Due cose mi hanno colpito particolarmente durante la visione:
1 - La sceneggiatura.
Marcello è un personaggio alla ricerca di una voce.
La sceneggiatura è meticolosa al limite del ridondante nel sottolineare che nessuno ascolta ciò che Marcello dice. Noterete che i dialoghi che lo chiamano in causa, con Simoncino, con un qualche membro della farisaica corte dei vicini del quartiere, con il poliziotto che lo interroga, con la figlia e persino con il cane, sono essenzialmente dei monologhi. Le parole di Marcello cadono costantemente nel vuoto, accolte da un silenzio che nega qualsiasi valore al suo punto di vista. Siccome lui è una nullità, un vuoto, un
niente, ciascuno si sente legittimato a ignorarlo come se fosse invisibile.
Proprio in quest'ottica si spiega la sua fascinazione per il Potere, incarnato dal brutale Simone (che ha tutti gli attributi del monarca assoluto: prende ciò di cui a bisogno sottraendosi alla parità formale dello scambio commerciale; sfreccia avanti e indietro sulla strada in una parata quotidiana analoga a quella del re che sfoggia la sua carrozza sulla piazza della capitale).
È la ricerca di un riconoscimento, seppure riflesso. Di un frammento dell'identità a cui il potere dà diritto (
Era un’epoca in cui la volontà e l’ostinazione d’esserci, di marcare un’impronta, di fare attrito con tutto ciò che c’è, non veniva usata interamente, dato che molti non se ne facevano nulla – per miseria o ignoranza o perché invece tutto riusciva loro bene lo stesso – e quindi una certa quantità ne andava persa nel vuoto). E proprio in questa chiave rivendicativa va letta la scelta apparentemente assurda del protagonista di ritornare sui propri passi per svelare il proprio delitto, anziché cancellarne le tracce (non a caso scatenata da un'ennesima mancanza di considerazione da parte degli amici radunati per giocare a calcetto).
Il silenzio in cui Garrone avvolge le scene finali del film è ambiguo, ma sembra quasi suggerire che nonostante la rivalsa nulla sia cambiato; che la predestinazione di Marcello all'invisibilità sia ineluttabile.
2 - L'impiego del fuori campo
Efficace non solo nel caricare di tensione le scene legate a Simoncino, che spesso non viene inquadrato lasciando così lo spettatore nel dubbio su cosa stia facendo, e su come irromperà in scena accanendosi sui personaggi presenti nell'inquadratura, ma anche nel costruire un rapporto dialettico ed empatico con Marcello: il pubblico è invitato a rincorrere il suo sguardo, a domandarsi che cosa lui stia osservando, e così facendo a provare a immaginare che cosa egli pensi o stia provando.
En passant, la performance attoriale di Edoardo Pesce, valorizzata anche dalle sapienti scelte registiche di Garrone, mi ha colpito forse persino più di quella del giustamente osannato Marcello Fonte.
Ci sarebbe tanto da scrivere anche sui luoghi di questo film, e sul modo in cui i personaggi interagiscono con l'ambiente straordinario e terrificante che li circonda (e anche qui, come in Gomorra, sono eccezionali i neri abissali e intensissimi), ma la pausa caffè è finita