Sono arrivato ora, dopo giorni di cammino, nel prato circondato da alberi che cingono lo spazio segreto. Era da molto che avevo questa pazza voglia, figlia di temibili sogni, di tornare nel posto in cui il tempo non aveva più modo di avere un senso e dove i sensi come l'olfatto erano assai più sviluppati.
Questo ritorno non è certo una ricerca della felicità, ma una capovolgente dichiarazione univerale di autonomia. Non è solo la nostra casa il nostro esclusivo spazio, i nostri esclusivi spazi sono sparsi nei mondi e dovremmo tornare a vistarli qualche volta.
Ogni spazio è una piccolo pertugio nel nostro cuore intarsiato nel legno, i sogni spesso ci riportano in questi luoghi che a volte si compenetrano in visioni assurde.
Ebbene ci ho messo circa una settimana di lungo cammino per giungere in questo prato dove l'erba non viene mai tagliata; non è distante da una strada, anzi ci passa dietro una ferrovia e ai treni che passano e ai loro passeggeri curiosi si possono lanciare gestacci di allegria.
Faccio un giro intorno sfiorando i tronchi degli alberi, sempre quelli di un tempo, dai nomi grossi e nutrienti, e poi mi siedo al centro del prato un poco spostato verso il punto in cui si vede in lontananza un capanno dei cacciatori posto in un altro prato più battuto.
Non ho mai visto anima viva qui, se non i passeggeri del treno che spariscono in un qualche attimo ogni volta. Oggi invece per la prima volta vedo un bambino che corre sul sentiero che va verso la strada, sento pure delle voci di qualcuno che non riesco a vedere.
"Andrea, Andrea vieni qui che dobbiamo andare!"
Non pedo tempo, mi alzo e me ne vado. Provo un certo senso di nausea, quelle voci e quel bambino mi hanno distratto, infastidito, hanno violato il mio sogno. Improvvisamente sento una fretta assurda di tornare in città, di dimenticare questa stupida esperienza.
E ovviamente come sospettavo vedo nel sentiero arrivare verso me una donna, con una gonna lunga e colorata. A circa 50 metri da me lei si ferma, come se tutto quel posto fosse suo, anzi tutto il mondo. Si gira, guarda dall'altra parte, si mette le mani in tasca e riprende il cammino.
Provo un terribile imbarazzo, vorrei dirle qualcosa, ma le parole non le trovo, anzi mi viene voglia di schiaffeggiarla per quella sua bellezza umana non richiesta. Arrivato a un passo da lei ecco che improvvisamente sento la sua voce, ma non capisco quello che dice, come se avessi le orecchie leggermente tappate, non iresco nemmeno a guardarla in volto.
Dopo qualche secondo riesco a mettere a fuoco e noto che che la donna è una sigora anziana, armoniosa e delicata, con dei lunghi capelli raccolti e non sta parlandomi, sta cantando una canzoncina mai sentita. Una bellissima voce, la sua, e una melodia dolce e macabra allo stesso tempo:
"Mai dimenticato il tuo felino agguato..."
Prendo velocemente la strada per la stazioncina del treno e forse torno a casa.