Il Goddard con una "d" in piu' ha sfornato una tardiva, probabilmente futile, ma molto gradevole tarantinata da bei vecchi tempi andati, in cui per altro dimostra quello che tanti ormai avevano capito, cioe' che "Quella casa nel bosco" era piu' suo che non di Whedon. Fosse uscito nel '98, 'sto "Bad Times at the El Royale" sarebbe diventato un cult di una certa qual dimensione, uscito oggi non se l'e' cagato nessuno. O almeno mi sembra. Eppure e' una di quelle pulpfictionate jackiebrownate che un tempo piacevano a grandi e piccini: aria finto-vintage, atmosfera un po' matta, incastri temporali, e NON tutta quella violenza che tanto i detrattori che i fan piu' pirla vogliono vedere nei film di Tarantino e che poi, appunto, non c'e'. Visto lo spunto iniziale rappresenta un po' quello che tanti avevamo pensato sarebbe stato "Four Rooms" e poi non e' stato manco alla lontanissima. Ecco, cristo, se e' diventato un piccolo cult quella fetecchiola (a cui pure sono affezionato) perche' non dare una possibilita' a questo? Intendiamoci Goddard non e' Tarantino: non scrive quei dialoghi e quando se la prende comoda coi tempi sembra farlo piu' per vezzo che non per manipolare le aspettative degli spettatori. Pero' chissenefrega se e' solo l'inutile tentativo di rifare un modello migliore, ne uscissero uno al mese di film cosi' ben fatti che almeno ci provano.
Nel cast svetta ovviamente con comodo il solito Jeff Bridges, nella sua galleria di rintronati cronici mi pare mancasse il caso clinico proposto nel film.
Ah, curiosamente il tutto anticipa proprio il Tarantino prossimo venturo, dato che il film e' ambienato nel 1969 e ad un certo punto entra in scena una family mansoniana.
Dalla serie, ma che ne sanno i millennials di come noi nei 90s immaginavamo dovessero essere messi in scena i 70s...