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A Quiet Passion (Davies, 2018)


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14 replies to this topic

#1 Conato

    Roadie

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Inviato 30 giugno 2018 - 09:08

La storia della celebre poetessa statunitense Emily Dickinson dagli anni della trasgressiva giovinezza alla vita adulta di auto reclusione. La poetica silenziosamente ribelle di Terence Davies trova, in questo poliedrico e controverso personaggio, un ottimo spunto per mettere a frutto il suo passato di fine conoscitore dell’animo femminile, dando vita ad alcune sequenze che rasentano il sublime. Il risultato è un preciso ritratto dell’artista americana, privata del mito e definita unicamente come essere umano.

 

A_Quiet_Passion_locandina_2.jpg

 

http://www.ondacinem...et-passion.html


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Ogni uomo nella culla
succia e sbava il suo dito
ogni uomo seppellito
è il cane del suo nulla

#2 tiresia

    Sue Ellen

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Inviato 12 dicembre 2018 - 08:41

Una indomita ribellione.
Girato magnificamente (la voracità con cui scrive al tavolino, la macchina da presa che imprime il desiderio vanificato nel buio) e sceneggiato in maniera brillante (dialoghi sagaci e pungenti). Affascinante.
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#3 Tom

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Inviato 12 dicembre 2018 - 09:07

Per me sono 'sti cazzo di biopic e le storie "vere" che stanno ammazzando (quel che resta de) il cinema, altro che i supereroi.


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#4 tiresia

    Sue Ellen

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Inviato 12 dicembre 2018 - 10:01

Mi vogliono portare a vedere pure Colette, pensa te. Non è rimasto molto altro, hai ragione, cioè, ci sono i remake in carne ed ossa dei classici a fumetti, vuoi mettere?

Però questo film è proprio bello, c’è una idea di indipendenza, di ribellione, di vita famigliare feconda e pure faconda, di sentimenti contrastanti, di passione vera. Non me lo aspettavo.
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#5 George Kaplan

    Giraghiere a tradimento

  • Redattore OndaCinema
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Inviato 12 dicembre 2018 - 11:01

Mah, in realtà avercene di film così.
Terence Davies è un grande regista e dopo lo stallo del nuovo millennio, con la mutazione del suo cinema e il nuovo periodo degli adattamenti letterari, avevo temuto il peggio. La casa della gioia era, in effetti, un film instabile, in cui le due anime del testo a monte (della Warthon, nientemeno) e di Davies mal si conciliavano. Poi sono arrivati Of Time and the City e The Deep Blue Sea e lì il discorso di Davies ha trovato nuova pregnanza dopo gli apici degli anni 80-90. Qui, poi, si è lanciato nella sfida di tradurre visivamente la vita e l'opera della Dickinson e in questa sfida ha saputo mettere a frutto tutta la sua esperienza di cineasta teso all'esplorazione di mondi interiori - come sempre, è l'impalpabile il centro del suo film.

L'inizio è paradigmatico del procedimento di Davies. Di fronte a una solerte istitutrice che chiede alla Dickinson di scegliere la sua posizione nel mondo, Emily risponde di non poterlo fare per i troppi dubbi che la tormentano. La prima è ripresa frontalmente, al centro dell'inquadratura, fissa, simmetrica, inamovibile. La Dickinson, invece, occupa una posizione decentrata, instabile. Una marginalità che le appartiene e che Davies inscrive subito nella logica della visione.

PS: carino anche Colette, ma è un altro campionato


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#6 Tom

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Inviato 12 dicembre 2018 - 12:54

Io non contesto il singolo film, che puo' essere anche bello (toh, a me non era dispiaciuto Bright Star sul genere), ho postato in questo topic, ma potevo farlo in quello sotto (la biopic dei Queen) o quello sotto ancora (biografia di Armstrong) o su un qualasiasi altro topic dedicato a un film "basatosuunastoriavera".

 

Diciamo che per me i biopic (tanto questo che quello sui Queen), concettualmente sono assolutamente identici ai film sui supereroi: opere dove l'importante e' la messa in scena di un derminato soggetto e solo molto secondariamente come viene filmato.

Che differenza c'e' tra il nerd che va a vedere il film "live" sul suo supereroe e l'eventuale appassionato di poesia che va a vedere un film come questo? Il tipo di curiosita' su cui fanno leva questi film e' esattamente lo stesso: film come diorami che cristalizzano parti di questo o quell'immaginario, che soddisfano piu' un senso di curiosita' che non una voglia di storie, atmosfere e visioni.

 

Poi, ripeto, qualche biopic, come magari questo, puo' anche essere bello, come del resto c'e' del vero cinema anche in qualche cinecomic, ma resto dell'idea che entrambi i generi siano sintomo e causa della crisi d'idee di tanto cinema degli ultmi e penultimi anni (e pure le serie tv mi sembra stiano seguendo a ruota: anche li' sono sempre di piu' quelle semi-documentaristiche e biografiche). Con la differenza che se si porta sullo schermo Aquaman coi colori pacchiani allora e' facile puntare il dito, se si porta in scena la grande potessa con i controluce soffusi bisogna andarci cauti. Anche se poi e' evidente che come regista 'sto Davies non vale la meta' di un James Wan: ma appunto non sono film giudicati attraverso criteri cinematorafici. Insomma, per me, se non sono lo stesso fottuto campionato sono almeno lo stesso fottuto sport. 


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#7 lazlotoz

    Enciclopedista

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Inviato 12 dicembre 2018 - 13:03

Dì la verità però, hai scritto qui e non sul thread del film sui Queen perché sapevi che di là ti avrebbero cagato il cazzo di brutto.

 

(forse è più un discorso da mettere in pensieri liberi, ma in linea di principio capisco cosa intendi. Esageri un po'. Per fare un esempio solo, ne ho scritto due righe sui film visti, Dovlatov dovrebbe essere un biopic, ma è un altra cosa, perché al regista frega niente del fatto biografico in sé. Ecco se si parla di un film biografico parlando della verosimiglianza con la realtà, beh s'è capito meno di zero di cosa sia il cinema).


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#8 Tom

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Inviato 12 dicembre 2018 - 13:27

No no, io voglio rompere i coglioni proprio su film come questi, troppo facile fare lo stesso discorso sul film dei Queen o di un cinefumetto. A me stanno sulle balle questi film che ti vogliono far sentire "poetico" perche' mettono in scena la poetessa che fa poesia. Fate i film tratti dalle poesie della Dickinson, se siete capaci. O eventualmente un film su di lei come fosse una sua poesia. No, eh. Piu' facile fare il period drama con tutti i costumi a modino, l'attrice protagonista sentitamente intensa, e la musicona classica in sottofondo. 

E secondo me non esagero per nulla: concettualmente e' la stessa identica cosa che mettere in scena la versione live del Doctor Strange.    

 

Il film su Dovlatov non mi pare c'entri col discorso, come non c'entrerebbe un Casanova di Fellini o un Aguirre di Herzog.


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#9 bELLE ELLEish

    TOPAZIO

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  • Location...riverrun

Inviato 12 dicembre 2018 - 14:05

Mi ero dimenticato il collegamento fra titolo e film, lo ho visto al cinema e pure in lingua, quindi posso dire che Tom ha solo praticamente ragione (nel senso, in teoria è pieno di biopic potenziali filmoni su tutti i piani) ma non capisco proprio Tiresia e GK.

Film con scene (e scenografie, e trucchi) a tratti sciapissimi, a tratti da film BBC o peggio che la prof di inglese ti fa vedere a scuola, a tratti molto buone. In particolare la sezione onirica e forse autoerotica.

Resa bene la Dickinson contraddittoria, non certo eroina atea ma solo eretica come tante figure della Chiesa, resa così così la poesia. Da quella mente si poteva trarre un film psichedelico o malickiano, qua viene una prudente via di mezzo dove la prudenza pare venire da esigenze della rai.

Ora ho il sospetto di averlo già commentato, prima posto poi controllo
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A proposito del Maurizio Costanzo show, a me l'ospitata del Joker al programma del personaggio di De Niro ha ricordato una di Aldo Busi, ma proprio uguale, compreso il balletto con cui si presenta al pubblico. Dubito che Phoenix si sia ispirato a quella, ma in certe parti, quando si mette a checcheggiare, la somiglianza era impressionante.

il primo maggiorenne che vedrò vestito da joker a carnevale, halloween o similia lo prendo per il culo di brutto
minimo un A STRONZOOOO, ANCORA STU JOKER? STRONZOOOO, vieni a casa mia che ho bisogno di una mano a sgomberare la mansarda, STRONZOOOO

There is a duality between thought and language reminiscent of that which I have described between dreaming and play

Man the sum of his climatic experiences Father said. Man the sum of what have you


#10 Earl Bassett

    se ci dice bene finiamo nella merda

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Inviato 12 dicembre 2018 - 14:08

Teniamo anche presente però i danni fatti da Malick alla cinematografia mondiale, sia con i suoi ultimi film sia con i suoi improbabili adepti che spesso per altro si applicano proprio a questi film biografici pieni di silenzi e poesia.


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#11 George Kaplan

    Giraghiere a tradimento

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Inviato 12 dicembre 2018 - 14:09

Non so, sulla questione della comodità mentale offerta da film biografici o tratti da storie vere sono anche d'accordo - devo pensare meglio al parallelo supereroistico, che non sono sicuro sia così a fuoco in generale. Il punto è che per me sbagli bersaglio: questo non è semplicemente un film di quel genere fatto bene, è proprio un'altra cosa; un film che, infatti, ha lasciato insoddisfatti quelli che sono andati a vederlo aspettandosi un Colette qualunque.

Ora son di fretta, scusate, dopo magari argomento meglio. Però messa in scena sciapa proprio no, dai.


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#12 lazlotoz

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Inviato 12 dicembre 2018 - 14:36

Non so, questo non l'ho visto. Ma se la critica è sul biopic in generale lo si deve fare su quei film che appunto raccontano la storia di uno o dell'altro (poeti, artisti etc) senza usare il linguaggio filmico per fare uno scatto rispetto al raccontare la loro storia. Cioè usare il linguaggio cinematografico nella sua capacità implicita.

Su quelli ci sta il paragone con i cinefumetti.

Ma non è il genere in sé. 

Dici che Dovlatov, Casanova, Aguirre son diversi, ma perché? Penso a Jarman che ha fatto dei film su personaggi, Caravaggio o Wittgenstein per dire. O tanti altri.

 

Oppure stai semplicemente e tautologicamente dicendo che i film brutti che raccontano le vite di gente son film brutti. E allora siamo d'accordo.


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#13 William Blake

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Inviato 12 dicembre 2018 - 14:37

La discussione è interessante ma forse vanno fatti dei distinguo: i film biografici ci sono sempre stati e un film su Emily Dickinson con Cynthia Nixon e girato da Terence Davies non si può paragonare a "First Man" di Chazelle con Gosling. E parlo proprio a livello progettuale/produttivo (perché "A Quiet Passion" non l'ho visto): non richiama gli stessi capitali, non ci sono gli stessi investimenti né il medesimo marketing. Dopodiché Davies ha 73 anni e non so quanto sia influenzato ad Malick (ma ripeto il film non l'ho visto e quindi può pure essere). 


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Ho un aspetto tremendo, e non bado a vestirmi bene o a essere attraente, perché non voglio che mi capiti di piacere a qualcuno. Minimizzo le mie qualità e metto in risalto i miei difetti. Eppure c'è lo stesso qualcuno a cui interesso: ne faccio tesoro e mi chiedo: "Che cosa avrò sbagliato?"

#14 tiresia

    Sue Ellen

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Inviato 12 dicembre 2018 - 15:05

Io sono d'accordo con Tom, al cinema ormai poco oltre il biopic, i fumetti e, aggiungo, i live action dei cartoni.
Detto questo ci sono le eccezioni, questo a parer mio è più bello, come lo fu il citato Bright Star e non perché c'è la riproduzione d'epoca, ma perché c'è più cinema inteso come idea visiva, impronta personale: come nel film della Campion vedevi l'idea cinematografica della Campion, qui vedi il tentativo di rendere una persona filtrandola da quello che al regista i suoi scritti hanno detto, cercando, inoltre, di rendere propria una idea di donna e di artista e questo è molto oltre la ricerca di una verosimiglianza (al netto di una certa coerenza della storia, ossia lei non scappa felice alla fine con il suo amato, ecco).
Lurker, mah, io l’ho trovato invece buono e per nulla piatto.


(i Queen: è un fenomeno di costume, poco da dire. Nel mio caso chi mi ha detto è un capolavoro mediamente non capisce nulla di cinema, fondamentalmente gli è piaciuto il film "e allora è un capolavoro". Perché gli è piaciuto? Le canzoni e cavoli "E' uguale uguale a Freddie Mercury, cioè io c'ero e lui si muoveva così". Ammetto che l'entusiasmo sincero mi ha colpito, la gente in sala rapita proprio, ma il film in quanto film è blah)
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#15 George Kaplan

    Giraghiere a tradimento

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Inviato 13 dicembre 2018 - 10:08

Ribadisco che non sono in disaccordo sulla protesta in generale, anche se, forse, il discorso andrebbe ampliato. Il tipo di curiosità su cui fa leva il biopic di turno non è poi lontano dall'ammicco sornione dell'ennesima riedizione di un, per dire, Frankenstein (ben due, a pochi mesi, nel 2016): parliamo sempre di un interesse indotto dalla genericità di un riferimento culturale che vogliamo far nostro. Quanti hanno letto le poesie della Dickinson prima di vedere il film di Davies? E tra quelli che hanno riso del Victor di McGuigan, chi ha letto il romanzo della Shelley? Questo per dire una banalità, infine: che il problema non mi pare rintracciabile nel biopic, nella storia vera, nel supereroe, quanto nella debolezza di un comune immaginario ridotto ai minimi termini. Vorrei anche fare una deriva - e siamo all'opposto, ma credo in un minimo comun denominatore - sugli horror e quanto a essi nuoccia l'obbligo di essere intelligenti per soddisfare un pubblico avido di campi lunghi e inquadrature fisse, ma qui si va fuori strada - seppure, credo, non troppo.

Ora, il centro della questione. Tom, dici: opere dove l'importante e' la messa in scena di un determinato soggetto e solo molto secondariamente come viene filmato. Lo prendo come definizione di una categoria in cui includi A Quiet Passion. Ecco, qui non sono d'accordo. Questo film non è concettualmente uguale a quello sui Queen - che non ho visto, ma mi fido della rece e degli insulti che si è beccato nel thread apposito. Terence Davies non è un James Wan qualsiasi, ma un autore con alle spalle una personalissima poetica e un preciso sguardo sul mondo innanzi a sé, coltivato in decenni di cinema praticato e vissuto. Le sue ossessioni sono il tempo, la memoria, il disfacimento e la morte. Ha iniziato negli anni 80 mettendo in scena la propria infanzia e realizzando una delle trilogie più belle sull'amore per il cinema, culminante ne Il lungo giorno finisce. Quei movimenti di macchina ariosi e sognanti, quegli intermezzi per cui  (credo) si è erroneamente citato Malick sono invece il corollario di uno stile onirico e personalissimo, che è maturato nel giro di tre cortometraggi e tre anni di scuola di cinema e che Davies non ha mai abbandonato. A Quiet Passion ha, certo, dialoghi brillanti - e un po' facili; ha colori limpidi negli esterni e soffusi negli interni - siamo in un '800 di maniera? può anche darsi, quel che Davies cerca di darci non è il ritratto di un'epoca, ma di un'anima. Entra in punta di piedi nel mondo della Dickinson, si fa spazio con garbo e poi la sorprende, a più riprese, nel mezzo di quegli scarti della sua vastissima immaginazione. Per dire: la sequenza serale in cui ascoltiamo la voce di lei che dice una poesia (quella che recita The Heart asks Pleasure - first- e termina invocando il privilegio di morire) e intanto una panoramica muove attorno svelando i vari membri della famiglia impegnati in letture, cucito e ozi vari e che poi si conclude sul volto della Dickinson sconvolto da una qualche rivelazione improvvisa mi par che riesca far sentire con grande intensità - nel contrasto tra la quiete di un ozio serale, un lento e continuo movimento sugli arredi, le parole superbe di lei, il suo sguardo curioso e lo stesso, d'un tratto, confuso e disorientato - quei vuoti che si aprono nelle sue poesie. E non è solo forza di parole, per me, ma, appunto, di messa in scena, della capacità di Davies di lavorare sul tempo e lo spazio.

Dell'inizio, che già inscrive in una precisa scelta di campo la disperazione cognitiva della poetessa, ho già detto. La seconda parte è, poi, un lungo e dolorosissimo procedere lungo l'ossessione della morte, del disfarsi di ogni cosa. Il lungo giorno finisce inizia con l'immagine di una composizione floreale che va sfiorendo in time-lapse, mentre il minuetto di Boccherini, indifferente alla bellezza che gli muore accanto, suona tutta la sua allegra spensieratezza. Davies batte sempre sullo stesso chiodo e se la sua ossessione per i padri autoritari ha, forse, trovato una felice risoluzione nella figura del genitore della Dickinson, quella per la morte e la malattia rimane una ineludibile costante.

Sospetto, poi, che un film psichedelico sarebbe fuori luogo. La Dickinson non ha mai cercato di sanare i contrasti, anzi li ha sempre accresciuti, coltivati e il più evidente è appunto quello tra la vita ritirata e la sua sconfinata immaginazione. L'equilibrio e il garbo dell'inglese Davies mi sembrano perfetti per restituirle, in questo, tutta la sua complessità.

Insomma: non è sbagliato l'appunto, ma andrebbe al più fatto nel thread di Mary Shelley. L'unica cosa che A Quiet Passion condivide con la categoria sopra proposta di film disinteressati alle forme e alle atmosfere del cinema è l'eventuale fatto di essere biografico.


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