale: l'anticonformismo temperato di un trentaquattrene con i piedi nelle scarpe degli ideali degli anni 60 contro il freakettonismo a piedi scalzi degli anni 70, in questo caso sponsorizzato dalla figura del produttore Pier Farri. Particolarmente memorabile nell'aneddotica gucciniana la sfilata di collaboratori, uno più stramboide dell'altro, che Farri fece scorrere in studio davanti al sempre piu' irritato autore. Agevolo.

Mandrake
ma.jpg
"Un giorno, sono lì con Vince Tempera, e di Pier nemmeno l'ombra. A un certo punto, molto tardi, entra, ma non è solo. Con lui c'è un percussionista brasiliano di nome Mandrake, un megalomane con le unghie a punta e smaltate, uno che doveva presentarsi tutti i giorni in questura perché era in libertà vigilata, accusato di aver spacciato non ricordo bene cosa. Un tipo comunque assolutamente improbabile. Con lui incidemmo sei chili di nastri senza ottenere alcun risultato. E intanto passavano i mesi."

Toni Marcus
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"Dopo Milano, ancora Roma. E lì ci raggiunge quella pazza scatenata di Toni Marcus, violinista di Alan Sorrenti protagonista di un bellissimo episodio che già da solo sarebbe dovuto bastare a inquadrare il personaggio. Aveva seguito Sorrenti a Londra, credo per le registrazioni di un disco, e, al suo ritorno aveva preparato la nota spese: pasti, trasferimenti, taxi, metropolitana, marijuana... Quando le fecero notare che la droga non sarebbe stata rimborsata a più di lista, lei si stupì molto."

Il guru
crumb.jpg
"Il secondo giorno, Toni arriva in studio in ritardo e dice, rivolta a noi che eravamo già bell'e pronti a suonare e un po' infuriati dall'attesa: Scusate ma devo assentarmi per un paio d'ore perché devo andare all'aeroporto a prendere il mio guru. Nel 1974 di guru in giro ce n'erano pochissimi, non come adesso che vanno anche in televisione. Noi ci guardiamo attoniti e diciamo: Un guru?; poi, rassegnati, riponiamo gli strumenti e diciamo: Vada per il guru. Che ti arriva due ore dopo. Fuori, un freddo polare. Lui quasi nudo, vestito di cotone bianco, con la faccia assente ma che lascia intendere profonda saggezza, come si conviene ai guru. Con sé aveva due tabla. Immaginati Pier Farri. Vede i tabla e non capisce più niente. E' di questo che avevamo bisogno per "Canzone delle osterie di fuori porta" tuonò con saggezza forse trasmessagli dal guru. E mise lui a suonarli. Io volevo morire. Ancor di più quando si trattò di spiegargli che doveva suonare in 3/4. Lui nemmeno sapeva che cosa fossero, i 3/4."

Il risultato è, effettivamente, un disco dagli arrangiamenti balordi, che quasi mai sembrano avere a che fare con le melodie e le atmosfere evocate. La voce di Guccini galleggia apatica su una specie di paesaggio trasognato. Un continuo frinire di trombe, trombette, timbri esotici, marimbe, violini, vibrafoni. Il disco più odiato dall'autore è probabilmente quello più simile all'idea che i suoi detrattori hanno dei suoi dischi: lento, sfibrante, depresso. Colpisce una certa faticosa verbosita' dei testi, a tratti piu' recitati che cantati, privi della consueta scorrevolezza. Con la parziale eccezione di "Osterie di Fuori porta", Guccini nascondera' sotto il tappeto l'intero album, non riprendendone mai le canzoni in concerto. E anche nelle recenti raccolte l'album sara' spesso lasciato fuori dalla porta.

Nonostante queste premesse, o proprio per via delle stesse, e' comunque una di quelle opere "sbagliate" che fiiscono per essere tremendamente affascinanti. "Stanze di vita quotidiana" è un disco triste. Tristissimo. Ma di una tristezza analitica, lucida, spietata, adulta. Il grande disco malato dell'autore che, nelle sue solite meditazioni su tempo e senso dell'esistenza, stavolta non fa sconti a nessuno. Tenendo se stesso come bersaglio principale evita quel crogiolarsi narcisista nella proprie miserie di tanti dischi dell'epoca, tanto di alcuni colleghi cantautori che di tanto progressive.
Facendo la tara al suo solito stile svenevole e ciellino, Paolo Vites mi sembra aver trovato le parole giuste per descrivere la particolarita' del disco, superando in entusiasmo persino un devoto gucciniano come il sottoscritto:
 

"E' l'incapacità a rendere stabile la condizione di felicità quello che angoscia Guccini, ed è dunque una posizione umana positiva perché riconosce che nella vita c'è una positività. La sua rabbia si scatena quando capisce che la nostra piccolezza e miseria umana da sola non ce la fanno: che siano la politica o il lavoro o l'amicizia o l'amore. [...] Ecco, il male. E’ di questo che parlano queste canzoni. Il male di vivere? Senz’altro. Nessuno prima e nessuno dopo nella canzone d'autore si sarebbe guardato così acutamente e senza sconto alcuno allo specchio, dandone un riassunto così implacabilmente realista. Ed ecco perché in quegli anni di politica e rivoluzione e di sol dell'avvenire un disco come questo non poteva essere accettato né capito. Non lo è ancora adesso, è disturbante e disturba ancora. Probabilmente anche il suo autore lo ha rimosso. Non si possono fare canzoni così e sperare di sopravvivere. Lo stesso Guccini a poco a poco avrebbe diluito questo male cercando di allontanarsene. [...] Guccini avrebbe cantato nei decenni a seguire di altro e di altri, preferendo non guardare così a fondo in se stesso. Lo si capisce: ne va della vita stessa."


Ah, tra le cose odiate dall'autore del disco c'era anche la copertina. In effetti, pure quella, poco o per nulla gucciniana e un po' pasticciata, ma non priva di una sua suggestione surreale, in linea con l'estetica prog all'epoca dominante. Per altro nelle edizioni cd l'illustrazione viene massacrata da un'ignobile cornice bianca.

1974a.jpg

Lato A

Fatto strano nella discografia del Nostro, il lato A ha una vaga unitarieta', con le canzoni normalmente staccate una dall'altra, ma con un discorso, un'atmosfera, un comune intendere che le unisce: un viaggio nella frustrazione del tempo presente?

Canzone delle osterie di fuori porta 7:08
Con calma malinconica il cantato sorvola il caotico tappeto musicale, che in modo un po' matto sembra volersi inventare una nuova sfumatura sonora quasi ad ogni strofa. Ne esce un'atmosfera dorata e esoterica, a suo modo congeniale nell'evocare la nostalgia indefinita che prende quando si sfiora, e quindi immediatamente si perde, quel solito altrove, "isola" o "stanza", dove forse, magari, chissa'... Altrove qui identificato nelle serate tra amici nella realmente esistita Osteria del Moretto. L'impegno perso da rimproverare agli amici e poi a se stessi e' quello dello stare assieme, dell'andare a letto invece del tirar tardi, il rinunciare a una partita a carte per star davanti a un televisore.

Canzone della triste rinuncia 7:20
Sempre piu' apatico il canto prima si incupisce su un organo un po' menagramo, poi viene immerso in strampalatissimi innesti pseudo-africani, simil-esotismi e tastieroni prog. Il motivetto suonato (credo) al vibrafono alla fine di ogni strofa e' comunque bello e caratterizzante. Brano peso e allegro quanto un funerale, ma e' proprio l'atmosfera funebre e quasi ieratica a renderlo il cuore dell'album, da cui si espande il senso di oppressione e sconfitta esistenziale che ammanta tutto il disco. Sconfitta che e' anche assunzione di responsabilita', tanto che e' quasi una preghiera laica, un invito a non dare la colpa agli altri di quello che non siamo o non facciamo. Forse un discorso piu' "politico" oggi di allora.

Canzone della vita quotidiana 6:07
A forza di secchiate di tristezza, la depressione raggiunge l'orlo e trabocca nella rabbia impotente di questa dimenticata canzone, che pure e' forse "l'avvelenata" piu' velenosa. Sembra la sorella cattiva di "Un altro giorno e' andato", dove il finire del giorno non porta una malinconica accettazione dello scorrere del tempo, ma solo angoscia e senso di impotenza. L'elenco dei misfatti della quotidianita' si conclude senza chiose rassicuranti. E' il brano su cui quel matachione di Pier Farri si accanisce di piu', ficcandoci sotto una sezione ritmica stridente, totalmente staccata dal cantato depresso. Si respira un'aria da poliziottesco 70s di quelli violenti e morbosi, da noir sul mal di vivere.

1974b.jpg

Lato B

Canzone per Piero 6:22
Per tirarci su il morale, Guccini canta il calore lenitivo delle amicizie e dei ricordi, dedicando una specie di lettera in musica a Piero Melandri, a tutt'oggi, credo, ancora uno dei suoi migliori amici. Per evitare che ci rallegriamo troppo, dell'amicizia racconta, pero', anche la vaghezza illusoria e la sostanziale inutilita'. Come una specie di Tom Sawyer appenninico e depresso che ricorda a un Huckelberry Finn ormai imborghesito che ad ogni modo tutti si finisce protagonisti di una qualche Spoon River. La produzione, tanto per cambiare, non coglie il tono aspro della canzone e ci mette dentro trombe, trombette, violini; in generale i brani del lato B sono pero' meno massacrati.

Canzone delle ragazze che se ne vanno 4:50
Specie di sequel di "Vedi cara" contaminato con "Lontano Lontano" di Tenco, canzone che cantera' molti anni dopo nel club eponimo. Benche', in fin dei conti, l'autore ci stia raccontando che non gli manchino possibilita' con fanciulle piu' giovani di lui, e' comunque una canzone malinconica e fatalista, che musica della caducita' dei rapporti amorosi, del senso e non senso della giostra sentimentale e dei ricordi allegati. Ma in tal plumbeo contesto un brano un po' piu' vivace sembra un arcobaleno dai colori, se non proprio vivi, non troppo spenti. La maggiore musicalita' di sposa meglio anche con la solita confusione sottostante, che qui diventa divertente orchestrina folk, quasi infantile e cartoonesca.

Canzone delle situazioni differenti 9:03
E appunto qui l'autore si prende 9 minuti tondi per raccontarci situazioni differenti riguardanti, se ricordo bene, ben sei sue ex. Una sorta di rasserenante carosello finale fellinano sotto forma di ballata dai toni psichedelici e dilatati. Sovrarrangiata pure questa, ma forse finalmente l'ammucchiarsi dei suoni si rispecchia nel carattere da zibaldone del testo. E finalmente anche la voce di Guccini vibra e si riempie, se non di dolcezza, almeno di vita. E io ovviamente non posso non considerare profondamente "miei" versi come “Ridesti nel vedermi grande e grosso coi fumetti, anch' io sorrisi sempre più scontento."
E' proprio la canzone finale che mi sembra meglio rappresenta lo spitito del disco, come raccontato nella prefazione...
"[...]gli avvenimenti o gli stati d'animo tendono a riunirsi attorno a certi nuclei, e questi si mescolano poi alle cose di sempre, e così escono le canzoni. E sono come tante strofe poetiche, ma soprattutto stanze non stanze intese come camere o cassetti, in cui riporre, per meglio esaminarle le cose successe e i pensieri avuti. Non che questi o queste debbano avere un'importanza tale che valga veramente la pena ricordarle, ma può far piacere raccontarle, e a qualcuno può far piacere ascoltarle, tutto qui. La canzone è il fatto di un momento, che serve per altri momenti. Non ci sono né trascendenze, né messaggi; le canzoni sono cose semplici anche se si possono fare ugualmente con molta serietà come ancora spero o mi illudo di fare."


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#114 Welsh Wizard

    Roman Candle

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Inviato 17 gennaio 2018 - 18:33

 

 

MITO.

 

Proprio oggi stavo pensando di chiederti se le tue fatiche precedenti avrebbero avuto un seguito (almeno fino a Signora Bovary dai  :P )

Questo, nel periodo buio della post-adolescenza, era il mio preferito. Oggi non riuscirei mai a sentirlo tutto d'un fiato, per i testi ma anche per gli arrangiamenti di cui allora mi curavo poco e che sì, come hai detto, sono un bel pastrocchio.

Anyway, lato B enorme, Canzone per Piero fuori categoria proprio


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#115 Mr telefax

    dendrite

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Inviato 17 gennaio 2018 - 18:37

(Da qui al 2030 dovrei finire.)

 

Dài, almeno ti ha fatto il favore di ritirarsi :D

Comunque complimenti, un lavoro da certosino!

 


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I personaggi e i fatti narrati sono immaginari, è autentica invece la realtà sociale e ambientale che li produce

#116 ravel

    mon cœur est rouge

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Inviato 17 gennaio 2018 - 18:44

Complimenti anche da me.

 

Lo considero un disco eccezionale, nonostante la devastazione operata da Farri.

 

La Canzone delle osterie di fuori porta è un piccolo gioiello sia musicale (ha un bellissimo giro armonico, per nulla banale, checché si luogocomunisteggi sempre sulle scarse doti del modenese) sia poetico.
E rappresenta con chiarezza (o chiaroveggenza, visto l'anno?) la fine del sogno costituito dallo spirito del '68 ("sono caduti i fiori / hanno lasciato solo simboli di morte").
Gli anni successivi avrebbero chiarito purtroppo bene cosa intendeva dire...


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«Ciò che l'uomo può essere per l'uomo non si esaurisce in forme comprensibili».
(k. jaspers)

 

Moriremotuttista


#117 Folagra

    young signorino di una certa età

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Inviato 17 gennaio 2018 - 19:15

splendido. so già che si aprirà un nuovo periodo di ascolti gucciniani...

(a uno come Pier Farri per molto meno nel medioevo avrebbero tagliato il naso)

 

Tom, a quando un'analisi del lavoro di Conte? magari dei classici, ecco (altrimenti finisci nel 2060...), tipo questo

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When the seagulls follow the trawler, it is because they think that sardines will be thrown into the sea


#118 Welsh Wizard

    Roman Candle

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Inviato 18 gennaio 2018 - 01:30

Dio se è tempo che non l'ascoltavo

 

 

Malinconie discrete che non sanno star segrete
le piccole modeste storie mie
che non si son mai messe addosso il nome di poesie
amiche mie di sempre, voi sapete!
Ebbrezze conosciute già forse troppe volte
di giorno bevo l'acqua e faccio il saggio
Per questo solo a notte ho quattro soldi di messaggio
da urlare in faccia a chi non lo raccoglie


  • 0

#119 lazlotoz

    Enciclopedista

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Inviato 18 gennaio 2018 - 10:54

(Da qui al 2030 dovrei finire.)

GUCCINIADE SETTIMA



1974 Stanze di vita quotidiana

 

 

Prima di tutto complimenti. Come al solito son andato a sentire il disco. In questo caso per me assolutamente sconosciuto, tranne che per le Osterie di fuori porta. Da quello che scrivevi mi sembrava potesse essere tutto bellissimo, sghembo e appassionante. Invece m'è arrivata proprio quella roba lì di luogo comune su Guccini di cui dicevi. Bello pesante 'sto disco! 

Certo lui si difende sempre bene, ma i pezzi son lunghi oltremisura e mi sembrano tutti dei mattonazzi.

 

Son sicuro che poi riprendendo con calma usciranno delle cose. Primo di tutto alcuni versi, che mi sembrano anche ispirati.


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#120 wago

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Inviato 18 gennaio 2018 - 11:30

Quel disco è un polpettone, piuttosto indigesto e indigeribile in effetti. Almeno "Canzone delle ragazze che se ne vanno" però svetta, come testo e tutto sommato anche sul piano melodico (l'arrangiamento è la solita baracconata di chincaglierie country-blues-hippie smorte, che caratterizza un po' tutto il disco e ne è in fin dei conti l'aspetto più deleterio).
"Canzone delle osterie di fuori porta" ovviamente è una gemma, ma questa prima versione risente fortemente delle nefaste scelte produttive. Le tablas (o il diavolo che sono) ci stanno come i cavoli a merenda, per dire. Tutt'altra grinta la revisione live disponibile per esempio su "Fra la via Emilia e il West", per molti versi il disco gucciniano da avere oltre a Radici*, quantomeno a mio giudizio.

* Che mi pare fosse l'album con cui Syd se la pigliava qualche pagina e anno fa, ma per me resta una gemma folk-prog difficilmente battibile non soltanto nel nostro ristretto panorama domestico.


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"It's a strange world." "Let's keep it that way."

#121 signora di una certa età

    old signorona

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Inviato 18 gennaio 2018 - 11:39

non ci crederete ma stanotte ho sognato che ascoltavo Guccini, ma non ricordo quale canzone in particolare


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In realtà secondo me John Lurie non aveva tante cose da dire... ma molto belle


#122 Tom

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Inviato 18 gennaio 2018 - 11:41

Come al solito son andato a sentire il disco. In questo caso per me assolutamente sconosciuto, tranne che per le Osterie di fuori porta. Da quello che scrivevi mi sembrava potesse essere tutto bellissimo, sghembo e appassionante. Invece m'è arrivata proprio quella roba lì di luogo comune su Guccini di cui dicevi. Bello pesante 'sto disco!
Certo lui si difende sempre bene, ma i pezzi son lunghi oltremisura e mi sembrano tutti dei mattonazzi.
 
Son sicuro che poi riprendendo con calma usciranno delle cose. Primo di tutto alcuni versi, che mi sembrano anche ispirati.

 
No no, e' un mattonazzo bello e buono. Anch'io c'ho messo tantissimo ad "entrarci". Forse l'avro' ascoltato un paio di volte per intero da cima a fondo. La sua scarsa digieribilita' fa parte del suo fascino. Eventualmente. Probabilmente, per cause esterne (la situazione in studio) che interne (credo che stesse divorziando dalla prima moglie), e' il suo disco piu' fuori controllo, quindi se vogliamo il suo piu' nudo e "spiacevole".
 

Tom, a quando un'analisi del lavoro di Conte? magari dei classici, ecco (altrimenti finisci nel 2060...), tipo questo


Non e' un gran colpo di scena dire che c'avevo pensato.
Di lui non so nulla a livello personale e non saprei cogliere la maggior parte dei suoi riferimenti musicali riguardanti jazz, classica e latina, pero' sarebbe intrigante trattare i suoi album come dei film sonori... chissa', forse, nel 2031.
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#123 eugenio_barba

    Groupie

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Inviato 18 gennaio 2018 - 15:20

Proprio in questo lombardo dicembre freddo e grigio avevo preso in mano il disco, sempre poco ascoltato in passato per la sua fama e la pesantezza dell'insieme che avevo trovato nei precedenti ascolti.

In realtà un disco denso, che si dischiude ascolto dopo ascolto, che siano i colori insoliti degli arrangiamenti o i versi che si compongono nelle loro storie o nelle loro immagini pian piano, un disco dimesso, rassegnato, che non ha fretta di arrivare al sodo, un cammino lento che avanza lemme al nocciolo della questione: perchè vivo e perchè ricordo?

Non ritrovo nel Guccini successivo una forza suggestiva testuale simile, sempre più asciutto e meno perditempo, meno propenso a temporeggiare su parole, immagini, concetti e sensazioni, un disco quasi annoiato che mi cattura ormai in quel suo torpore e mi regala una pace rassegnata che mi riscalda; ormai compagno di serate in solitaria e passeggiate nel taglio obliquo del tramonto, dopo le "Radici" sfocate del passato sfuggente e del ricordo sbiadito è il Guccini più sentito e mio.


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#124 Welsh Wizard

    Roman Candle

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Inviato 18 gennaio 2018 - 15:58

Devo ammettere che mi ha sempre un po' infastidito la fama di Canzone delle Osterie di Fuori Porta nel canzoniere di Guccini e all'interno di questo album. L'arrangiamento è, nel caos generale, l'unico veramente indigeribile (live molto meglio, sì) , il testo è un po' una Canzone di Notte (quindi le tablas  :facepalm: ) con tema la borghesizzazione e il rimpianto degli anni e degli ideali andati, tutte cose che svilupperà meglio in altri testi, Eskimo ad esempio. Niente a che vedere con gli abissi di Canzone della Triste Rinuncia e Canzone della Vita Quotidiana, la dolce amarezza di Canzone per Piero e Canzone delle Ragazze che se ne vanno, lo struggente "carosello finale felliniano sotto forma di ballata" che chiude l'album.


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#125 kristofferson

    Giù la testa, coglioni

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Inviato 19 gennaio 2018 - 14:05

Caso vuole che lo abbia riascoltato per intero appena qualche giorno fa (sono entrato nella mia periodica fase gucciniana e mi sto sparando in loop tutti i suoi album nel lettore della macchina). Stretto tra due capolavori come Radici e Paolo Fabbri è un album che anch'io ho sempre ascoltato poco (a parte Canzone delle osterie di fuori porta, che credo sia l’unica dell’album a essere rimasta nel repertorio gucciniano) e probabilmente capito ancora meno, anche perché in effetti è bello 'peso' (se uno che è un attimo depresso ascolta roba come Canzone della vita quotidiana penso possa prendere seriamente in considerazione l’ipotesi de suicidio). Con i suoi accordi sballati e le liriche improntate a un pessimismo cosmico, o meglio a una specie di spleen baudelariano, ha un suo fascino nascosto da scoprire.
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#126 Tom

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Inviato 02 settembre 2018 - 12:34

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POPOLARE

GUCCINIADE OTTAVA
OVVERO, A PENSARCI UN ATTIMO, IL PER NULLA SCONTATO FATTO DI METTERE IL PROPRIO INDIRIZZO COME TITOLO DI UN ALBUM E POI ABITARE
VERAMENTE A QUELL'INDIRIZZO

"Nel 1976 via Paolo Fabbri entra nel mondo della canzone. Forse perche' ispirato da un nuovo amore, il disco venne fuori esattamente come lo avevo immaginato, bello ed entusiasmante. Ancora oggi mi piace moltissimo, compresa la copertina, mentre quella di STANZE era orrenda. Curiosamente, la mia foto sulla copertina di Via Paolo Fabbri 43 e' la stessa, solo piu' sgranata, che era stata precedentemente inserita sul retro di STANZE: uno scatto preso da mia moglie a Santorini, in Grecia, nel 1971. Quella foto sarebbe diventata, tra le tante cose, anche un po' il mio simbolo[...]” 
(Come dunque alla settima sortita discografica arriva un disco che finalmente soddisfa anche il poco soddisfabile autore.)

1976c.jpg
 
1976 Via Paolo Fabbri 43
 
No, sul serio: un cantante di gia' affermata fama che mette il proprio vero indirizzo come titolo di un suo album. Scelta come minimo azzardata oggi, ma pure in quegli anni li', che saranno stati mediaticamente anni piu' semplici, ma erano pure gli anni dei "processi" ai cantautori e dei tanti grilletti facili, di ogni colore politico. Una scelta in cui c'e' tutta l'ambivalenza che rende affascinante il personaggio Guccini. Da una parte l'anti-divismo, quel proporsi schietto e senza filtri stile "toh, io sono esattamente qui, se mi cercate", dall'altra la coscienza di poter trasformare a colpi di musica e poesia anche il proprio anonimo indirizzo in racconto, icona, mitologia.

Il consolidarsi dell'immaginario gucciniano passa anche per la ben nota copertina. Immagine diventata uno dei simboli di quegli anni, anche se e' solo uno sfocato primissimo piano, il faccione dell'autore che fa un po' effetto Guevara e un po' effetto foto segnaletica. Vien da chiedersi quanto sia involontario e quanto consapevole quell'effetto pop art dovuto all'ingigantimento della retinatura per via dell'ingradimento: il Guccini un po' come le Marilyn di Warhol? Come raccontato qui sopra dall'autore, l'immagine e' infatti un particolare ingrandito di uno scatto estemporaneo, quindi la foto di una foto, un ricordo privato di una vacanza che, attraverso una rielaborazione e una selezione, diventa un'icona pop: niente di piu' specificatamente e intimamente gucciniano, in effetti.

(Essendoci in fondo cresciuto con quell'immagine li' sotto gli occhi, per me fa "quei fantastici giorni all'asilo" almeno quanto il fruscio dei pantaloni a zampa e l'odore delle moquette dai colori improbabili. Anche se poi proprio di questo disco mio padre possedeva solo la musicassetta e non il vinile, e a causa delle parolacce de "L'avvelenata" non la metteva mai su in presenza di noi figli.)   

"Via Paolo Fabbri 43" e' un po' l'album-luogo-comune di Guccini, quello che piu' lo rappresenta in tutto e per tutto. Insieme a "Radici" il suo piu' famoso, con tre canzoni su sei che sono dei classici assoluti e le altre tre appena sotto nell'immaginario degli appassionati. L'album che, trascinato dallo scandalo de "L'avvelenata", sancisce la definitiva esplosione della vera fama e del piu' solido successo commerciale. E' anche l'album in cui, con suo gran sollievo, mettera' definitivamente da parte le gia' per altro vaghe tendenze "rock" degli anni precedenti. Niente piu' influenze prog, esoterismi strumentali, timide sfumature psichedeliche, ma un folk-blues prosaico e terreno, adeguatamente avvicinato alla tradizione popolare italiana, con frequenti puntate in pertinenti e austere atmosfere francesi.

1976a.jpg
 
Lato A

Piccola storia ignobile 6:55
Mentre la' fuori infuriava, incandescente, il dibattito sull'aborto legale (in attesa della legge e del successivo referendum) nel piccolo cosmo notturno di questa canzone assistiamo invece a un doloroso e disincantato dialogo tra un uomo e una donna, amici, dove ognuno verifica nell'altro la propria impotenza sulle cose della vita. Niente prediche, ma un umano ritratto di famiglia in un interno, il graffiante affresco di un universo piccolo borghese, imprigionato dalla ristrettezza delle proprie stesse vedute, avvelenato da un'ipocrisia che rende vittime prima di tutto i carnefici: il padre "che mise via quella bottiglia per il giorno del tuo matrimonio", la madre che "l'ha fatto quasi sempre per dovere" (dove quel "quasi" e' uno di quei tocchi che rendono Guccini speciale), il Lui che "ha trovato i soldi". La denuncia finale ("i politici han ben altro a cui pensare") e' disinnescata dall'ammissione che oltre a "qualche frase usata" non e' possibile andare. Lo stato di grazia che illumina tutto il disco e' fin da subito verificabile da come quest branoo, il piu' potenzialmente databile dell'album, resti ancora vibrante e sentito. Sul piano musicale e' un bizzarro e azzeccato mix tra una base cool alla Lou Reed (esplicita la citazione inziale di "Walk on the Wild Side") e una melodia popolaresca da cantastorie di paese.
 
Canzone di notte n. 2 4:59
La canzone che meglio spiega come in quell'italico 1976 il Guccini fosse uno dei personaggi piu' cool sulla piazza. Il manifesto filosofico in punta di chitarra, lieve/pesante, ironico/arrabbiato, "happy/sad", di un gigante gentilmente barbuto e moderatamente cappellone, con il suo "eskimo innocente", i suoi maglioni e i jeans. E quella bottiglia di vino che tanti equivocheranno: non simbolo di sfascio e vita spericolata alla Steve McQueen, ma di ebrezza rimuginante alla Philip Marlowe. C'e' una scena in "I giorni cantati", mediocre film del mediocrissimo Paolo Pietrangeli, che con rozza efficacia fotografa bene il momento: il protagonista (lo stesso Pietrangeli) si imbatte in un solitario Guccini che suona, appunto, "Canzone di notte n. 2" fuori da un'osteria e sogna di essere al suo posto, li' a cantare, sotto lo sguardo della sua donna. E chi, soprattutto sotto gli occhi di una donzella, non vorrebbe dare identico sfoggio di grandezza paroliera, disincantata saggezza e fascino tabagista? In mezzo a una pioggia di versi da imbottigliare e mettere via, uno quanto mai attuale: "Purtroppo, non so come, siete in tanti e molti qui davanti, che ignorano quel tarlo mai sincero che chiamano Pensiero". 
 
L'avvelenata 4:41
Uno dei suoi due o tre brani piu' famosi e quello che fece esplodere la guccini-mania. Un bel paradosso se si considera che il brano era nato anche come polemica nel veder compromesso dal successo lo spirito bohémien dei cantautori, e invece da qui in poi soldi e successo cominciarono a piovere anche sulla testa dell'incolpevole Guccini: quando si dice la malasorte. Alla lunga brano poco sopportato dall'autore, che lo vedeva come un pezzo figlio di una sua incazzatura estemporanea e di un'epoca ben precisa che non aveva senso replicare. Prima di abbandonarla negli ultimi anni, nei concerti ne eseguira' sempre versioni ironicamente svogliate o apertamente comiche: da scompisciarsi la versione che gli vidi fare a Trento davanti all'Arcivescovile, con continue interruzioni per "scrutare" se dalle finestre del pio edificio dessero segni di reazione davanti al celebre torpiluquio. La storia e' nota: canzone/sfogo nata per i concerti, che inizialmente neanche doveva essere incisa, scaturita da una velenosa  recensione dell'immortalato Bertoncelli ai danni di "Stanze di vita quotidiana", ulteriormente invelenita dal clima di perenne contestazione durante i concerti e da episodi come il "processo" al Palalido di De Gregori. Quattro minuti di memorabile e rabbioso sarcasmo, uno sfogo totalmente personale, ma  talmente efficace da diventare universale, applicabile alle incazzature quotidiane di chiunue, anche non corredate dell'artistcita' del Nostro. Allegerisce una coda strumentale finto-trionfale, un po' "Arancia meccanica”, un po' filmetto scosciato con la Fenech.
 
1976b.jpg
 
Lato B
 
Via Paolo Fabbri 43 8:15
Una canzone per "party con gatti e poeti", ambientata all'alba, come un po' tutto il lato B, che ha un'atmosfera mattutina, cioe' quando il Nostro andava a dormire, visto che faceva vita rigorosamente nottambula. Autoritratto dal sapore pop (anche se - scandalo ondarockiano! - dal genere prende le distanze nella canzone stessa) tra "krapfen e boiate", libri, fumetti, giullari e gatti. Frecciatine a colleghi (De Andre', De Gregori, Venditti) e al mondo musicale delle "elettriche", omaggi a Borges e ad antichi poeti persiani (Khayyam). Un continuo, ironico ma inamovibile, chiamarsi fuori dalla modernita' e del "nuovo" a tutti i costi, con tutto il loro corollario di chiassosita', velocita' e retorica: "Gli eroi su Kawasaki coi maglioni colorati van scialando sulle strade, bionde e fretta, personalmente austero vesto in blu perchè odio il nero e ho paura anche d'andare in bicicletta". Coerentemente non prendera' mai neanche la patente della macchina. Musicalmente e' un blues "biondo" ed elegantemente decorato, probabilmente l'effetto che si voleva forse ottenere sul disco precedente. L'ispirazione di base arriva dai due piu' celebri brani-fiume di Dylan: "Desolation Row", da cui riprende l'idea di una strada affollata di icone e citazioni culturali, ma con i piu' - appunto - l'ambizione, la faccia tosta, il rischio e l'ironia di mettersi al centro di quell'immaginario, con tanto di vero indirizzo di casa, e "Sad Eyed Lady of the Lowlands", da cui riprende le invocazione trobadoriche ad un ideale femmineo, a cui pero' fa sempre da contraltare una notazione autoironica ("che mamma mi trovi pulito qui all'alba in via Fabbri 43!") con quel "quarantatre" calcato con prosopopea fantozziana.

Canzone quasi d'amore 4:13
Dove nel titolo la parola piu' importante del titolo e' logicamente quel "quasi". Sarebbe divertente prenderla davvero come una canzone d'amore, che non ci si imbatte tutti i giorni una canzone romantica la cui ultima parola e' "grattarsi". Ma se lo spunto di partenza e' indubbiamente l'inizio della storia d'amore con la nuova compagna (anni piu' tardi "Farewell" e "Quattro stracci" ne racconteranno la fine), nei fatti e' un'altra prosaica e disillusa esplorazione esistenziale, che l'amore e' bello e' caro, ma non c'e' mica tanto da ridere, dato che alla fine "siam tutti soli ed è nostro destino tentare goffi voli d'azione o di parola, volando come vola il tacchino". In allegria ci si inoltra dunque in un'atmosfera lattiginosa e velata, eppure pardossalmente positiva, che "il vuoto" e il "tedio a morte del vivere in provincia" si sopportano meglio in piacevole compagnia. Le nebbie del testo galleggiano sull'arrangiameto minimale, un sottofondo di tastiere e clavicembalo che crea un clima onirico e sfocato. La melodia, che rispovera l'antico e poi sempre piu' importante amore per Brel, mi pare piu' elaborata del solito, di aromi quasi settecenteschi o chesso' io. La parte cantata e' un'unica indolente tirata, in cui forse si cristalizza definitivamente uno stile e un modo di cantare che e' solo di Guccini, con quella peculiare miscela di canto, recitazione e dialogo, praticamente impossibile da coverizzare e riprodurre. Guccini ci arrivera' solo molti anni dopo a scrivere la sua prima vera canzone d'amore senza "quasi", la prima delle due da lui scritte: "Vorrei" e "Certo non sai".
 
Il pensionato 4:26
Il mondo si divide in due categorie, chi considera questa canzone uno dei piu' amari e struggenti capolavori della storia della musica e chi non l'ha mai sentita. Ci sarebbe anche una terza categoria, ma gia' deve essere brutto vivere una vita senza un'anima e un cuore, quindi non infierisco. Il protagonista della canzone e' il signor Mignani, sarto in pensione che davvero abitava in un monolocale a pianterreno della casa di via Fabbri. Personaggio casualmente importantissimo per la carriera di Guccini, dato che oltre ad ispirare questo suo classico era stato lui a raccontare a Guccini il dimenticato fatto storico alla base de "La locomotiva". Nonostante la differenza d'eta' tra i due c'era una profonda amicizia. Si incrociavano la mattina, quando l'anziano pensionato si alzava e il giovane nottambulo rincasava. Si narra che una della rare volte in cui Guccini ha cacciato di casa dei suoi fan fu quando alcuni di questi lo criticarono dopo averlo visto salutare in modo troppo "borghese" il Mignani dandogli del lei. Mi sono sempre chiesto che effetto facesse a persone come Mignani o il Frate sentirsi ritrarre in canzoni cosi', splendide, ma anche spietate. Altro brano ispirato alla piu' aristocratica scuola francese, e' uno dei suoi massimi ritratti-specchio, in cui partendo dalla desrizione dalla luce di una "lampadina fioca, quella da trenta candele" arriva a creare un buco nero universale, fatto dei dubbi di chiunque si ponga quel paio di domande sulla vita.
Probabilmente la canzone colpevole di aver innescato in me la passione per l'autore, anche perche' mi impressionava e continua a impressionarimi come descriva con inquietante precisione una situazione che ho vissuto da bambino: la presenza a casa mia del signor Billi, un anziano miliare in pensione a cui i miei nonni avevano affittato un monolocale. Pur avendolo avuto sotto casa per dieci anni e averlo visto quasi ogni giorno, di lui ricordo il fortissimo odore di acqua di colonia che proveniva dal suo appartamento e quasi nient'altro, davvero "soltanto un'impressione che ricorderemo appena".
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#127 dick laurent

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Inviato 02 settembre 2018 - 12:51

Ma come orrenda la copertina di Stanze. Quel disco è stato (ingiustamente) bistrattato proprio per tutto.


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dai manichei che ti urlano o con noi o traditore libera nos domine


#128 Mr telefax

    dendrite

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Inviato 02 settembre 2018 - 18:29

Tom, spiace dirlo ma qualcuno deve: scrivi fottutamente bene. È un piacere leggerti anche quando parli di uno che stiro&ammiro, ma che non mi filerei più di tanto, non fosse per.
A questo punto non vedo l'ora che arrivi a Signora Bovary, l'unico Guccio che ho ascoltato per intero -piacendomi molto peraltro.
  • 4
I personaggi e i fatti narrati sono immaginari, è autentica invece la realtà sociale e ambientale che li produce

#129 100000

    Enciclopedista

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Inviato 03 settembre 2018 - 07:54

Vero, Tom quando avrai finito le Gucciniadi pubblicale con una qualche casa editrice locale o che ne so, io le compro, giuro.

(tra l'altro di "libri sui gruppi" ne ho visti di molto meno densi e articolati - non mi sembrerebbe per niente una cosa fuori dal mondo)


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#130 Welsh Wizard

    Roman Candle

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Inviato 14 settembre 2018 - 22:21

Pochi commenti purtroppo, ci siamo abituati bene.
Per quel che vale condivido particolarmente il primo pensiero su Il Pensionato, pezzo che da solo zittirebbe tutte le barzellette sul cantautorato italiano barboso, provinciale e politicizzato. 

Attendo con trepidazione la prossima puntata chè la title track mi toglie il fiato tutte le volte per 7 minuti. Trattamela bene  :)


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#131 Tom

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Inviato 06 ottobre 2018 - 23:31

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POPOLARE

GUCCINIADE NONA
OVVERO IL FACCIONE E LA MAPPA


"Nel 1978 nacque mia figlia Teresa, perciò mi ritirai per un po' dalle scene. Poco prima avevo deciso di rimettere a posto l'appartamento in via Paolo Fabbri, così, quando lei arrivò c'erano ancora i muratori in casa e fummo costretti a trasferirci per qualche tempo a Pàvana. Fu un inverno terribile. Nevicò a chili. […] Credo che nacque allora, nella mia seconda moglie Angela, l'antipatia per Pàvana e forse anche un po' per me. Mia figlia, invece, credo abbia superato piuttosto bene quel trauma. Ogni tanto la guardo e mi sembra che non porti alcun segno dell'inverno pavanese."

1978c.jpg

La copertina di "Amerigo" non rischia di passare alla storia come un capolavoro della grafica, ma puo' essere preso come un bel e suggestivo simbolone della poetica di Guccini. Un primo piano del cantante che si confonde con un'antica mappa delle Americhe, senza che una prevalga sull'altra. La mappa dei ricordi e dei sentimenti personali come una vecchia mappa incerta, ma comunque fondamentale, anche con i suoi sbagli, per trovare se stessi? Va beh, un faccione come una mappa e una mappa come un faccione: un qualche bel metaforone ci sara' sicuramente.

(Restando alla copertina ci sarebbe da toccare un tema che mi fa sputare bile. Tutti i cantautori degli anni 60 e 70 hanno visto stuprate e seviziate le copertine dei loro vinili dai grafici quando questi le hanno “adattate" per l'epoca dei CD, ma un autore su cui quei cani incapaci si sono accaniti con particolare furia e' proprio il Nostro: la svilente cornicetta nera attorno alla foto degli avi di "Radici", il cornicione bianco per "Stanze" (con tanto di raddoppio del titolo), ma il fondo del fondo lo hanno toccato con la copertina di "Amerigo", riquadrata in una vomitevole cornice gialla FOSFORESCENTE e con un effetto logo "vuoto" da ciclostile della parrocchia. Metto sotto spoiler che non voglio rovinarmi l'estetca del post.)
Spoiler

Per via della lunga vita che aveva la musica ai tempi, "Amerigo" fu un po' schiacciato dal successo di "Via Paolo Fabbri", pur uscito due anni prima, con Amerigo e Eskimo, poi comunque diventate dei classiconi, costrette a salire sul ring radiofonico con pesi massimi ancora in piena forma come L'Avvelenata, Canzone di notte n.2 e Il pensionato. Da allora questa fama un po' da "lato B" del fortunatissimo album precedente e' rimasta attaccata al disco. Ingiustamente, perche' oltre ad essere un album che vive di luce propria, riesce ad essere ancora piu' personale e originale del predecessore. Per altro forse l'album piu' strutturato di Guccini (anche se scrivendo questi post mi sto accorgendo che tutti lo sono), pieno di corrispondenze e specularita' tra i sei brani.

Album molto amato e sentito dall'autore, legato ad un periodo professionale, famigliare e sentimentale evidentemente felice. Il suo unico rammarico sul disco e' l'eccessiva brevita': rimpianto curioso, dato che con i sui 35 minuti "Amerigo" e' tre minuti piu' lungo, ad esempio, di "Via Paolo Fabbri". Ma in effetti, si', l'album da' la strana impressione di essere piu' breve. Misteri del tempo applicati all'Arte.

1978 Amerigo

1978a.jpg

Lato A

Amerigo 7:03
"[...]e' una storia, ed e' la storia di una vittoria, cioe' di una vita conclusa, nel bene e nel male, e di un'altra di cui si comincia a capire il senso, fra un'America realta'-mito e questo paese che si chiama Pavana e questo suo fiume che si chiama Limentra." Cosi' nelle note dell'album l'autore presenta quella che piu' volte ha definito come una delle sue canzoni che piu' lo rappresentano e lo contenegono meglio. Epica ballata di sette minuti, cantata in modo brusco e vigorso, che pure lascia una sensazione di dolcezza e commozione. Il mito americano e' usato come luogo d'incontro in cui mescolare il passato dell'emigrante con i ricordi d'infanzia dell'autore, con versi come "L'America era il modo sognante e misterioso di Paperino" che credo sia la piu' potente e lucida definizione mai data del Sogno Americano, del suo fascino e della sua illusorieta'. Amerigo e' lo zio Enrico (diventato "nonno" per ragioni di metrica quando citato in Via Paolo Fabbri 43), emigrato in America negli anni 10 del secolo scorso: il piu' alto nella foto di famiglia immortalata nella copertina di "Radici". Quasi un secondo padre per Guccini, simboleggiante l'adorata montagna, figura "poetica" forse almeno un po' in contrasto col vero padre, impiegato piu' urbanizzato e prosaico. Comunque un personaggio a lui tanto caro da fargli comporre il suo piu' compiuto esempio di musica, poesia e ricordi usati come strumento contro il Tempo, che divora e annulla tutte le esistenze. L'Arte, o piu' umilmente il racconto di se' e degli altri, usati per evocare e ridare almeno un soffio di vita ad un'esistenza altrimenti spenta nell'anonimato, trasformandola in simbolo che tocca le corde emotive di chiunque. Perche' in fin dei conti "il tempo in faccia a tutto il mondo per rincontrarlo" e' proprio il tempo della canzone, con Amerigo che trasfigurato rivive almeno un po' ogni volta che qualcuno la ascolta. E come in un gioco di specchi in altri specchi cotinua (probabilmente) a chiudere dietro a se la porta verde all'infinito.

Libera nos Domine 4:36
C'e' stato un breve periodo in cui Guccini apri' qualche concerto del tutto eccezionalmente con questa canzone e non con la rituale "Canzone per un'amica" (che veniva subito dopo, comunque). Era il 2001 o 2002 e molti gli chiedevano se avrebbe mai composto una canzone sull'11 settembre: lui spiegava che gli sembrava di averlo gia' fatto proprio con "Libera nos Domine". E in effetti questa novena laica, che si scaglia con furia ironica contro ogni forma di coglioneria e intolleranza umana (politica, militare, religiosa, intellettuale), sembrava perfetta per quei giorni, ma del resto risulta deprimentemente applicabile a qualsiasi periodo storico. Che evidentemente in ogni epoca non c'e' mai carenza di "imbecilli d'ogni razza e colore", di "pazzi giacobini", di "visionari e martiri dell'odio e del terrore", di "manichei che ti urlano o con noi o traditore!", di "falsi intellettuali, giornalisti ignoranti", di "sicuri di sé, presuntuosi e arroganti". Oggi piu' che mai, occhio e croce. Inno di trascinante semplicita' catartica, con un che di vagamente medievaleggiante, senza quella vernice finto-antica di molta musica di quegli anni, ma con uno spirito sardonico ben sintetizzato da Guccini che per un attimo gorgheggia da baritono nel finale "barocco".

100, Pennsylvania Ave. 6:35
Una di quelle soffici dolcezze folk che gli vengono quando gli riesce di cantare con sereno distacco del suo passato sentimentale. Canzone di orizzonti in cinemascope, con quei paesaggi giallognoli e marroncini ripresi in controluce del cinema americano di quegli anni. Brano che personalmente amo molto, ma che mi sembra in genere poco ricordato, forse perche' particolarmente intimo e personale, meno universizzabile di altri, anche se immagino che tutti hanno un corrispettivo di quel "but I love him" che brucia in qualche ricordo. Specularmente ad "Amerigo" racconta della sua scoperta dell'America, quando pianto' tutto e tutti, fidanzata ufficiale compresa, per seguire una studentessa americana di cui si era innamorato - storia a cui aveva gia' alluso cripticamente in "L'orizzonte di K.D.". Da quella trasferta ricavo' una cocente delusione sentimentale e un'ancora piu' rovente delusione culturale, infastidito da tutta una serie di tic verbali e modi di fare degli americani che riteneva maleducati e superficiali. Secondo me, anni piu' tardi, il sentimento anti-americano e' forse l'unica convinzione per cui Guccini si fara' prendere la mano, diventando a tratti un po' manicheo. Giocando a fare lo psicologo da quattro soldi, e' presumibile che l'esperienza americana abbia rappresentato anche uno scacco esistenziale non da poco, la verifica che il "tedio a morte del vivere in provincia" ce lo si porta dietro (e dentro) anche nella terra di "Ringo" e "degli eroi di Fort Apache". I conseguenti ritorno in famiglia e matrimonio bendetto dai genitori che seguirono la "fuga" americana sono il plumbeo materiale borghese a cui Guccini dara' fuoco nella canzone successiva.

1978b.jpg

Lato B

Eskimo 8:18
Uno dei monumenti gucciniani piu' in vista. E a pensarci e' anche strano che sia diventato cosi' popolare un pezzo tanto lungo, complesso, personale, senza "soluzione" nel suo mischiare rimpianti, imbarazzi, rabbia, ironia. Una canzone di un sarcasmo piuttosto duro e a ciglio asciutto, che parla di disagio e mette un po' a disagio nella sua crudezza. Lo stesso autore nelle note dell'album la presentava con particolare amarezza: "[...] e' la stora di una sconfitta tanto piu' dolorosa quanto ancora non risolta e che si trascina dietro questo simbolo verde fra un'immaginata maturita' incredibilmente lontana e un presente ancora confuso, in cui le cose tardano a delinearsi". Anni piu' tardi piu' prosaicamente lo definera' "un bignamino degli anni 60 o almeno dei miei 60". Brano d'addio alla ex-moglie Roberta (la notevole rossa immortalata nella foto sul retro di "Radici") di schiettezza al limite dell'autolesionismo e crudelta'. Nell'impietosa autopsia a cui Guccini sottopone la relazione non c'e' l'ironica eccitazione che ne "L'antisociale" portava il rifiutare le convenzioni piccolo-borghesi, ma la velenosa conta delle incomprensioni e del tempo sprecato, tra rivendicazioni di diversita' raccontate con un misto di orgoglio e imbarazzo ("soldi in tasca niente e tu lo sai / che mi pagavi il cinema stupita e non ti era toccato farlo mai"). Intrecciato alla delusione sentimentale anche la delusione politica, quindi un addio agli anni 60, alle illusioni giovanili, anche li' pencolando tra nostalgia per i vent'anni e le consuete frecciate al freakettonismo ribellista. E allora cosa ha reso tanto accattivanti questi otto minuti e passa fatti di disillusione e causticita'? Se lo chiedete a me, oltre al testo memorabilia, ci metterei la forza dell'interpertazione e una melodia che nasconde una sua incalzante solennita', ma si sa che io di musica in senso stretto non ne capisco niente, quindi non chiedetemelo.

Le cinque anatre 4:46
"Non e' che una corta favola che vale, anche con la sua "morale" finale, per il solo spazio della sua durata" dice Guccini nelle note, e trovatemene un altro che nelle note di un suo disco sminuisce la portata delle sue stesse canzoni. E invece e' una canzone d'impatto immediato e affabulatore, con il gioco fatalista del numero delle anatre che si assottiglia ad ogni verso. Un vivido e ottocentesco dipinto paesaggistico con animali a forma di balalaica, una "favola", appunto, la cui morale e' quella semplice del viaggio piu' importante dell'arrivo (o del non-arrivo), ma che rappresenta un po' il cuore dell'album. Dispiace, vista la riuscita di questa e de "La locomotiva", che Guccini tutto sommato abbia poco sfruttato questa sua abilita' di costruire canzoni finto-popolari.

Mondo nuovo 5:12
La prima canzone non completamente scritta da Guccini in un disco di Guccini e' comunque interamente gucciniana. Nel senso che il coautore e' il fratello Pietro, a cui in genere sono attribuite le musiche, ma e' presumibile abbia scritto anche parte del testo. Fratello citato mi pare una volta sola nell'autobiografico canzoniere dell'autore proprio in "Eskimo" ("lo porta mio fratello ancora"), molto piu' giovane di Francesco e scomparso qualche anno fa per malattia, canto' e suono' qualcosa di suo nei 70, senza mai spingersi oltre l'amatoriale*. Sono rari i brani di Guccini rivolti al futuro, questo e' anche l'unico a non farlo in termini apocalittici, ma anzi serenamente sospesi. Pezzo curioso e gradevole, il cui senso e titolo ben si integrano nel concept dell'album, ma allo stesso risulta essere un po' a parte rispetto al resto del disco. Musicalmente caratterizzato da una lunga e singolare coda strumentale che non puo' non ricordare le sigle dei cartoni animati giapponesi, che proprio in quell'anno stavano per invadere la tv italiana. Sigle spesso scritte dal fido musico gucciniano Vince Tempera. Guccini + Ufo Robot, piu' "1978" di cosi' solo le BR e il caso Moro.

*La versione di "Mondo nuovo" incisa dal fratello, con il testo con diverse varianti.


  • 18

#132 eugenio_barba

    Groupie

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Inviato 08 ottobre 2018 - 12:04

Grande Tom! Sempre bellissima l'analisi: disco molto bello, ma che mi non mi ha mai catturato completamente, credo siano per le mie orecchie melodie meno ispirate (Eskimo a parte); inoltre, Mondo Nuovo l'ho sempre trovata bruttina proprio a livello compositivo e armonico, oltre che mi sembra uno di quei testi in cui il Guccio, col senno di poi, non ci abbia azzeccato proprio nulla, come un vecchio brabogio che si lamenta della tecnologia perché non riesce, un minimo, a stare al passo coi tempi.


  • 0

#133 An Absent Friend

    We're happening

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  • LocationFuori della storia e in abito borghese

Inviato 08 ottobre 2018 - 14:41

Dritto in Cose ovvie: non avevo mai visto la faccia nella mappa asd


  • 2

 

Talmente brutto che e' da considerare 90

 

 
In pratica vogliono il magical negro senza i poteri magici, sai che palle.

 

 

I voti sono sull'attività svolta e sulle iniziative dichiarate o parzialmente avviate

 


#134 Greed

    round control to major troll

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Inviato 08 ottobre 2018 - 20:08

Ho letto 3-4 volte LA MAPPA e non riuscivo a capire cosa significasse quella parola. Poi con le immagini ho capito. Segnali che la vostra vita sta andando nel dsalzheimer.

Scusate l'off topic ma sono scosso.


  • 0

#135 Welsh Wizard

    Roman Candle

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Inviato 08 ottobre 2018 - 21:06

Condivido pienamente su 100, Pennsylvania Ave non universalizzabile (anche se solo superficialmente) e per questo meno conosciuta, stessa sorte che credo tocchi a "Van Loon". In una ipotetica classifica personale non esiterei a piazzarle ambedue ai primissimi posti fra i pezzi del Nostro.
Sulla TT ho già detto, tra l'altro interpretazione magistrale. Libera nos Domine la consideravo da ragazzino abbastanza ingenua, mi sono ricreduto, ero sicuramento molto più cinico allora. Ma in generale tutti gli album tra questo e Madame Bovary li ho rivalutati tanto, sono quelli che riascolto più volentieri, credo sia il suo periodo migliore (eresia).


  • 1

#136 Tom

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Inviato 09 ottobre 2018 - 09:56

Condivido pienamente su 100, Pennsylvania Ave non universalizzabile (anche se solo superficialmente) e per questo meno conosciuta, stessa sorte che credo tocchi a "Van Loon". In una ipotetica classifica personale non esiterei a piazzarle ambedue ai primissimi posti fra i pezzi del Nostro.

 
Eh, Van Loon e' micidiale. Quando poi inizi ad avere un padre di una certa eta' e' quasi "inascoltabile".

Tutto "Signora Bovary" e' 'na roba... beh, ne riparleremo fra non molto, spero. Ormai voglio portarla a termine 'sta follia e superato lo scoglio degli album-manifesto nei prossimi dovrei/vorrei tornare a scrivere meno per ogni canzone, ed essere piu' veloce.  
 


  • 2

#137 clapat71

    mainstream Star

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Inviato 09 ottobre 2018 - 13:42

Ogni volta ci riprovo, ma mi piacciono più le pagine di Tom che le canzoni di Guccini, troppo "parole con accompagnamento musicale" per i miei gusti. Alla fine l'unico album che riesco ad aver voglia di ascoltare è il live "Tra la via Emilia e il west". Comunque questo thread è proprio bello da leggere, attendo prossima puntata.


  • 0

#138 Tom

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Inviato 27 ottobre 2018 - 17:34

GUCCINIADE DECIMA
OVVERO PAVANA COME SAN FRANCISCO, NONCHÉ ULTIMO VALZER A PIUMAZZO


"Questa e' una canzone che mi piaceva molto, mi e' sempre piaciuta e oggi, dopo tanti anni, ho avuto l'occasione di cantarla assieme all'autore..."
"Che culo che ha certa gente."

Introduzione di "Noi".

1979a.jpg

1979 Francesco Guccini & I Nomadi Album Concerto

Tirare le somme dei 70 vedendo quello che era rimasto dei 60. Una specie di "Ultimo Valzer" alla The Band, suonato in due serate nel dicembre 1979 nella profonda provincia appenninica di Pavana e Piumazzo, che voglio immaginare come scenari presepiali, pieni di neve e finestre fiocamente illuminate.

All'epoca tiravano le accoppiate live: De Gregori con Dalla, De Andre' con la PFM. Il tandem Guccini e Nomadi era meno scontato di quanto potrebbe sembrare. Nonostante i Nomadi avessero interpretato tante canzoni di Guccini, l'autore e il gruppo non si erano mai frequentati, e anche dopo aver simpatizzato in questa occasione non scattera' mai una vera amicizia. L'idea di registrare un disco live insieme venne infatti ai rispettivi produttori storici, Dodo Veroli e Pier Farri, che probabilmene avevano volpescamente fiutato il best seller discografico. Come live e' anche un po' finto, visto che sara' "perfezionato" in studio, come ben si puo' intuire dal suono fin troppo preciso per una registrazione dal vivo di quegli anni. Come forse imponevano le proporzioni del successo e' di fatto un disco di Guccini (accompagnato dai fidi "pards" Villotti e Biondini) accompagnato dai Nomadi, con la voce di Daolio che si fa spesso da parte. Insieme a "Opera buffa" per molti anni sara' l'unico live gucciniano a mettere su disco almeno qualche scheggia degli abituali monologhi ironici del cantante tra una canzone e l'altra. Memorabile quello con cui presenta "Statale 17":

"Sulla strada di Kerouac era molto bello letto in italiano ma con i nomi americani: "Quella sera partimmo John, Dean ed io sulla vecchia Pontiac del ’55 del padre di Dean e facemmo tutta una tirata da Omaha a Tucson"... porco cane! E poi lo traduci in italiano e in italiano dici "Quella sera partimmo sulla vecchia Fiat 1100 del babbo di Giuseppe e facemmo tutta una tirata da Piumazzo a Sant'Anna Pelago". Non è la stessa cosa! Gli americani ci fregano con la lingua."

1979c.jpg

I brani fanno tutti parte ovviamente del repertorio anni 60 dell'autore e del gruppo. Rispetto alle versioni naif di Folk Beat n. 1, sono le versioni pulite e ritmate di questo live che cristalizzano nell'immaginario collettivo classici come "Canzone per un'amica", "Atomica cinese" (qui, chissà perché, solo "Atomica"), "Noi non ci saremo", "Statale 17". Guccini si prende e riporta a casa le da lui mai incise "Noi" (gioiello di psichedelia italiana) e "Per fare un uomo" (classica meditazione gucciana sul passare del tempo condotta su un'aria popolare, qui immersa in un'atmosfera prog), ma sopratutto di "Dio e' morto", non a caso cantata solo da lui. Incuriosisce sentir presentare e contestualizzare le canzoni come se gli anni 60, nel 1979, fossero stati un'epoca ormai remota. E probabilmente lo erano veramente, anche se si parla di canzoni di solo quindici, dieci, nove anni prima.

Non ho idea di quanto abbia venduto, tanto immagino. Se dovessi basarmi sulla mia esperienza personale il disco ebbe una diffusione enorme. O, almeno, se c'e' un disco italiano che e' risuonato ossessivamente (e probabilmente da qualche parte ancora suona) nelle autoradio sulle strade di montagna trentine degli anni 80 e' questo, condiviso da padri, zii, cugini e miei coetanei. Quindi uno dei primi dischi che ho ascoltato di Guccini, e uno dei pochi condivisi anche con amici e compagni di scuola. Se devo giudicarlo oggi, le costruzioni sonore dei Nomadi (+ Villotti e Bandini) suonano anche troppo precise e "rock" per la poesia gucciniana, che per quanto mi riguarda ha bisogno di suoni e ritmi piu' indefiniti. Non a caso e' un disco che spesso piace anche a chi non sopporta altro di Guccini. Poi comunque gran live, tirato e incalzante, con una bella atmosfera, se non proprio da festa per pochi intimi almeno da veglione di fine decennio accogliente e caloroso. Splendide "Primavera di Praga" con quell'organo alla Procol Harum e la solenne e intensa versione della "Canzone del bambino nel vento" .

Per continuare il parallelo con "L'ultimo valzer" c'e' pure il film, girato da Silvano Agosti, con mezzi non certo scorsesiani. Mezz'ora tirata tutta di musica, che purtroppo taglia i dialoghi.


  • 6

#139 lazlotoz

    Enciclopedista

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Inviato 07 novembre 2018 - 12:00

Torna a cantare Guccini, nell'ultimo disco di Vecchioni.

 

 

 

Vabbè.


  • 0

#140 Tom

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Inviato 20 novembre 2018 - 14:44

*
POPOLARE

GUCCINIADE UNDICESIMA
OVVERO SONO COMINCIATI GLI ANNI 80: MANTENERE LA CALMA E NIENTE PANICO


"[...]Andavo a Milano molto di frequente, quasi sempre per lavoro, e mi feriva vedere quella gente rintanata nei palazzoni, impossibilitata a uscire e divertirsi. Nel 1981 Bologna era l'America, al confronto. Oggi siamo tutti ragazzi della via Gluck[...]"

 

1981c.jpg

 

1981 Metropolis

 

Colpo di scena inaspettato: finiti gli anni 70 iniziano gli anni 80. Ma al Guccini non gliela si fa, anzi, lui becca subito l'atmosfera urbana che dominera' la musica italiana per tutto il decennio e confeziona uno dei suoi best-seller, trainato dal successo dei nuovi classici "Bisanzio", "Bologna" e "Venezia", che infatti oscureranno le altre canzoni dell'album. C'e' anche un aggiornamento prudente dei suoni e Guccini inizia a strutturare la sua carriera in maniera piu' professionale, costruendo attorno a se' il gruppo storico e definitivo dei suoi musicisti. Anche a livello di poetica si avverte un lieve cambiamento: inizia ad esserci piu' racconto e meno diario personale, con il tipico miscuglio linguistico tra alto e basso che ora punta sempre piu' volentieri verso l'alto. Anche se stavolta la cosa non ha ripercussioni evidenti sul risultato finale (se non in una persino piacevole varieta' di suoni e arrangiamenti), dopo "Stanze di vita quotidiane" e' un altro disco della lavorazione travagliata e difficile per l'autore, causa ancora gli scazzi col produttore Pier Farri, con cui rompera' definitivamente proprio dopo questo disco.

1981a.jpg

Lato A

Bisanzio 5:14
Un'altra Canzone di notte, ma di una notte di 1500 anni fa, o giu' di li'. Dice l'autore, "Bisanzio mi piace ancora moltissimo. E' una canzone molto complessa dove la città diventa metafora, ponte tra passato e futuro, ma anche incapacità di capire, il tutto emblematizzato dalla figura di Filemazio, "amico della conoscenza" realmente esistito.": anche se poi fu suggestionato soprattutto dal nome e gli attribui' conoscenze e personalita' che lo rendessero adatto a diventare l'attore protagonista di questo kolossal storico liofilizzato in cinque minuti di musica. Il tema e' il solito: lo smarrimento umano davanti al caos della Storia e dell'esistenza. Alla storia di Filemazio, che si aggira frastornato nella babelica e decadente Bisanzio di Giustiniano ("imperatore sposo di puttana"), fa da colonna sonora una delle melodie piu' composite e robuste dell'autore. Il passaggio tra le strofe semi-recitate e la parti melodico-epiche denuncia, piu' del solito, quel pizzico di spirito operistico spesso in sottotraccia in molte sue cose. L'arrangiamento, in cui entrano in gioco sintetizzatori e suoni per l'epoca nuovi (ci mise mano anche Lucio Dalla), e' perfetto nel suggerire un'atmosfera sbrilluccicante e lunare, sospesa tra dato storico e suggestioni metaforiche. Da qui in poi diventera' sempre piu' comune per Guccini abbandonare l'autobiorafia diretta per identificarsi in un qualche personaggio storico o letterario. Naturalmente Filemazio e' lui, al tramonto del caos dei 70 e all'alba degli ancora incogniti anni 80. E altrettanto naturalmente tutti in ogni epoca siamo dei Filemazio rintronati, sempre al limitare di un qualche cambiamento epocale, sempre catastrofico e sempre definitivo.

Venezia 4.06 (Alloisio)
Nel fino ad allora monocellulare repertorio musicale gucciniano fa per la prima volta capolino un'altra firma, quella del cantautore Gian Piero Alloisio, collaboratore anche di Gaber e Jannacci. Da questa frequentazione nascera' una manciata di brani scritti a quattro mani, ma soprattutto il reciproco scambio di due canzoni: "Lager" di Guccini e "Venezia" di Alloisio, entrambe incise nell'album del '79 "Il sogno di Alice", uscito a nome dell'Assemblea Teatrale Musicale. Decisamente uno scambio tutto a favore di Guccini, la cui versione di "Venezia" eclissera' totalmente l'orginale, diventando un classico della musica italiana. Hai voglia di star a discutere dei presunti limiti del Guccini interprete: e' il suo vocione che rende incisiva e unica la canzone, e' il suo approccio partecipe ma a ciglio asciutto che ne esalta la potenza emotiva, giocato sul contrasto tra la rabbia dolente del testo e la svagata soavita' della melodia. Beninteso, la versione dell'Assemblea e' un grande pezzo anche in origine, ma molto meno incisiva e riconoscibile a livello strumentale e cantata da Alloisio con uno stile da "cantautore triste" un po' di maniera. Non sorprende che Guccini si fosse innamorato della canzone, assolutamente inscrivibile nella sua poetica, a cominciare dall'aspetto autobiografico alla base del testo: la Stefania della canzone era la cugina un po' piu' grande di Alloisio, la classica cugina bella di cui si infatuano i cuginetti maschi, morta veramente di parto nel 1978. Alloisio fu raggiunto dalla notizia mentre era in tour e partendo da un'aria dal sapore popolare che aveva in testa in quei giorni compose la canzone. Roba che commuoverebbe anche i sassi ("Stefania ha lasciato qualcosa / Novella 2000 e una rosa sul suo comodino"), perfettamente integrata anche nel concept dell'album: la veduta di una Venezia spersonalizzata dal turismo, indifferente teatro di quel "vivere, amare, soffrire", dove ancor piu' che la morte ad intristire e' la consapevolezza che anche il ricordo piu' doloroso e' destinato a sbiadirsi e a farsi meschino ("può darsi che un giorno saremo contenti di esserne solo lontani parenti").

Antenòr 5:19
Titolo poco ricordato, ma importante. Dalla porta lasciata aperta da questa cazone entrano e si accomodano nella discografia di Guccini la musica e la cultura latina, in particolare argentina: nel bene e nel male non se andranno piu'.Vale la pena ricordarla anche perche' e' una gran bella canzone. Un ispirato Guccini parte con una citazione di una poesia di Borges e poi, borgesianamente, racconta con la musica quanto letto in un libro, che raccontava a sua volta di un vecchio gaucho dei primi del 900 famoso per i suoi racconti. Tra cui quello di questo Antenòr, gaucho abile col coltello coinvolto suo malgrado in un duello all'ultimo sangue di cui non capisce la ragione. Ballata incalzante e cinematografica, piena di rapide immagini suggestive ("Un cavallo nitrì, ma quando? Una donna rise, ma dove?") e un sacco di parole accostate e cucite con passione e finezza. Da notare che proprio in una canzone tanto argentina curiosamente non suona il fido compare argentino Flaco Biondini. Un po' tirata per i capelli giusto la presenza di un brano cosi', pieno di pampa e rusticita', in un disco dedicato alle metropoli, ma un Guccini letto non ricordo dove spiegava che in questo caso sono le strade e gli incroci del destino a creare la metropoli. Giustificazione un po' vaga, ma elegante: approvata.

1981b.jpg

Lato B

Bologna 4.36
Il terzo classicone dell'album e' una specie di ritratto di citta' in forma di donna. L'arrangiamento finto-medievale e la melodia trobadorica assecondano l'idea di ironica ode ad un'antica gentil Signora, anche se poi la Bologna della canzone non e' un'aristocratica Dama con l'ermellino, ma una florida popolana, al massimo villana arricchita, comunque "culona", "dai fianchi un po' molli" e di "zigomo forte", e il quadro che vien da immaginare e' piuttosto arcimboldesco, coi palazzi, le case e le piazze al posto di frutti, fiori e rami. Comunque questa citta'-donnona/mamma dai "portici cosce" da cui Guccini si fece adottare, e che per lui fu una "Parigi in minore" comoda e casalinga, e' l'unico agglomerato urbano, almeno sopra un tot di abitanti, con cui l'orso pavanese sembra avere avuto un rapporto sereno e duraturo. Tanto che le dedica un fioretto in cui, caso raro nel suo canzoniere, mette da parte la metafora, decantando e affettuosamente sfottendo il soggetto della canzone senza secondi fini. Anche se poi gli scappa un accenno al consueto legame tra tempo e poesia, per cui anche Bologna puo' essere cantata solo perche' "è quasi ricordo, e in odor di passato", come nelle sue canzoni di non-amore, dove l'amata di turno puo' essere musicalmente immortalata solo se gia' perduta.

Lager 3.42
Senza passare il confine tra cantare un dilemma e fare la predica, si mette in musica una riflessione sui lager inquietante e tetra, anche per gli standard non allegrissimi dell'autore; spigolosita' appena mitigata dal bell'arrangiamento, elegante e soft, forse ancora influenzato da Dalla. La domanda, piu' volte ripetuta, "Cos'e' un lager?" e' posta da Guccini con afflato teatrale, in uno stile forse mai cosi' affine all'amico Gaber. Il preoccupante numero di risposte che la canzone riesce ad elencare in risposta alla domanda non sono comode, a cominciare dalla constatazione che i lager non sono solo quelli del "nazi infame". Piu' che una ripresa del tema di "Auschwitz" e' un'ennesima bordata dell'autore contro i dogmatismi di ogni specie e colore politico, una delle sue tante avvelenate contro gli schemi sociali che possono trasformare in ben poco metaforici "lager" anche intere citta' e societa', levando senso alle esistenze con la routine e la noia, senza bisogno di filo spinato e fucili.

Black-Out 3.52
Forse entusiasma solo me, ma adoro questa suggestiva e misconosciuta perla notturna, che esce dalle citta' e porta l'ascoltatore in una Pavana a cui un black-out regala per una notte le atmosfere di "un altro medioevo". Una specie di "Canzone di notte n.2 e ½" o "Un altro giorno e' andato 2 - La vendetta", dove un Guccini insolitamente sereno e innamorato davanti alla sua Bella rispolvera l'ebbrezza insonne di un certo folk da poeta giullare da lui da tempo trascurato. Un poesia country piacevolmente speziata con un po' di reggae (che il reggae a cavallo dei 70 e 80 come ti distraevi te lo ritrovavi tra le balle). La scarsa fama del pezzo anche presso gli appassionati e' forse dovuta al fraseggio veloce e alla giocosa verbosità del testo, che la rendono quasi impossibile da memorizzare e cantare. Ma se ci si accomoda al buio davanti alla stufa e la si ascoltata con attenzione e' uno scrigno pieno di perle liriche ("il vecchio frigo è ripartito / con i suoi toni rochi e tristi scatarra versi futuristi"), un'elegia alle preziosi illusioni che regala il saper cogliere, in certi preziosi momenti, certe preziose atmosfere.

Milano (Poveri bimbi di) 4.51 (Guccini - Alloisio)
Non si era mai sentito e mai quasi si risentira' un Guccini cosi' rUock come in questo brano, con tanto di assoli di chitarra, un accenno di riff elettrico, un cambio di passo glam e una coda strumentale blueseggiante; anche se e' tutta diversa in generale mi sembra di scorgere nell'atmosfera una vaga influenza dell'allora onnipresente "Another Brick in The Wall". Dunque un pezzo curioso nel suo canzoniere, senz'altro minore, come ammette l'autore stesso. Il testo e' giocato sull'alternanza tra le strofe ironicamente sopra le righe, in cui l'infanzia del dopoguerra e' descritta come un passato mitico e "sborone" ("Quando son nato io pesavo sei chili / avevo spalle da uomo e mani grandi come badili") e le strofe in cui si descrive il grigiore cementifero e marcovaldesco che assediava e assedia i bambini di Milano. La canzone fu iniziata da Guccini, lasciata decantare e poi ripresa e finita insieme ad Alloisio, ma effettivamente se mi piace e funziona bene come chiusa del concept dell'album, come canzone a se' stante lascia l'impressione di tema scarsamente approfondito. Infatti Guccini riprendera' il discorso dodici anni dopo e la sua vera canzone di/su Milano sara' la piu' sentita "Samantha".

 

1981d.jpg

Live @ RTSI [20 gennaio 1982]
Bel concerto alla televisione svizzera pubblicato vent'anni dopo, nel 2001. Piu' che da ascoltare il cd e' da vedere il filmato, dato che il disco, oltre ad avere una scaletta incompleta (manca "Venezia", presumibilmente per questioni di copyright), elimina tutte le battute di Guccini tra un pezzo e l'altro. Che pure sono il vero spettacolo, con il clima rilassato dello studio televisivo che ispira al cantante la sua vena ironica piu' sorniona.


  • 14

#141 kristofferson

    Giù la testa, coglioni

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Inviato 20 novembre 2018 - 14:59

Grande album. Però se dovessi scegliere una sola canzone - sarà che Bisanzio, Bologna e Venezia le ho ascoltate troppe volte - scelgo questa:

 


  • 2

#142 Welsh Wizard

    Roman Candle

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Inviato 20 novembre 2018 - 15:08

Grande album. Però se dovessi scegliere una sola canzone - sarà che Bisanzio, Bologna e Venezia le ho ascoltate troppe volte - scelgo questa:

 

 

Anche io senza alcun dubbio

 

La giustizia disse bandito ma un poeta gli avrebbe detto

Che era come l'Ebreo errante, come il Batavo maledetto


  • 0

#143 Tom

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Inviato 20 novembre 2018 - 15:50

Vi diro', Antenòr mi e' sempre piaciuta, ma l'ho veramente riscoperta per la gran canzone che e' solo riascoltandola in questo periodo per scrivere il post.


  • 0

#144 wago

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Inviato 21 novembre 2018 - 06:24

Vi diro', Antenòr mi e' sempre piaciuta, ma l'ho veramente riscoperta per la gran canzone che e' solo riascoltandola in questo periodo per scrivere il post.

 

Quando per me la musica era Guccini e poco altro, ero arciconvinto che il cantautore avesse pubblicato solo due canzoni brutte nella sua intera carriera: "Luna Fortuna" e "Antenòr".


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"It's a strange world." "Let's keep it that way."

#145 Greed

    round control to major troll

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Inviato 16 novembre 2019 - 14:37

inedito presentato ieri a XFactor
https://youtu.be/hs2iUB7h1Q0

 

Quest'estate sono stato a Pavana. Non so se è più via Emilia o west.

 

Bella l'interpretazione di Carmen Consoli.


  • 0

#146 Perfect Prey

    Fumettaro della porta accanto

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Inviato 17 novembre 2019 - 11:37

Il Guccio vive!
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#147 Cyclo

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Inviato 17 novembre 2019 - 12:39


inedito presentato ieri a XFactor
https://youtu.be/hs2iUB7h1Q0

Quest'estate sono stato a Pavana. Non so se è più via Emilia o West

Che poi oltretutto Pavana, curiosamente, si trova in Toscana.
  • 0

ma che te ne frega dei meno o dei più sei grande ormai, è ora di pensare a una moto di grossa cilindrata.

 

#148 Greed

    round control to major troll

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Inviato 17 novembre 2019 - 16:41

Questa è una cosa non ovvia che ho appena realizzato. Ero convinto fosse Emilia: ci si arriva in quattro passi da una stazione che è in Emilia Romagna.

 

Va beh, dato che ieri ho ascoltato 7-8 volte Scirocco, ho poi scaricato Signora Bovary. Vediamo se mi ricredo su Guccini, che non mi ha mai preso del tutto.


  • 0

#149 Tom

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Inviato 18 novembre 2019 - 09:55

Se qualche disco collettivo a tema fa parte del mio bagaglio culturale (tipo Rogue's Gallery Pirate Ballads), non ricordo un disco tributo ad un singolo autore che mi abbia mai detto qualcosa. Non sara' di sicuro 'sto Note di viaggio a farmi cambiare idea, anche perche' rifare la maggior parte del repertorio di Guccini ha senso quanto fare il remake di un documentario, tanto le sue canzoni sono legate a doppia mandata alla sua personalita' e biografia. Comunque il disco mi rimbalza davanti agli occhi in ogni dove e alla fine me lo sono ascoltato, quindi vado col giochino dei giudizi "in diretta".

 

I nuovi vestiti sonori con cui Pagani ha arrangiato le canzoni sono a volte interessanti, a volte no. Comunque sono davvero nuovi, tanto che ascoltando il disco senza scaletta sono riuscito a riconoscere solo due o tre pezzi prima che il cantante di turno iniziasse a cantare.

 

Auschwitz · Elisa: discreta. Pagani becca l'atmosfera metafisica della canzone, ma arrangia troppo ficcandoci dentro troppo roba. Con la sua voce Elisa poteva evocare i 60s di Joan Baez o Judy Collins che rifacevano Dylan e Cohen, ma i cinguetti da soul singer moderna non c'entrano davvero una fava: immagino volessero essere spiritual, invece richiamano piu' le manine svolazzanti di Mariah Carey. Forse un po' meno di discreta, a ripensarci.

 

Incontro · Ligabue: esecuzione e arrangiamenti un po' didascalici, con la voce da sogno erotico per cassiere del supermercato di Ligabue che non e' esattamente l'ideale per una delle canzoni piu' intime e delicate del canzoniere di Guccini, ma alla fine e' compito ben svolto, con il Liga che becca un appropriato tono laconico e neanche ci prova a farla davvero sua, restando un pelo distaccato. Corretta.

 

Scirocco · Carmen Consoli: non a sorpresa la Consoli e' la prima a convincermi davvero. Si prende intelligentemente uno dei rari pezzi in (quasi) terza persona dell'autore e evita il paradosso che una canzone che propone un punto di vista tanto maschile sia cantata da una donna concetrandosi sul genere. Azzeccata probabilmente perche' e' piu' "Consoli canta un tango" che "Consoli canta Guccini": forse poteva essere la formula giusta per tutta l'operazione. Bella.

 

Stelle · Giuliano Sangiorgi: non male l'idea di riprendere questo pezzo semi-dimenticato, trascurato anche dal suo autore, ma ci voleva piu' coraggio. L'originale viveva del rischioso equilibrio tra l'atmofera da lento da balera e la cosmicita' dell'argomento, qui si prova a poppizzarla finendo per rendenderla anonima. Devo dire che Sangiorgi mi risulta meno insopportabile di quello che mi aspettavo, ed e' piuttosto Pagani a steccare quando ammazza l'atmosfera, ovviamente notturna, facendo entrare in gioco una drum machine 90s (o quel che l'e': comunque questi ritmi sintetici sono una piaga da cui la musica italiana sembra non riuscire proprio a liberarsi). Modesta.

 

Tango Per Due · Nina Zilli: altro tango che tanghizza, come per la Consoli, ma con meno personalita'. Tutto sommato la voce a vele spiegate della Zilli fa un non spiacevole effetto da "vai col lissio!", rendendola una canzone che vive nel mondo provinciale e appartato descritto nella canzone stessa. Sensata e simpatica.

 

Vorrei · Brunori Sas: a leggere i commenti sotto il video yt sembra che questa versione di uno degli ultimi classici del Nostro sia uno dei pezzi meglio accolti di questa raccolta. No so, dipendera' da una certa affinita' di reciproco pubblico. Ma io c'ho proprio un'indiosincrasia per questi cantanti indie dal cantato strascicato e dalle vocali spalancate, soprattutto quella cazzo di "e": "VorrÈi" "VorrÈi" "VorrÈi". Bah. Mettiamoci un arrangiamento che non si inventa nulla e di dirÈi che e' la peggiÒre, finora.   

 

Canzone Quasi D'amore · Malika Ayane: la beniamina dei raffinati che ascoltano Sanremo non mi ha mai detto nulla. Devo quindi dire che la riuscita di questa cover mi ha sorpreso. La canzone era rischiosissima e molto difficile, Pagani la serve bene sottolinendone la discendenza francese, o belga, visto che c'e' molto Brel. La Ayane fa la voce triste da cantante da tabarin triste e rende coerente che un'altra canzone assolutamente maschile sia cantata da una voce femminile. Bene.

 

Quattro Stracci · Francesco Gabbani: "finÈstra", "dÈstra" "etÈrno", "guidÀre". Dioporco.

 

Noi Non Ci Saremo · Margherita Vicario: sono vecchio se mi chiedo da dove salta salta fuori questa ragassuola? Per altro davvero non male la parte visiva fornita da google immagini. La parte sonora invece e' assolutamente anomima, ma anche per colpa di un Pagani che, piu' ancora che radiofonizzare, "xfactorizza" senza pieta'. Insulsotta.

 

L'avvelenata · Manuel Agnelli · Mauro Pagani: et voila', sulla canzone piu' scivolosa del repertorio ci scivolano e sbattono il culo in coppia, tra cui il curatore della raccolta. Come gia' per la cover di Carboni di qualche anno fa, risalta l'inutilita' di estrapolare una canzone del genere dal suo tempo e dal suo contesto. Lo stesso Guccini l'ha sempre rifatta a fatica finendo per odiarla, conscio che non avesse senso replicare quello che a tutti gli effetti era un happening legato a un determinato umore e momento storico. E si' che era intelligente il tentativo di "classicheggiarla" e farne una versione che ne mettesse in risalto la musicalita', forse buona pure l'idea di saltare il problema della personalizzazione attraverso un duetto, ma la doppia voce alla fine non arriva a trovare un senso e ad affossare il tutto ci pensa una svolta "ruock" che ricorda la Nannini piu' plasticosa. Flop.

 

Canzone Delle Osterie Di Fuori Porta · Samuele Bersani · Luca Carboni: per chiudere altro duetto, pero' un po' meglio. Un Pagani parecchio pigro ci mette un arrangiamento di trasandatezza quasi da karoke, ma Carboni e Bersani sono in palla. Soprattutto l'ex segretario del PD a tratti becca delle belle sfumature, mentre Carboni "carbonizza" in modo non spiacevole. Sufficiente. 

 

Mi sono tenuto per ultimo l'unico motivo per cui alla fine ho ascoltato il disco...

 

Natale A Pavana · Francesco Guccini: dice gia' molto la copertina (brutta assai) col Guccini scoglionato degli ultimi anni che sembra lo sconsolato prigioniero di una ciurma di tamarri. Ieri sera da Fazio si vedeva lontano un chilometro che non gliene frega piu' niente della musica, e che non gliene puo' fregare di meno del disco in questone. Ha ripetuto tre-volte-tre "ormai sono uno scrittore", gli moriva in gola ogni risposta riguardante le canzoni, mentre si riaccendeva ogni volta che c'era da parlare dei suoi libri, e ha ritrovato la verve sorniona commentando le foto che passavano sullo sfondo (dove era puntualmente l'unico ancora vivo). Ma naturalmente quel mona di Fazio non violeva darsene per inteso. Me lo immagino il povero Guccini preso da assedio e per sfinimento dai vari Vecchioni, Pagani e rompicoglioni vari, tutti li' a cercare di fargli cantare ancora qualcosina. Visto che, appunto, l'anno scorso Vecchioni era riuscito a strappargli lo svogliato cameo per quel concentrato di banalita' di "Ti insegnero' a volare", meglio comunque che sia tornato a cantare un'ultima(?) volta per qualcosa di piu' sentito e autografo.

 

Se sette anni fa "L'ultima Thule" faceva della propria stanchezza la sua stessa ragione di essere, ma era ancora l'opera di un cantante gia' ex-tale che pero' ancora ricordava i trucchi del mestiere, qui siamo ad un Guccini irrimediabilmente dimentico e disinteressato di ogni tecnica. L'interpretazione e' chiaramente un "la canto una volta sola e non rompetemi piu' le balle", con la voce che ritrova confidenza col cantare man mano che la canzone va avanti e un paio di cedimenti che nessuno ha potuto correggere. Insomma i quasi 80 anni si sentono tutti, sembrano anche 90, e bene cosi'. Perche' nonostante l'autocitazionismo di Pagani (un pelo fastidioso nel suo sbracciarsi dietro Guccini per ricordare a tutti che lui, si' proprio lui, e' quello di "Creuza de ma") sembra di sentire la registrazione etnografica di un qualche antropologo che fa cantare a braccio un vecchio mugnaio una canzone di un mondo scomparso. Che poi e' proprio cosi', a cominciare dal dialetto pavanese ormai abbandonato in cui e' cantata, e con un Guccini vegliardo che torna definitivamente ai suoi fantasmi, citando per nome e al di fuori di ogni metafora i volti della foto di "Radici". E naturalmente con questo suo sgrammaticato amarcord pieno di neve, fumi, nebbie e focolari accende una luce nel buio che i coverizzatori succitati possono solo intravedre da un treno.


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Inviato 18 novembre 2019 - 10:08

 

 

"finÈstra", "dÈstra" "etÈrno", "guidarÈ". Dioporco.

 

Quella "è" non è una misura dell'accento eh, è un metro di civiltà (tranne l'ultima, che ho dubbi che ci sia peraltro).

Il verso problema è [also], perfino Guccini lo dice giusto


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"It's a strange world." "Let's keep it that way."




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