Visto che parlo del mio primo approccio a "Apocalypse Now!" ecco l'introduzione (incompleta) a un blog sui vietnam-movie che tanto non aprirò mai e che ho scritto ormai anni fa...
Cosa evoca la parola Vietnam ai giovinetti e le giovinette di oggigiorno? Se per le generazioni dei 60 e 70 fu sanguinosa materia politica, sociale, culturale e infine incubo psichedelico, per chi fu ragazzetto negli 80 il Vietnam fu materia soprattutto cine-televisiva.
Il Vietnam, per noi succitati ragazzini, era l'incubo mai rimosso, l'inferno in Terra da cui erano usciti tutti, ma proprio tutti, i protagonisti dei telefilm d'azione e polizieschi degli anni 80. In ogni serie c'era sempre la puntata dove si vedevano dei flashback sul Vietnam, ed erano sempre gli episodi più cupi e drammatici della serie.
E poi c'erano i film, con quella loro aura di proibito e speciale. Che sapevo che non erano come i film di guerra con i nazisti che trasmettevano il pomeriggio, ma erano film sporchi e oscuri, pieni di sangue, violenza, sesso, droga e parolacce. Per me era tutto un sentito dire, però, che al massimo avevo visto qualche prossimamente su Italia Uno (dove se no?).
Leggendario in particolare quello della prima di “Apocalypse Now!”, con la persone intervistate per strada a cui dicevano che finalmente lo avrebbero trasmesso - appunto - su Italia Uno e c'era gente che diceva che non ci poteva credere, che era impossibile, ma non mi dica, ma che emozione! E io che ero in quinta elementare a chiedere incuriosito a mio papà se magari era possibile... no, non era possibile: “Sei matto? Son film fanno impressione a me. Figurati a te!”. Al che ovviamente da semplice curiosità divenne assoluta necessità vedere un film tanto “impressionante”.
Ci riuscì solo nell'estate tra la terza media e la prima superiore, e mi si spalancò un mondo in cui il cinema non erano solo spade laser e buoni, brutti e cattivi. Non che che ci avessi capito molto, al massimo avevo colto le metafore più facili (la tigre, la trincea senza comando), ma ero uscito dalla visione davvero sconvolto. Per la prima volta un film aveva rappresentato per me qualcosa di più di due ore di svago, ma una sorta di viaggio, un incubo a occhi aperti. Sconvolgenti in particolare i momenti "musicali". Ovvio, la Cavalcata delle valchirie, scena strafamosa che mi stupì non essere il finale del film, ma una sequenza che arrivava dopo appena mezz'ora. Ma ancora di più mi colpirono l'inizio e la fine con quella ipnotica e inquietante canzone recitata, che solo anni più tardi identificai come "The End". E poi il surf sul fiume con "Satisfaction", altra sequenza esaltante anche se di segno opposto. A pensarci, ancora oggi, spesso tendo ad ascoltare musica legata in qualche modo a quel tipo di atmosfere. "Apocalypse Now!" mi fece scoprire il rock.
Ma i semi del rock cresceranno più tardi. Intanto mi era sbocciata una passione più immediata per i film sulla guerra del Vietnam, che iniziai a cercare e guardare con avidità e passione. E visto che parliamo della seconda metà degli anni 80 avevo l'imbarazzo della scelta su dove buttarmi. Come non bastasse il cinema, proprio in quel periodo la casa editrice Play Press pubblicò in edicola una bella serie a fumetti americana, "The Nam", scritta da un reduce, che cementificò ulteriormente quella passione. Anche abbastanza strana, considerato che avevo già maturato idee parecchio anti-militariste.
Nei primi ann 90, il mito oscuro dei vietnam-movie incuteva ancora timore: durante l'occupazione per la prima guerra del Golfo noi studenti non potemmo proiettare Full Metal Jacket e Platoon perché erano vietati ai minori e comunque sconsigliati, per cui ci beccammo "Good Morning Vietnam" (“Ma è quello di Mork e Mindy quello lì?”), che insomma non era proprio la stessa cosa.
Temo che poi quell'aurea speciale e maledetta i Vietnam-movie l'abbiano irrimediabilmente persa, e almeno una ventina d'anni. Per l'usura del genere, per l'alzarsi dell'asticella del mostrabile, per l'affievolirsi del “mito” del Vietnam.