Visivamente potentissimo, concreto, aspro, buio, luminoso, sporco e laccato come solo l’animo umano può essere. Stupendo tutto l’impianto, dalla cornice circense che ci fa capire come Reality fosse un gigantesco prologo di questo film, alla convergenza non casuale dei protagonisti delle tre storie che vivono nello stessa terra, nello stesso momento perché le loro menti sono prese dalle stesse ossessioni, con quel movimento tipico ariostesco per cui i luoghi comprimono, contengono, esasperano, rappresentano e fanno deflagrare i desideri incontenibili degli uomini.
Cosa muova il mondo è chiaro, il desiderio, ma il desiderio è il corpo, è sangue (dal cuore mangiato, alla testa mozzata, alla pelle staccata), è metamorfosi e disumanamento, un campo di battaglia da piegare, modellare, sacrificare. I racconti sono scelti attorno all’idea del possesso, il desiderio di maternità che è desiderio di avere una vita dentro e di possedere il figlio poi, ma che per magia si sdoppia; il desiderio carnale legato al possesso di un corpo giovane che si lega, a sua insaputa, a un desiderio di giovinezza e bellezza ottenuto attraverso una rinascita e un legame materno (l’allattamento non a caso) e che è anch’esso doppio; il desiderio di non staccarsi da una figlia che, ormai cresciuta, viene ignorata per un suo doppio più docile, e che poi verrà privata del suo futuro.
Nell’intersecarsi delle storie qualcosa sfugge, il personaggio di Cassel è davvero in ombra, la chiusa della prima storia della Regina è frettolosa, ma nel complesso la forza compositiva e cromatica è puro incanto.
Le geometrie dei luoghi, compreso il labirinto (moltiplicato) che è la reificazione delle ossessioni mentali/viscerali della protagonista, la violenza dei colori, l’ipnotico ritmo delle musiche sono magnetiche, ti prendono e ti conducono per mano in un mondo parallelo e altro, in cui comanda il possibile se desiderato nelle sue estreme conseguenze, in cui la rappresentazione è obbligo, in cui le gesta hanno conseguenze che vengono pagate con lacrime e sangue senza alibi, perché le responsabilità sono chiare.
Violenza? No, vita.
E l’equilibrio del mondo è la convivenza di morte e nascita, di riso e pianto, di alto e basso. E’ il mondo della fiaba, nessuno sconto. E in queste storie ci sono due figli che lottano fino in fondo per la propria autonomia dai desideri altrui, escono dagli agi dei loro palazzi e entrano nei labirinti del mondo, uccidono, senza pietà alcuna, per riappropriarsi del proprio futuro. Un equilibrio instabile, come una fune tesa in fiamme, pronto a scomporre e ricomporre il mondo in nuove storie.
Direi molto, molto bello
Apprezzo molto anche le variazioni fatte rispetto alle storie di partenza, declinate più al femminile, he attualizzano i temi trattati e che esasperano la potenza della generazione e della mutazione