Grande hype attorno a questo disco. Aveva coinvolto anche me, e lo ho pagato.
Ho ascoltato l'album il giorno della sua uscita, sul sedile dietro di un minivan scagliato per un interminabile sterrato dell'Uzbekistan. Due volte. Non mi è piaciuto.
Mi è parso un album spento, senza mordente, lontano sia dai fasti dei due dischi-capolavoro della band, sia dal mediocre ma graffiante "Daisy". Non abbastanza lontano, però, per giustificare le voci di "rivoluzione" che trovavo in giro. Sì, insomma: era il classico album di ritorno di una band ormai invecchiata, priva di grandi idee ma in un modo o nell'altro ancora in grado di scrivere canzoni riconoscibili come tali. Punto di forza: il gruppo non stava tentando di fare il giovane. Difetto imperdonabile: tutto mi suonava americano.
Con un po' di delusione ho rimandato ulteriori ascolti a dopo il ritorno in Italia. Come ripromessomi, il giorno dopo essere atterrato mi ci sono rimesso: era un altro album... O, più che altro, aveva i bassi. Che sia l'abitudine, che sia la maggiore attenzione, che siano delle note definite al posto del rombo della ghiaia sugli pneumatici, l'effetto è stato notevole: il disco mi è apparso assai più a fuoco. Permangono alcune delle sensazioni iniziali - tutto è più posato ed "invecchiato"; il venir meno degli spigoli ha inoltre portato all'emergere più in vista dell'eredità melodica statunitense - ma riconosco meglio, anche se trasfigurati, i tratti distintivi della band. Le canzoni appaiono ben costruite, e alcune sono da loop (quasi) immediato. In questi giorni sto ascoltando a oltranza "Can't Get It Out", "Same Logic" e "Out of Mana", forse perché sono quelle che più in fretta mi rimandano ai vecchi brani. Per ora siamo a "buon disco, dai", ma prevedo e confido in ulteriore crescita.