E' un topic dal titolo del cazzo ma passatemelo.
Quello che qua vi chiedo è, brutalmente: quali sono i giornalisti e critici musicali - e grazie a quali testi - che ritenete fondamentali per lo sviluppo dell'arte stessa della critica della musica pop/rock/elettron/vattelapesca?
Mi rendo conto che, in fin dei conti, la mia cultura in materia è piuttosto limitata. Bangs (anche se lo odio), Reynolds (senz'altro il più venerato dagli indie), Morley (ma per cosa?), magari a modo suo anche Cope... E poi? Io mica ho mai letto altro di davvero "grosso", giusto qualche libro di natura settoriale che non penso abbia fatto la storia.
Mi piacerebbe che la discussione potesse svilupparsi attraverso link ed esempi, cercando di recuperare online o non il contenuto di quegli articoli o libri o rubriche che hanno "fatto la storia". Che ne so, nella mia percezione distorta la grandezza di Simon Reynolds è in larga misura riconducibile a "Younger than Yesterday" e al pippone sul post-rock, a livello di scrittura forse anche più a fuoco degli scritti sull'hardcore continuum o il tomazzo sul post-punk.
Non ho fatto menzione a italiani perché ne so ancora meno e tendo ad avere poca stima delle penne nostrane, ma sentitevi liberi di citare, copincollare, linkare anche gente di casa nostra (o di paesi non anglofoni, poi cazzi miei se non so la lingua).
Gli Imprescindibili Della Critica E Del Giornalismo Musicale
#1
Inviato 04 ottobre 2016 - 17:36
#2
Inviato 04 ottobre 2016 - 18:54
Il primo libro di Bertoncelli, scritto quando aveva soltanto 21 anni, di fatto è anche la prima analisi italiana sulla musica pop-rock. Ha fatto più danni che altro e ha generato dei mostri nella critica musicale italiana, lo stesso autore lo ha in parte rinnegato, ma non si può certo sminuire l'importanza e l'influenza avuta in materia (almeno in Italia, ovvio).
#3
Inviato 04 ottobre 2016 - 21:30
Uscita nel 1975, e se criticate alcune idiosincrasie di Scaruffi ecco che Radice è ancora peggio.
Quando anni dopo sul web lessi Scaruffi ero già vaccinatissimo per certi giudizi.
I miei gusti si sono formati tantissimo con Radice, molto ferrato sul Movement e l'underground
Caro sig. Bernardus...
"Echheccazzo gdo cresciuto che nin sei altro."<p>Scontro tra Titanic
#4
Inviato 04 ottobre 2016 - 22:39
Bertoncelli avrà anche avuto una fondamentale influenza sulla critica musicale italiana degli anni successivi, ma nel caso è stata deleteria. Lui è certo l' antesignano del critico tronfio e spocchioso con le sue enciclopedie pretenziose di una omni-conoscenza tale da rivelare l' impossibilità di aver realmente ascoltato una minima parte dei dischi recensiti. Scaruffi è venuto dopo?
Ricordo bene l' approssiamazione e superficialità di conoscenze di una critica del 2001 su Musica! di Repubblica, in cui Bertoncelli stroncava l' album di ritorno delle Go-go's in base al solo fatto che fossero quel gruppo di donne che negli anni 80 cantava "Walk like an egyptian", confondendole cioè con le Bangles senza fare un solo commento alle canzoni dell' album: due gruppi ben diversi nella proposta musicale che avevano in comune il solo fatto di essere le due bands femminili di maggior successo negli Usa di quel decennio . Nel numero successivo Musica! liquidò il fattaccio con due righe giustificandolo come se si fosse trattato di un indubitabile lapsus del loro illustre redattore. Ma Internet già esisteva ed era il momento del boom dell' accessibilissimo Napster per farsi una sommaria idea prima di rischiare una figuraccia, ma tale era la presunzione del suddetto da considerare la sua "autorevolezza" al di sopra di un ripassino per deludicarsi le idee confuse su un gruppo che non gli piaceva ( le Bangles) e così coprire i buchi di preparazione su uno che chiaramente non conosceva per niente ( le Go-go's).
Rimaniamo nel campo degli stranieri, che è meglio....
#5
Inviato 04 ottobre 2016 - 22:53
Che gusto c'è leggere un critico che non critica
I danni? I danni arrivano da ben altro, dai media, dall'ignoranza diffusa e dalla gente del cazzo con cui uno cresce
Caro sig. Bernardus...
"Echheccazzo gdo cresciuto che nin sei altro."<p>Scontro tra Titanic
#6
Inviato 04 ottobre 2016 - 22:59
Perché se uno critica i Grand Funk non va bene e uno che critica Gigi d'Alessio va bene?
Caro sig. Bernardus...
"Echheccazzo gdo cresciuto che nin sei altro."<p>Scontro tra Titanic
#7
Inviato 04 ottobre 2016 - 23:05
Cosa ci sarebbe di razionale nel parlare di musica?
Leggi la discografia e basta
Caro sig. Bernardus...
"Echheccazzo gdo cresciuto che nin sei altro."<p>Scontro tra Titanic
#8
Inviato 04 ottobre 2016 - 23:12
Saranno schede su album e conseguente valutazione critica
Dai su andiamo in merde
Caro sig. Bernardus...
"Echheccazzo gdo cresciuto che nin sei altro."<p>Scontro tra Titanic
#9
Inviato 04 ottobre 2016 - 23:37
"Eventi importanti"
Saranno schede su album e conseguente valutazione critica
Dai su andiamo in merde
ho preso dai motori di ricerca una pagina dell'enciclopedia di Bertoncelli, la allego per fare capire all'utente con la N che è proprio il contrario di quello che dice
Se leggi bene ci sono giudizi di merito sugli album tipo
"Uno dei migliori manifesti ecc.."
Se uno lo scrivesse senza pensarlo sarebbe peggio
Caro sig. Bernardus...
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#10
Inviato 05 ottobre 2016 - 06:23
Ma ancora sti discorsi fai Lassi?
Che gusto c'è leggere un critico che non critica
quando le critiche non stanno in piedi perché basate su tifo, posizioni irrazionali, illogicità varie, ecc ecc ecc, mi chiedo che gusto ci sia nel leggerle; meglio una descrizione cruda
o altrimenti scriva solo chi è in grado, Guccini era in grado
o un taglio ironico-psichedelico alla Bangs che non ha pretese
Boh per me anche le idiosincrasie personali possono essere interessanti. Quando leggendo riesco a guardare le cose tramite uno sguardo che altrimenti non avrei saputo adottare, e alla fine qualcosa di quello sguardo riesce a restarmi, considero sempre la cosa come positiva e arricchente. Anche se lo sguardo in questione è frutto di una prospettiva particolarmente deviante.
Nel caso di Bangs io non reggo proprio lo "stile di vita" che traspare dagli scritti, mi viene da mandarlo affanculo ogni due righe non tanto per i commenti che fa (in parte anche, ma a quelli volendo mi adeguo) bensì per la persona che è o dice di essere.
Non è un problema di seriosità o non seriosità (ben venga l'ironia se uno ne è in grado, e forse lui lo era) ma di "gusto" complessivo, non solo musicale: il suo è l'incarnazione di ciò che mi fa ribrezzo, non sento nulla in comune con lui.
Detto ciò, che sia un "imprescindibile" non ci piove, per farsi un'idea di cosa sia stata storicamente la critica serve anche vedere lui.
#11
Inviato 05 ottobre 2016 - 06:30
Infatti è proprio così.Ma ancora sti discorsi fai Lassi?
Che gusto c'è leggere un critico che non critica
quando le critiche non stanno in piedi perché basate su tifo, posizioni irrazionali, illogicità varie, ecc ecc ecc, mi chiedo che gusto ci sia nel leggerle; meglio una descrizione cruda
o altrimenti scriva solo chi è in grado, Guccini era in grado
o un taglio ironico-psichedelico alla Bangs che non ha pretese
Boh per me anche le idiosincrasie personali possono essere interessanti. Quando leggendo riesco a guardare le cose tramite uno sguardo che altrimenti non avrei saputo adottare, e alla fine qualcosa di quello sguardo riesce a restarmi, considero sempre la cosa come positiva e arricchente.Anche se lo sguardo in questione è frutto di una prospettiva particolarmente deviante.
Caro sig. Bernardus...
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#12
Inviato 05 ottobre 2016 - 07:58
Non è stato citato Greil Marcus, uno dei più colti in assoluto. Abbastanza fantastiche le sue cose su Bob Dylan (in particolare "La Repubblica Invisbile"), mentre già un "Tracce di rossetto" - che indaga i rapporti tra le sotoculture underground del rock e i movimenti artistici antiaccademici del Novecento - scivola in quell'eccesso di sfoggio enciclopedico e narrazione molto personale che può legittimamente far odiare il personaggio, che comunque rimane un grande. E' stato appena pubblicato un suo libro - sulle "10 canzoni più importanti del rock", che non sono quelle che vi aspettate - sul Saggiatore, di conseguenza l'appeal hipster di cui gode Marcus nel 2016 in Italia si è moltiplicato di venti volte rispetto a quel che era solo 6 mesi fa. Oggi potrebbe giocarsela anche con Simon Reynolds.
Poi c'è Alex Ross, che è un critico di classica ma il suo "Il resto è rumore" è un libro chiacchierato per merito, davvero un gran libro.
Non conosco invece Rob Young di the Wire, nel senso che non ho mai letto un suo libro, ma anche lui è assai quotato.
Poi ci sarebbe il famoso libro di David Keenan sull'industrial esoterico britannico, ma anche qui per me nada (Keenan è lo stesso della New Weird America e dell'hypnagogic pop, vi ho avvisati)
E non è stato citato nemmeno Robert Christgau, ma credo che in Italia non se lo sia mai filato nessuno, a parte probabilmente Scaruffi, data la passione comune per l'acid-folk yankee anni '60 e '70.
#13
Inviato 05 ottobre 2016 - 09:01
Grazie Sloth per l'intervento, non conosco diversi dei nomi che scrivi e altri non li avevo considerati. Ross e "The Rest Is Noise" sono pesi massimi, anche se li avevo ricondotti a un altro ambito, e Keenan in effetti è un che, oltre a scrivere in modo piuttosto efficace, ha anche un discreto peso sul pubblico in questi anni. Degli altri che non mi giungono nuovi, Christgau l'avevo proprio omesso per volontà: il tuo accostamento con Scaruffi mi suona abbastanza azzeccato pur non conoscendo a fondo il personaggio. E' senz'altro uno che ha scritto molto, e non ne ho letto che frammenti, ma mi pare condivida col Rojo un approccio "tuttologico" e valutatorio; dal poco che ho visto tramite il suo sito, poi, mi pare gli manchino un po' la "visione" e il respiro concettuale che altri riescono ad avere. Ha scritto anche qualcosa di corposo e "teorico"? O la sua opera si è concentrata prevalentemente su giudizi caso-per-caso preformattati? Chiedo per ignoranza, non voglio fare il saccentone riguardo a uno di cui so quasi zero.
#14
Inviato 05 ottobre 2016 - 11:04
Grazie Sloth per l'intervento, non conosco diversi dei nomi che scrivi e altri non li avevo considerati. Ross e "The Rest Is Noise" sono pesi massimi, anche se li avevo ricondotti a un altro ambito, e Keenan in effetti è un che, oltre a scrivere in modo piuttosto efficace, ha anche un discreto peso sul pubblico in questi anni. Degli altri che non mi giungono nuovi, Christgau l'avevo proprio omesso per volontà: il tuo accostamento con Scaruffi mi suona abbastanza azzeccato pur non conoscendo a fondo il personaggio. E' senz'altro uno che ha scritto molto, e non ne ho letto che frammenti, ma mi pare condivida col Rojo un approccio "tuttologico" e valutatorio; dal poco che ho visto tramite il suo sito, poi, mi pare gli manchino un po' la "visione" e il respiro concettuale che altri riescono ad avere. Ha scritto anche qualcosa di corposo e "teorico"? O la sua opera si è concentrata prevalentemente su giudizi caso-per-caso preformattati? Chiedo per ignoranza, non voglio fare il saccentone riguardo a uno di cui so quasi zero.
Christgau con Scaruffi ha in comune giusto il fatto di scrivere anche giudizi negativi sui mostri sacri senza molti giri di parole (vedi le sue stroncature lapidarie di Grace di Jeff Buckley o di In the court of Crimson King ). Per il resto non mi sembra così tuttologo (per esempio ammette francamente di non amare la musica classica, di detestare abbastanza il metal e cose così) e ha gusti decisamente diversi. Molto più simpatizzante della canzonetta che della roba avant o cerebrale e parla benissimo di un sacco di roba ultramainstream.
dai manichei che ti urlano o con noi o traditore libera nos domine
#15
Inviato 05 ottobre 2016 - 11:08
- Guido Adler
- Carl Dahlhaus
- Marco de Natale
- Quirino Principe
- Howard Pollack
- Roberto Leydi
- Franco Fabbri
M.
#16
Inviato 05 ottobre 2016 - 11:27
di Greil Marcus aggiungo Mystery Train, forse il suo libro più importante assieme a La Repubblica Invisibile: parte da Robert Johnson, per passare poi a Elvis, la Band, Sly Stone fino ad arrivare a Randy Newman. fa questo per parlare soprattutto di altro, cioè del sogno americano, il suo mito e la sua fine.
Il miglior libro sul rock ha compiuto 40 anni
Poi ci sarebbe Guida Alla Musica Pop, uscito in italia nel 1971. è forse la prima enciclopedia sulla musica pop. l'autore è Rolf-Ulrich Kaiser (il "padre" del Krautrock, il produttore di Ash Ra tempel popol vuh e cosmic jokers). è un libro interessante anche se molto impreciso (per forza di cose), soprattutto nel definire i generi dei vari gruppi.
Infine La grande storia del rock di Rolling Stone, che raccoglie le migliori recensioni uscite sulla rivista. tra gli autori lo stesso Marcus, Bangs, Christgau.
When the seagulls follow the trawler, it is because they think that sardines will be thrown into the sea
#17
Inviato 05 ottobre 2016 - 12:21
Se posso aprire un piccolo off topic, mi sono imbattuto di recente in discussioni sull'estetica del pop/rock da parte di filosofi. Per fare dei nomi: Richard Shusterman, Stephen Davies, Bruce Baugh, Theodore Gracyk.
Non ho approfondito molto, e non sono d'accordo su molte cose che scrivono, ma mi sembrano lo stesso degno di considerazione.
Innanzitutto perché è gente che conosce la materia. Nel passato, ma anche ora (soprattutto in Italia) un filosofo che 'si abbassi' a parlare della musica pop (magari anche per difenderla) riteneva di aver fatto il suo dovere dopo aver citato i Beatles e un paio di altri nomi. I più recenti invece (specie in America) hanno una range di riferimenti molto più ampio, e molto più aggiornato. Shusterman ad esempio ha scritto un saggio sull'hip hop, una tale Jeanette Bicknell ha condotto una riflessione sull'autenticità usando come esempio la cover di "Hurt" fatta da Johnny Cash. Insomma conoscono abbastanza la materia.
Inoltre sono in genere portati a valutare positivamente il valore estetico del pop/rock. In linea generale sono opposti ad Adorno. Quel che è interessante però è che non si limitano a una generica difesa, magari sulla base della constatazione banale che il rock non andrebbe valutato sullo stesso metro della classica. 'Difese' della popular music ne dava anche un Eco, ad esempio, negli anni '60: ma suonavano come "Massì, c'è anche questo e non è male, anche se ovviamente la musica seria è un'altra cosa". Qui invece si tratta di difese che vanno un po' più sul merito di che cosa renda il pop/rock peculiare, e non c'è nessuna traccia di condiscendenza.
La cosa a mio avviso più importante è che adottano un taglio 'estetico' piuttosto che 'sociologico'. Mi spiego: spesso e volentieri le discussioni sulla musica pop, specie quelle sulla falsariga della critica adorniana, tendono a concentrarsi più sul pubblico che sulla musica, o a giudicare questa secondo un metro 'moralistico' (passatemi il termine, non me ne viene in mente uno migliore) che guarda ai (presunti) effetti sulle masse obnubilate. Escludo dal discorso Adorno stesso, che da quel poco che ne ho letto l'aspetto estetico-formale lo analizzava eccome. Ma, per dire, ho letto il capitolo dedicato alla musica nel libro di Galimberti "L'ospite inquietante" ed è il perfetto esempio di quel che intendo: una tirata moralistica e generica (non si fa nessun nome) sull'effetto (negativo) antropologico della musica 'dei giovani', senza spiegare in che cosa consista questa musica.
Ecco, i filosofi che sto presentando qui invece puntano l'attenzione sul come è fatta la musica rock. Certo, tengono in considerazione anche il pubblico e le sue attese, ma appunto in un'ottica 'estetica' (come gli elementi stilistici vengono recepiti) e non 'morale-sociologica' (come la musica pop rincretinisce a abbruttisce le masse).
Insistono molto sul fatto che il rock vada analizzato con strumenti concettuali analoghi a quelli che si usano per altre forme di musica. Il che non vuol dire che analizzato una canzone rock come se fosse una sonata di Beethoven. Tutt'altro: vogliono capire quali sono gli elementi che collaborano nel creare l'effetto estetico, e come possono variare e distinguersi tra loro. Per dire, mentre in una visione 'pseudoadorniana' la questione della registrazione e dell'incisione di dischi salta fuori solo per parlare dell'aspetto capitalistico della musica rock, questi filosofi invece prendono in considerazione la registrazione stessa come parte del processo di creazione, rompendo quindi con l'idea tradizionale che analizzare una musica significhi sempre e solo analizzare la composizione.
Ed ecco: la cosa in fondo più interessante di questi studi è che 'riscoprono', con una esposizione lievemente più rigorosa, concetti che critici o appassionati come noi già masticano. Come quando Gracyk nota che la produzione è un elemento estetico e ci sono 'stili di produzione', riconoscibili e che suscitano reazioni diverse. Buongiorno Ciccio, diremmo noi. Però è importante che questi concetti saltino fuori in ambito filosofico, uno perché vuol dire che la riflessione estetica si sta aggiornando, due perché vuol dire che il fenomeno viene finalmente studiato nel dettagli e non solo moralisticamente 'condannato' (o snobisticamente 'difeso') da un qualche piedistallo, e tre perché queste riflessioni (per risapute che possano essere per noi appassionati) hanno una ricaduta anche per quel che riguarda la concezione della tradizione musicale 'classica'. Nel senso che questi autori mettono in dubbio che i concetti estetici tradizionalmente associati alla classica, e che sono stati spesso usati per condannare il rock, siano poi così assoluti e fondati.*
Per concludere: non si tratta di ricerche di genio, non c'è tra di loro l'anti-Adorno, e molte cose che dicono sono abbastanza risapute per noi appassionati. Altre sono concezioni limitate, nel senso che alcuni autori privilegiano unilateralmente questo o quell'aspetto (come Baugh che individuava il punto chiave del rock nella maggior importanza della performance sulla composizione: varrà per i Grateful Dead, un po' meno credo per il prog). Insomma, non ve li presento come cose da leggere assolutamente: non penso che la critica pop/rock ne abbia un estremo bisogno (se non magari per un po' di precisione concettuale); penso invece che l'estetica, come disciplina accademica, ne abbia un estremo bisogno, per svecchiarsi un po' e allargare i suoi orizzonti.
*(ci sono due linee di pensiero in merito: alcuni pensano che classica e rock si basino su idee estetiche completamente differenti; altri invece pensano che, almeno in parte, elementi artistici che emergono nei brani classici non differiscano poi molto da quelli che emergono nei brani pop/rock, ed è stata la riflessione filosofica ad avere espresso in maniera inadeguata e limitata quel che è la musica classica, in tutta la sua varietà. Davies ad esempio ritiene che una concezione musicale 'alla Adorno' distorce o non coglie il senso della musica pop/rock e di una parte non indifferente della musica classica).
Chiudo l'Off Topic
#18
Inviato 05 ottobre 2016 - 12:34
rimanendo al solo rock (vabbè in realtà no, lui tratta molto anche country e blues) uno di quelli molto importanti non nominati e che mi piace molto è Peter Guralnick.
dai manichei che ti urlano o con noi o traditore libera nos domine
#19
Inviato 05 ottobre 2016 - 14:47
Allora su Christgau in effetti con Scaruffi ha in comune le cose che dicevo io e pochissimo altro, non saprei indicarti un testo chiave.
Marcus è curioso che in tanti non lo conoscano, nel complesso è un nome più "grosso" di Simon Reynolds (e neanche di così poco), ma dipende dal pubblico e dai tempi. Occupandosi di argomenti molto meno trendy era stato semi-dimenticato per anni.
Sui grandi del rock'n'roll delle origini so che Nick Tosches è considerato un autore imprescindibile.
Tra i primi a buttarla in filosofia c'è stato Richard Meltzer (Aesthetics of rock, 1970), un altro decano, anche paroliere dei Blue Oyster Cult e collaboratore degli Smegma.
In Italia è sicuramente un gran lavoro il recente "SuperOnda" di Mattioli, sulla "musica segreta italiana"; "Techno" di Zingales penso sia un testo completo come pochi. Bertoncelli io non lo butto, nel complesso, ma lessi solo "Musica da non consumare" a suo tempo (intendo, come libro). Di Vittore Baroni non saprei consigliare un libro particolare ma è un'eminenza su industrial, tape art, etc...
Poi mi piacerebbe tanto leggere il libro sul free jazz giapponese di Teruto Soejima ma vabbè....
#20
Inviato 05 ottobre 2016 - 14:52
Tra i primi a buttarla in filosofia c'è stato Richard Meltzer (Aesthetics of rock, 1970), un altro decano, anche paroliere dei Blue Oyster Cult e collaboratore degli Smegma.
da quello che avevo letto lui a un certo punto si è proprio rotto del rock, del tipo che l'ultimo gruppo che gli era piaciuto davvero erano i Minutemen, mentre aveva una pessima opinione di quanto venuto dopo. Non ricordo l'anno di quando disse questa cosa però.
dai manichei che ti urlano o con noi o traditore libera nos domine
#21
Inviato 05 ottobre 2016 - 15:20
Ringrazio tutti per i corposi interventi e i tanti riferimenti.
Sono un po' andato a vedere in giro e direi che ho capito perché le mie traiettorie non si erano mai incrociate con quello di Greil Marcus: tra Dylan, Elvis, Doors e americanume vario direi che i punti di convergenza sono pressoché assenti (tra le "dieci canzoni" vedo poi che va a prendere i Joy Division... sensatissimo ma di nuovo assai lontano dalle mie coordinate).
Dite comunque che è uno che sa scrivere e ha uno stile notevole? Qualcosina potrei leggerlo (il librozzo di Rolling Stone segnalato sopra mi tenta).
#22
Inviato 05 ottobre 2016 - 15:43
beh, Marcus ha uno stile personalissimo, credo vada comunque affrontato se ti interessa la critica rock. Poi, sì, immaginavo ci fosse un problema di gusti. Se non sbaglio nelle 10 canzoni mette anche un pezzo puramente performativo di Christian Marclay, ovviamente le canzoni gli servono per dire altro.
#23
Inviato 05 ottobre 2016 - 15:49
Peraltro mi pare (nel senso che di nuovo, può essere semplicemente che io ignori) che almeno a livello internazionale di critici storicamente rilevanti che abbiano un'orientazione incline al progressive (in tutte le sue declinazioni) praticamente non ce ne siano. Immagino ci siano stati, almeno in Inghilterra, ma a occhio e croce la loro memoria - almeno presso la fascia di pubblico a cui apparteniamo - deve essersi cancellata nel tempo, "mangiata" dalla prevalenza di una critica o più rockista o più indie-oriented (se non underground-oriented).
Consapevole di star probabilmente dicendo una manica di cazzate, chiedo di essere smentito.
ps. Ovviamente io penso al prog perché sono fissato, ma mi pare che anche l'interesse per il metallo sia stato storicamente assai settoriale, per non parlare di altri territori come il folk-rock che a parte qualche occasionale tributo ai Fariport e a Richard Thompson pare sparito dalla musica che ha significato qualcosa.
#24
Inviato 05 ottobre 2016 - 15:53
diciamo che anche l'interesse per i "critici rock" mi pare molto settoriale, per cui è davvero difficile considerare famosa per davvero anche gente come Marcus e Reynolds (e Bertoncelli in Italia). Io che son lontano sia dal prog che dal metal (ma sono comunque più onnivoro della media) in effetti non conosco critici celebri per quei campi lì, però non mi stupisce, ecco.
#25
Inviato 05 ottobre 2016 - 16:10
Sì, diciamo però che (scusate la confusione, sto cercando di organizzare i pensieri mentre scrivo ma i risultati son quel che sono) la situazione attuale è circa questa:
- oggi come oggi, più che mai, "ciò che non è su internet non esiste"
- non tutte le community di ascoltatori hanno un consistente ancoraggio su internet (il folk tradizionale, per dire, non lo ha)
- alcune comunità, anche se assai rappresentate su internet, hanno una "critica" non del tutto matura (in campo metal ed dance music - ma magari sbaglio - vige ancora la tendenza a celebrare tutto quello che passa a tiro, anche se con dinamiche diverse)
- le comunità "mature" sul piano critico sono quelle legate al mainstream (spesso recensito sui media generalisti) e all'indie/underground pitchforkiano, che sono in fin dei conti quelle con la storia critica più lunga
Mettendo insieme i pezzi, mi pare che "Reynolds è più importante di qualunque critico amante del prog" non sia un'affermazione così azzardata: è valida all'interno della comunità indie, che è una delle poche che abbiano a oggi una critica di qualche respiro, e peraltro assieme a mainstream, classica e jazz l'unica che trovi un qualche sbocco anche su testate di taglio generalista. Vista dalla prospettiva di un amante del prog che segue progarchives e altri media settoriali risulta forse una cazzata, ma il livello di connessione di progarchives (o dell'intera somma dei media prog-centered) alla rete informativa globale è ridicolo rispetto a quello dei media indie.
In tutto sto discorso trascuro il non irrilevante fatto che il 99% della gente ascolta quel che ascolta fottendosene totalmente della critica, non per autonomia di giudizio ma perché segue fonti di informazione che funzionano secondo logiche del tutto post- (o pre-, che è lo stesso) critiche, come youtube facebook marchette radiofoniche shazam o il classico vecchio passaparola.
#26
Inviato 05 ottobre 2016 - 16:16
Mettendo insieme i pezzi, mi pare che "Reynolds è più importante di qualunque critico amante del prog" non sia un'affermazione così azzardata:
No, penso che sia ai limiti dell'oggettivo. Quanto meno più influente, poi ci sarà sempre il mammasantissima del prog che pensa - legittimamente - che Reynolds abbia scritto un mare di cazzate (e non sappia nemmeno bene cos'è una pentatonica...).
#27
Inviato 05 ottobre 2016 - 18:04
POPOLARE
Toh, sto giustappunto lavorando a una (ehm) "storia della critica rock" in occasione dell'uscita italiana dell'ultimo Marcus, quindi magari in attesa che esca il pezzo riporto qui un po' di "linee generali" (si fa per ridere eh) che magari possono farti comodo.
Dunque, diciamo che per convenzione la nascita *ufficiale* del cosiddetto rock criticism si fa coincidere in USA col 1966 di Crawdaddy, a cui di lì a poco si affiancheranno Rolling Stone e Creem. Quindi tiè, diciamo che la critica rock quest'anno compie ufficialmente cinquant'anni.
Studiosi e appassionati hanno individuato un piccolo pantheon di padri fondatori, che poi alla fine erano i critici più noti e influenti del periodo fine 60/inizi 70. Questi mitologici founding fathers sarebbero:
Jon Landau
Greil Marcus
Richard Meltzer
Lester Bangs
Robert Christgau
A cui se vogliamo possiamo aggiungere Nick Tosches, Ellen Willis (l'unica donna del giro) e soprattutto Dave Marsh.
Ora, nessuno di questi è legato a un genere particolare anziché un altro. Ok, Landau è più "classic" (è quello che poi diventerà il manager di Springsteen) e Bangs è il più "sperimentale" (gli piace il free jazz, la roba rumorista, la psichedelia scoppiata ecc), ma in generale la particolarità di ciascuno di questi nomi è la prospettiva in cui situano avvento e significato del primigenio RUOCK.
Quindi appunto, per Marcus dietro c'è tutta una dimensione da "mito americano" molto dotta ed erratica, Meltzer è quello che come dice il Savini "la butta in filosofia" e paragona Platone e Hendrix, Christgau è quello che rivendica il puro piacere del pop ed è un grande fautore delle guide all'ascolto (in questo magari può assomigliare a Scaruffi, ma SOLO per questo), ecc ecc.
Quasi tutti i founding fathers americani hanno all'attivo - oltre all'ovvia pletora di recensioni & co - almeno uno o due libri considerati dei classici nel loro campo: Marcus con "Mystery Train" e "The Invisible Republic", Meltzer con "The Aesthtetic of Rock", Tosches con la sua biografia di Jerry Lee Lewis, ecc ecc. Poi ci sono le collezioni di articoli dei vari Bangs e di nuovo Meltzer. Molti di questi titoli sono stati tradotti in italiano, altri no.
Per me vale la pena leggerli tutti, indipendentemente dalle posizioni (e le idiosincrasie) del singolo autore. Sono un bello spaccato di cosa fu la critica rock "nei tempi eroici", e soprattutto insegnano che scrivere di musica non significa necessariamente "consigliare il disco giusto". Anzi, molti di questi critici attorno a singoli dischi e autori hanno costruito autentici PIPPONI storico-filosofici o che so io, ma se uno tiene conto anche del periodo in cui questi scrivevano (erano gli anni del New Journalism, della controcultura ecc) tutto torna. Il mio preferito, se può interessare, è Meltzer.
La grande frattura arriva col (post)punk e con l'avvento di una generazione di critici inglesi influenzati da post-strutturalismo ecc, che rigettano la mitologica RUOCK dei padri fondatori americani (o dei loro emuli inglesi tipo Nick Kent) e si danno a quella che per me è la stagione più interessante del rock criticism.
I più importanti tra questi sono senza dubbio Paul Morley, Ian Penman, Jon Savage, o anche lo stesso Simon Frith (che volendo, visto che lo chiedevi, è quello più vicino al prog in quanto fratello di Fred) e perché no David Toop (che comincia a collaborare con The Face negli anni 80, e anche lui il prog lo conosce bene - poi che gli piaccia o meno è un altro discorso).
Anche qui, ciascuno di questi ha le sue particolarità. Savage è il più "politico", Morley è quello delle grandi macchinazioni post-situazioniste, Penman è il più impregnato di Derrida e compagni, Frith è quello che praticamente fonda la "sociologia rock" (come da titolo di un suo famoso libro), Toop è semplicemente l'autore di uno dei libri di musica più belli di sempre, cioè "Oceano di Suono".
Simon Reynolds è figlio di quest'ultima tradizione qui, di cui stempera alcuni eccessi (alcune pagine di Penman sono seriamente illeggibili, poi vi lamentate di Zingales) ma di cui prosegue l'approccio "multidisciplinare" in cui si mescolano gender studies, semiotica, studi postcoloniali, sociologia in scia alla scuola di Birmingham, ecc ecc.
Di contro, negli USA questo approccio "all'inglese" non avrà agli inizi molta fortuna, e infatti anche la stagione delle fanzine periodo hardcore (quindi i vari Byron Coley, Joe Carducci ecc) proseguirà più o meno sulla falsariga dei founding fathers anni 70: mitologia RUOCK, sangue sudore & sperma, ecc ecc ecc.
Poi vabè, ovviamente c'è un sacco di altra roba da dire (compresi nomi, riviste, libri ecc) ma per ora mi fermo qui. Non so se 'sta pippa può esserti utile, magari qualche spunto ce lo trovi, boh, vedi tu.
#28
Inviato 05 ottobre 2016 - 20:19
Poi vabè, ovviamente c'è un sacco di altra roba da dire (compresi nomi, riviste, libri ecc) ma per ora mi fermo qui. Non so se 'sta pippa può esserti utile, magari qualche spunto ce lo trovi, boh, vedi tu.
Altroché
Grazie mille
#29
Inviato 05 ottobre 2016 - 21:31
Valerio ti chiedo tre cose:
1 - se questi libri si trovano più o meno tutti in e-book. In italiano credo che ne esistano a dir tanto un quarto, ma al di là dell'italiano Meltzer lo cercai tanti anni fa ed era difficile trovarlo cartaceo
2 - dammi una sola buona ragione per pensare che il semplice fatto di essere scritti in lingua inglese non abbia contribuito al 99% al "successo" di questi libri e alla possibilità per i loro autori di vivere di questo. Ne parlammo già in passato, negli Usa la figura del critico - persino quello micragnoso musicale che ci piace il ruock - è sdoganata come professionista in qualche modo serio. Indubbiamente questo contribuisce a far prendere sul serio il "critico rock" in quanto tale, che campa davvero facendo quello, e ha quindi anche il tempo di leggersi fiumane di libri e "farsi una cultura" perchè non sta 8 ore in fabbrica o in ufficio. Il fatto che siano libri più filosofici che nerd (classifiche, il disco più fiko, chi ha usato prima il sitar...) da una parte posso capire che apra anche a lettori non troppo fanatici di musica rock - però la concorrenza di critici di altri settori ugualmente intriganti per l'"utente medio" è sterminata -, dall'altra mi figuro il tipico lettore di musica italiano e penso che troverebbe questi libri nel peggiore dei casi illeggibili, o comunque mediamente "difficili" e/o velleitari. Platea ridottissima, insomma. Platea che però, in inglese, potrebbe aumentare anche delle 100 volte (poi, certo, negli anni '70 procurarsi i libri non era semplice come oggi, ma ne uscivano anche molti meno). Insomma, come si spiega il fatto che tutto sommato tanti critici abbiano vissuto bene di quello, concedendo molto poco al compromesso (credo sia chiaro a tutti che Greil Marcus non è Luzzato Fegiz, e questo lo sottoscriverebbe anche il peggior denigratore di Bob Dylan...).
3 - un po' come per la musica anche la critica se parliamo di classica, jazz e folk è molto diversa dal rock (quando dico folk intendo l'etnomusicologia, fondamentalmente). Ok che devi scrivere di critica rock, ma hai individuato qualche sorta di precursore? Qualcuno che esulasse dagli altri macro-campi e che magari si occupasse, prima degli anni '60, di musica pop non per forza giovanile?
#30
Inviato 05 ottobre 2016 - 22:12
1. Non saprei, io ce li ho quasi tutti cartacei. Meltzer si dovrebbe trovare facile, tra l'altro per me più che "The Asthetics" (che alla fine è più una curiosità che altro) quello che merita è la raccolta di articoli, "A Whore Just Like the Rest" (ho controllato adesso su Amazon e c'è).
2. No, su questo non sono d'accordo. La maggior parte dei critici citati sopra ha cominciato che c'aveva 20, 21 anni, e se proprio dobbiamo essere precisi manco veniva pagata (perlomeno ai primi tempi, i vari Crawdaddy e Rolling Stone non pagavano). Quindi non è che hanno avuto il tempo di "farsi una cultura" perché non dovevano stare 8 ore in fabbrica. Tuttora alcuni dei critici rock più venerati, per campare "fanno anche altro", specie in UK.
È proprio la prospettiva che era e resta diversa: per la critica anglofona (o almeno per la migliore tra questa), il rock è un linguaggio che va inserito/compreso in un contesto più ampio, e quindi tutti gli strumenti che possono servire in tal senso - politica, rapporto con le altre arti, sociologia, filosofia, quello che ti pare - tornano utili.
Poi non è che questo significhi automaticamente libri illeggibili o velleitari: alcuni di questi magari lo sono perché riflettono lo spirito di un'epoca e adesso ci sembrano datati (tipo lo stesso Meltzer, per dire). Però non è che Bangs, Marcus o lo stesso Reynolds siano chissà quanto astrusi. Quantomeno sapevano/sanno scrivere.
Ecco, se proprio dovessi tracciare una differenza con la realtà italiana, è che noi abbiamo avuto pochissimi scrittori (quali in fondo erano tizi come Marcus, Bangs, Tosches ecc ecc), e quasi zero "intellettuali" (come i vari Frith, Toop, Penman, Morley, di nuovo Marcus), mentre abbiamo sempre inteso la figura del critico come quello che "conosce la materia e ti consiglia il disco giusto" (che poi è il modello anche di pionieri tipo Landau o Christgau). Anche se almeno la critica italiana anni 70 - riviste come Muzak e Gong, per capirci - quantomeno ci provò a fare discorsi più "alti".
3. Sai che non lo so? Di sicuro Simon Frith ha scritto tanto sul pop pre-rock e magari avrà citato anche qualche autore d'epoca; ma da quel che so, il pop restò più che altro "materia da gossip" perlomeno fino alla nascita del rock criticism militante (e quindi di nuovo Crawdaddy, Rolling Stone, Creem ecc).
#31
Inviato 06 ottobre 2016 - 05:43
Simon Reynolds è figlio di quest'ultima tradizione qui, di cui stempera alcuni eccessi (alcune pagine di Penman sono seriamente illeggibili, poi vi lamentate di Zingales) ma di cui prosegue l'approccio "multidisciplinare" in cui si mescolano gender studies, semiotica, studi postcoloniali, sociologia in scia alla scuola di Birmingham, ecc ecc.
A proposito di questa roba che negli anni 90 chiamavano "cultural studies" vale la pena citare almeno due studiosi inglesi come Dick Hebdige (marginalmente, lui si occupava più specificatamente di sottoculture giovanili) e soprattutto Iain Chambers e il suo Ritmi Urbani; l'approccio è più dichiaratamente accademico e meno giornalistico, lui chiaramente non è un "critico rock" classicamente inteso ma ha scritto delle pagine molto interessanti per me.
#32
Inviato 06 ottobre 2016 - 13:34
3. Sai che non lo so? Di sicuro Simon Frith ha scritto tanto sul pop pre-rock e magari avrà citato anche qualche autore d'epoca; ma da quel che so, il pop restò più che altro "materia da gossip" perlomeno fino alla nascita del rock criticism militante (e quindi di nuovo Crawdaddy, Rolling Stone, Creem ecc).
forse bisogna considerare il fatto che prima il posto del rock era occupato dal jazz, quando ancora era una musica popolare (certo molto meno di quel che è venuto dopo ma comunque), e quindi la critica della musica popolare era soprattutto quella dedicata al jazz. Poi non ho idea per quanto riguarda il country, il blues, il folk, il rock delle origini o altre cose. Persino il great american songbook che è praticamente contiguo al jazz non aveva al tempo un critico che avesse affrontato sistematicamente la trattazione delle canzoni di Gerswhin, Porter, Rodgers Carmichael e compagnia prima di Alec Wilder (e a tutt'oggi nonostante l'importanza rimane pure uno dei pochi generi senza manco uno straccio di forum in tutto il web per quel che ne so, fregancazzo lo so).
dai manichei che ti urlano o con noi o traditore libera nos domine
#33
Inviato 06 ottobre 2016 - 14:01
invece a me frega parecchio, perchè secondo me sulla percezione di quella che a tutti gli effetti è la prima musica "pop" si gioca parecchio delle prospettive critiche su ciò che è venuto dopo. Il fatto che ad esempio siano molto rari i libri sugli standard da un lato contribuisce a una damnatio memoriae che finirà, tra non molto, a cancellare praticamente l'esistenza della musica popolare pre-rock, e dall'altro potrebbe contribuire a spiegare i tanti pregiudizi/fraintentimenti/eccessi di percezione (in genere negativa) che tante persone hanno nei confronti della musica "pop".
Penso che una storia della critica di quel periodo e delle sue "settorializzazioni" non sarebbe meno interessante del lavoro che sta facendo Valerio sull'evoluzione (prospettica, con annessi storici e sociologici) della critica rock.
#34 Guest_Michele Murolo_*
Inviato 06 ottobre 2016 - 18:14
Wago possiamo anche aggiungere gli imprescindibili per quanto riguarda Jazz/Avanguardie o andiamo troppo fuori dai binari?
#35
Inviato 21 febbraio 2017 - 17:44
Innanzi tutto volevo ringraziare V. per l’articolo sulla critica rock, che mi ero perso e mi sono goduto solo ora. Tante cose non le sapevo e mi sembra un sunto superbo. Complimenti. Eccolo:
http://www.iltascabi...i-critica-rock/
Premetto poi che mi focalizzo, nel mio post, sui “padri fondatori” e sul rock dei '60/'70. Non sulle generazioni musicali successive e sulla critica sociologica, politica e filosofica, figli o meno di Richard Meltzer.
Farei un unico appunto al testo. Il gioco del “eh ma manca Tizio o Caio” è fastidioso e ogni saggio che ambisce ad essere riassuntivo è giusto semplifichi. La cartina geografica del mondo più precisa è quella in scala 1 a 1 ma non serve a nulla perché fascia il globo e non è consultabile. Quindi giusto aver tagliato nomi e protagonisti.
Con un’eccezione. Ira Robbins.
Qualcuno ha rimproverato in nota l’articolo di V. dicendo “e Scaruffi?”. Non mi voglio addentrare nella questione, con tutte le frecce all'arco per demolire il personaggio.
Ma la mancanza di Ira Robbins è secondo me da colmare perché con la rivista Trouser Press e nel volume “Trouser Press Record Guide” mette nero su bianco un sacco di giudizi poi riciclati da Scaruffi e pure dal primo Bertoncelli. Giudizi che non battono tanto distante da i due gonzi, Lester Bangs e Nick Kent.
A mio modo di vedere tutti gli altri, perdonatemi la partigianeria, sono nemici. Mark Arm dei Mudhoney un giorno ha detto “O stai con gli Stooges o sei il nemico”. In fatto di critica la penso nella stessa maniera su Bangs, Kent e Robbins. Secondo me la figura del critico militante è stata ingiustamente accantonata. Perché nel post-moderno va tutto bene: non essendoci più le ideologie forti, tutto è opinabile, la “verità” decade, tutto è relativizzato. E i pensieri forti di Bangs, Kent e Robbins male si adattano al qualunquismo estetico del “tutto è lecito”. Non a caso sono seguiti ai padri fondatori i “contestualizzatori”, i sociologici e i fiosofi.
Come poi non fosse fazioso Jon Landau a dire che Bruce Springsteen era il futuro del rock’n’roll…
Ecco la visione del rock’n’roll come 1) questione esclusivamente americana 2) come fatto “non sperimentale” 3) possibilmente retorico: è l’ideologia del nemico. Il pensiero di Landau e di Christgau mi disgusta. Il tutto viene sublimato nella Rock’n’Roll Hall of Fame, nei libri paludati sulla storia del rock, nelle guide per gli ascolti.
Non tanto per un’idea mummificatrice e museificatrice del rock’n’roll ma perché dimentica della fiammella d’accensione del sacro fuoco. Quella luce prometeica del riff, del power chord e del distorsore. Di un certo piglio che dal blues va fino al punk attraverso il rock’n’roll. L’assenza di virtuosismo, di onanismo narcistisco, di priapismo da competizione: gli assoli più lunghi come nelle sfide tra cazzi nei bagni delle scuole. Chi ce l’ha più lungo? Certo me la sto prendendo con l’hard rock, con tutto quello che segue Cream e Experience.
Gli Stones, i Velvet, gli Stooges, Bo Diddley, Link Wray, i Sonics e i Flamin’ Groovies ancora ci parlano.
E il rock’n’roll, per noi partigiani garagisti, resta quella cosa lì.
Si può ampliamente criticare lo stile giornalistico di Bangs e Kent, il fatto di mischiare fatti personali e questioni oggettive. Ma resta il fatto che quella classicità millantata, non riesca a liberarsi degli spettri di Elvis e Springsteen. Passi Dylan… E pure la differenza tra la classicità di Landau, la ricerca del mito americano di Marcus o la godibilità di Christgau mi sembrano declinazioni della stessa sbobba.
Greil Marcus, occorre ammetterlo, per certi versi ricopre una posizione intermedia, tra gli alleati e gli avversari. A lui nel 2017 non si deve rimproverare il fatto che scriva da accademico rispettato dagli altri accademici. Ma che non abbia avuto la forza di comprendere, fuori dai canoni di classicità dei due falsari Landau e Christgau e dei due traditori David Marsh e Nick Tosches, l’essenza del rock fuori dal canone della classicità. Non abbia avuto la bravura di comprendere non solo Velvet e Stooges ma anche Beefheart e Eno in presa diretta. Cosa che va riconosciuta a Bangs, Kent, Robbins e pochi altri.
E allora ben vengano i critici musicali militanti.
#36
Inviato 12 gennaio 2021 - 16:49
domanda lampo
https://www.ibs.it/p...e/9788876383557
https://www.ibs.it/m...e/9788876380112
trattesi dello stesso libro con traduzione italiana del titolo diverso, giusto?
#37
Inviato 12 gennaio 2021 - 17:55
Ho letto il secondo e dalla descrizione mi pare proprio di sì (a meno che abbia scritto due libri interi sul peraltro assai debole e artificioso fil rouge dato da "Can't Get You Out of My Head").
#38
Inviato 12 gennaio 2021 - 18:10
perfetto! Ma dunque wago non ti è andato piacendo?
#39
Inviato 12 gennaio 2021 - 20:37
Idem per diversi titoli di canzoni o album tradotti direttamente in italiano senza un cazzo di apparato di note. Veramente una edizione indecente (un altro libro che ha ricevuto trattamento simile nella traduzione italiana è il fondamentale "Ocean of Sound" di David Toop)
Per il resto lettura godibilissima, uno dei libri musicali che mi sono piaciuti di più in assoluto, tra cazzate e intuizioni folgoranti. Morley è un egocentrico, giocoso, presuntuoso, paradossale, borioso, divertente, geniale, masturbatorio intellettualoide situazionista cazzone che sa il fatto suo, o fa finta di saperlo molto bene (posso facilmente immaginare che a Wago non piaccia invece molto). Tana, se preferisci un tipo di scrittura musicale "oggettiva" e analitica (o anche descrittiva) soprassiedi. Se pensi invece che a livello di scrittura il "come" sia importante tanto quanto il "cosa" (o forse più) allora prenditelo (costa pure poco). Io ho entrambe le edizioni perché la prima era talmente segnata e sottolineata che non riuscivo a rileggerla
#40
Inviato 14 gennaio 2021 - 00:18
Not grazie mille! Se mi dici che la traduzione è tutt'altro che perfetto però forse evito l'acquisto. Discorso generale: i saggi preferisco leggerli in italiano, è una lettura più veloce (e grazie il cazzo) dunque anche più soddisfacente tutto sommato. Il problema di molti saggi socio-musicali (di ci cui parla Mattioli sopra) è che sono a) tradotti malamente b) usciti con qualche piccolo editore del cazzo, so subito finiti fuori catalogo. Ocean of Sound di Toop per dire è da un po' che vorrei leggerlo, ma è fuori catalogo da mille anni e scopro oggi che è stato pure tradotto male. Altri saggi menzionati da Mattioli sono praticamente introvabili, pure quelli di Arcana (es: il primo libro sul rave di Reynolds) sono permanentemente fuori catalogo da ormai anni. Le mie domande ha riguardo sono le seguenti:
a) una casa editrice più solida e con una notevole ricerca in campo musicale (es: Minimum Fax) può acquistare i diritti su saggi precedentemente tradotti per'un altra casa editrice ma andati fuori catalogo e dunque introvabili ai più?
b) quanto mercato hanno questi libri? Un Mystery Train tradotto nuovamente e con una buona pubblicità quanto potrebbe vendere? Un saggio italiano anche di qualche forumista, con la giusta pubblicità potrebbe togliersi qualche soddisfazione economica? chiedo anche a vuvu che ha scritto il libro sul dubstep. Ahinoi vedo che gli unici libri ogni presente sui scaffali sono le varie biografie e autobiografie di personaggi come Ligabue e Jovanotti, dove ti raccontano dei rispettivi gatti del cazzo, oppure le varie guide all'ascolto dei 1000 miglior album e altre merdate che in un mondo giusto sarebbero bruciacchiati per bene. Poi a me va benissimo anche leggervi gratis su OR, per carità eh, ma da fan del cartaceo mi è venuta questa curiosità.
Gli unici libri italiani che escono sembrerebbero quelli con un taglio antropologico, es Techno. Ritmi afrofuturistici, che possono essere certamente validi come rivelarsi anche poco interessanti. Però forse ha quest'ultimo potrei dare anche un chance, peraltro l'autrice, Claudia Attimonelli, docente a Bari, vedo che ha scritto pure un testo sul porno estremo.
#41
Inviato 14 gennaio 2021 - 01:07
La Minimum Fax ha ristampato Post-Punk e mi pare anche Retromania di Reynolds, è diventata la sua casa editrice italiana (è appena uscita una raccolta di articoli sulla musica elettronica chiamata furbescamente, dallo stesso Reynolds, "Futuromania"). Quindi non escludo che possa ristampare anche altre cose sue. Visto che è una casa editrice solida e mi pare abbastanza aperta spero possa diventare uno dei punti di riferimento per la scrittura musicale in Italia, senza domenticare la miriade di meritori editori indipendenti che bene o male si fanno il mazzo più per passione che per altro (non sono addentro all'ambiente ma credo che le vendite siano piuttosto miserrime).
#42
Inviato 14 agosto 2024 - 18:34
di Greil Marcus aggiungo Mystery Train, forse il suo libro più importante assieme a La Repubblica Invisibile: parte da Robert Johnson, per passare poi a Elvis, la Band, Sly Stone fino ad arrivare a Randy Newman. fa questo per parlare soprattutto di altro, cioè del sogno americano, il suo mito e la sua fine.
Il miglior libro sul rock ha compiuto 40 anni
si trova ancora in italiano? sto cercando ovunque ma pare sia non disponibile, volendo ci sarebbe quello inglese ma che gran due coglioni leggere in inglese
#43
Inviato 17 agosto 2024 - 15:05
Solamente due: MARIO BORTOLOTTO e MASSIMO CACCIARI almeno fino a metà anni ottanta. (KRISIS soprattutto e non solo).
Questi due sono fenomeni, non appartengono a questo mondo.
Giornalisti italiani che scrivono sul web non è che fatico a leggerli, li scarto a priori tranne PALOZ che mi piace molto.
Giornalisti cartacei italiani? Sinceramente che cosa devono dirmi? Sinceramente che cosa deve dirmi il tizio del reparto culturale di BLOW UP su Simone Weil? o su HUSSERL? Non mi informano, mi ha informato per l'Arte Astratta il passaggio matematico (apriremo un tema dedicato alla matematica??) da BROUWER a KLEE nell'Icone della Legge di Massimo Cacciari..
Lo stile è rimasto saldamente lo stesso da quando ho deciso di abbandonare la lettura: almeno un decennio. Tra l'altro parlano di classica contemporanea senza essere laureati in musicologia o comunque da un punto di vista semiotico sperimentale (una costruzione in divenire) dunque che devo comprare???
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