Bedhead – Transaction de novo 82/100
Che bella band I Bedhead, rappresentano nell’universo post-rock il giusto punto di equilibrio tra l’apatia congenita Codeine, l’immobilismo perpetuo dei Low e la tensione post adolescenziale degli Slint, fatto di una voce che pare raccontarti una favola, melodie cullanti e schitarrate più potenti di quel che sembrino.
David Bowie – Blackstar 77/100
Dopo il più tradizionale The next day, Blackstar torna a ritmi obliqui e cupi (nomen omen), che rispolvera certi ritmi jungle da Earthling (Sue) e certi apprezzamenti tardivi (la voce ricorda molto i Tv on the Radio in Girl loves me). Involontariamente ma inevitabilmente le splendide Blackstar e soprattutto Lazarus appaiono come crudi testamenti a cuore aperto. Seconda parte del disco è meno avvincente della prima.
Calexico – The black light 88/100
Come ipotetici Tindersticks nati e cresciuti in uno qualsiasi dei confini nel mondo tra primo e secondo/terzo mondo, i Calexico creano una avvincente colonna sonora molto strumentale di soli cocenti, polvere e sangue rinsecchito, serate in veranda chitarra in mano e processioni della Beata Vergine. E frontiere, fisiche e non.
Idles – Brutalism 82/100
Era tanto tempo che non imparavo a memoria un pezzo, nella fattispecie Mother. Noise rock scuola Amphetamine reptile virato Fall in pezzi rocciosi senza fronzoli fatti di bassi veramente bassi e punk, chitarre scintillanti e Joe Talbot che ringhia tutta la frenesia e la noia e la speranza e la merda dell’attuale *paese occidentale a caso*, che siano le risse da bar nell’agenda quotidiana (Exeter), il fallimento come risposta alla standardizzazione (Well done), sbronze e sesso triste (1049 Gotho) o quei momenti di vuoto, sia morale che fisico, a fissare il vuoto e lo schifo dell’umanità in una sala di aspetto d’ospedale mentre la propria madre muore (Mother). Bomba!
Claudio Lolli – Aspettando Godot 73/100
L’ho trovato un po’ troppo acerbo e frenato, specialmente dal punto di vista degli arrangiamenti, a volte appesantiti inutilmente da archi troppo standard. Anche leggendo i testi, emerge qua e là una punta troppo appuntita di retorica e di autocommiserazione, specie in Angoscia metropolitana e Quelli come noi, i due pezzi che francamente segherei. Però cazzo era un cantautore di 22 anni nel pieno dei riflussi pseudo politici che inquinavano gli ambienti, compreso quello musicale, di quegli anni, pertanto si tratta di difetti ampiamente perdonabili di fronte alla dolcezza del ricordo infantile di Michel, all’illusione mentale di fuga de L’isola verde, alla terrificante psicanalisi della fine di un rapporto (Quello che mi resta, bellissima), tutti pezzi che prediligo rispetto ai due totem del disco, Apettando Godot e Borghesia (paradossale come oggi, 2019, il veleno rigettato nel testo avrebbe come destinatari classi più povere rispetto alla borghesia di quegli anni). Straniante in generale come la voce gentile di Lolli non faccia che raccontare tutte storie finite male.
Massive Attack – Protection 69/100
Non conosco ancora Blue Lines, conosco Mezzanine, che per me è non uno ma due livelli sopra. Trovo questo tipo di trip-hop troppo asettico per i miei gusti.
Bob Mould – Bob Mould 77/100
Gli Husker sono gruppo della vita in cui tutti e 3 gli elementi sono imprescindibili alla pari. Tuttavia, 3 su 4 pezzi che amo sono di Hart. Ciò detto, Mould è autore che se ne mangia migliaia, però quando accellera il tutto si normalizza su un punk rock veloce ma normalizzato (ad eccezione di I hate alternative music, che ha una coda reiterata molto bella), quando rallenta troppo ed imbraccia l’acustica è cuore in mano bello ma a rischio saturazione. Nel mezzo, il meglio: Anymore time between è una hit indie mancata, Egoverride è mid tempo ad elevato tasso di saturazione delle chitarre (che è sempre cosa buona e giusta), Hair stew è rancore trattenuto pugnalato da feedback che sembrano trapani nel cervello.
No Age – Everything in between 74/100
Noise pop in cui il pop aumenta rispetto al noise, andando a parare spesso nei paraggi degli Yo la Tengo. Sono e rimangono una band interessante che qui mi pare più matura ed anche più cosciente rispetto all’esordio Nouns (riascoltato: 73/100, Ripped knees pezzissimo!).
Pretenders – II 79/100
Non ero nato e non so quanto e se i Pretenders fossero mainstream, ma immagino di sì perché se ci notate sono fuori dai radar di buona parte della critica musicale, specie italiana – dato che siamo in periodo di neo-analisi sullo scaruffismo e dintorni -. La trovo una band veramente densa, in questo secondo disco osano pur rimanendo “tradizionali” (l’urlo di Bad boys get spanked da un lato, la splendida tripletta finale Jealous dogs/The english roses/Louie Louie dall’altro) e senza nessun ammiccamento di sorta che è quello che mi infastidisce dei Blondie, ad esempio.
Swans – Love of life 83/100
Gli Swans sono quella band di cui avrei paura a scriverne male persino da dietro la tastiera. Se devo dire un nome, dico Amnesia.
Thin White Rope – Sack full of silver 80/100
Splendidi sempre, sabbiosi, rochi, umani.
Villagers – Becoming a jackal 77/100
Dietro c’è Conor O’Brien, che sembra, anche fisicamente, un Conor Oberst senza il palo nel culo. Il suo esordio è delizioso, pop/folk fatto da Dio che non perde mai quel minimo di leggerezza che potrebbe far credere che il tuo sia solo leziosità (un po’ lezioso lo è eh): I saw the dead parla di morti ma come lo farebbero i bambini che hanno paura dei mostri che escono dall’armadio, Home e Pieces sono classic hit indie-acustiche che hanno il pregio di non essere i pezzi migliori del disco, palma che spetta al pop ye-ye di The pact (I’ll be your fever) e all’ebbra Pieces, ingenua e sincera come solo le serate guidate dal vino possono essere.
Riascolti:
Texas Instruments – Sun Tunnels 85/100
Ne ho parlato nel topic dei figli di un indie minore, ma non mi avete cacato di striscio: questi fratellastri dei Meat Puppets erano una manna dal cielo
Bugo – Dal Lofai al Cisei 78/100
Detto brevemente nel topic di Bugo: c’è del genio, pur essendoci sempre un retrogusto di “guilty pleasure”nell’ammetterlo. Probabilmente il non prendersi per nulla sul serio di Bugo si trasmette per osmosi sull’ascoltatore.
Be your own pet – Be your own pet 77/100
Hanno avuto ad un certo punto I warholiani 15 minuti di fama su Rumore. Io dico che dischi punk rock così energici e divertenti se ne trovano pochi.
Envelopes – Demon 59/100
Nello zenit dell’indie rock dei 2000 (il 2005) questi svedesi sfasciati sembrano i cugini scemi dei Pixies che azzeccano il pezzo n.1 della classifica neozelandese con 30 anni di ritardo (Sister in love). Ci sono altri 3 pezzi belli, il resto è fastidioso.
Franz Ferdinand – Tonight: FF 72/100
Buoni senza farmi impazzire, se penso che in quegli anni quando si parlava di Garage rock si nominavano loro mi esplode il cervello.
Jam – Setting sons 74/100
Secondo me perdendo la verve punk hanno perso qualcosa.
Jefferson Airplane – Volunteers 88/100
Nicky Hopkins li ha trasformati in una specie di Rolling Stones del rock psichedelico. Il fatto che Volunteers sia l’ultimo e non il primo pezzo del disco ha il sapore della fine di un sogno.
Royal Trux – Royal Trux (1988) 83/100
Creano della “musica” fatta di nulla col nulla oltre ad un evidente stato psicotropo ai limiti del coma. Non saprei, è un caos , ma è figo e persino cool.
Sleater-Kinney – Sleater-Kinney 68/100
Grrrrrrrr con le mestruazioni
Swans – White light from the mouth of infinity 88/100
Fondamentalmente, un Blonde on blonde gotico.
Bob Dylan – Blonde on blonde 94/100
Black Angels – Dimensions to see a ghost 85/100
Acid rock monumentale, al di là di ogni possibile discorso cronologico.
Nine Inch Nails – The downward spiral 99/100