L'isola di Santo Stefano con quella meraviglia di carcere a omega con tanto di panopticon. Oggi disabitata, un tempo ha ospitato un fracco di prigionieri politici, nel ventennio (anche il buon Pertini) ma già durante il risorgimento.
Da appassionato di microstati e forme di governo non ufficiali, come ho fatto a perdermi la storia della Repubblica di Santo Stefano?
La faccio breve, avendola scoperta solo ora: durante il suo regno, Ferdinando Secondo delle Due Sicilie fece rinchiudere nel carcere situato sull'isolotto la peggiore feccia di Napoli e dintorni. Morto Ferdinando, il giovane figlio Francesco Secondo si ritrovò a governare, come sapete, con diverse gatte da pelare - piemontesi e garibaldine - alle porte. Nel sessanta, dovette addirittura richiamare i militari che erano di stanza sull'isola per cercare di resistere (invano) all'assedio di Capua.
Approfittando della defezione dell'esercito, i criminali (circa ottocento) disarmarono le poche guardie carcerarie e presero il potere. In realtà si trattò di un'operazione del tutto non violenta. I guappi riuscirono molto presto a trovare un accordo pacifico con i quaranta secondini e gli isolani (con ogni probabilità ancora meno dei secondini). Venne istituita una "Commissione per il buon ordine" che si occupò della stesura di uno statuto di massima, in quattro punti, a dire il vero piuttosto perentori.
Cito da Wiki:
- Qualunque condannato uccidesse un suo compagno a tradimento sarà punito con la morte.
- Qualunque condannato offendesse i superiori dell'ergastolo o i guardiani, per vie di fatto o per minacce, sarà punito con la fucilazione.
- Qualunque condannato offendesse la vita e le sostanze degli isolani sarà punito con la morte.
- Qualunque isolano offendesse l'onore delle famiglie appartenenti ai superiori, guardiani e persone oneste dell'isola sarà punito con la morte.
Durante la sua breve esistenza, la Repubblica di Santo Stefano elesse anche un senato composto dai guappi e dai camorristi più importanti, che doveva decidere le condanne per coloro che non avessero rispettato lo statuto.
Ed in effetti alcuni "processi" con relative condanne ci furono, tutte registrate inchiostro su carta: Pasquale Urso fu condannato a 50 bastonate e a 30 giorni di isolamento in una cella perché aveva rubato dei sacchi di farina; Antonio Margiotta, dopo aver rubato del legname ed un considerevole quantitativo di uva dalla vigna di un contadino, fu costretto a fare il giro dell'isola diverse volte con la refurtiva legata sulle spalle. Ci furono anche condanne a morte, come quella di un certo Giuseppe Sabia, resosi colpevole di aver rubato una capra. Fu trovato nello spiazzo del cimitero proprio mentre la stava arrostendo, fu ucciso sul posto a pugnalate ed il corpo gettato da una scogliera. Un altro condannato a morte fu Vincenzo Fedele. Le cause della condanna di quest'ultimo non sono note, probabilmente fu ucciso per vecchi rancori tra gruppi di camorristi.
La Repubblica ebbe, come è facile immaginare, una durata molto breve. Nel sessantuno, proclamata l'Unità d'Italia e sbrigate le pratiche più urgenti, i Savoia mandarono sull'isola i marinai della neonata entità tricolore al fine di risolvere una questione sì spinosa (rappresentava comunque un precedente), ma tutto sommato confinata nel periplo di Santo Stefano.
Seguì il classico processo farsa - tutti avevano attenuanti, nessuno aveva interesse nel testimoniare - con condanne minori.