Per ora ho recuperato questo, era una specie di riepilogone dell'epoca, io mi ero occupato essenzialmente della parte relativa all'appello e dell'intervista a Marazzita. C'era anche l'intervista a Vigna ma doveva essere a parte e non la trovo...
UNA STORIA MOSTRUOSA
di Claudio Fabretti, Franco Fracassi, Paola Pentimella Testa, e Manuela Taddei
Il 13 febbraio 1996 la corte d'assise d'appello di Firenze «assolve Pacciani da tutte le imputazioni per non aver commesso il fatto». Ventotto anni dopo il primo duplice omicidio non si conosce ancora l’identità del cosiddetto «mostro di Firenze». In questi ventotto anni l’assassino ha agito per otto volte uccidendo sedici persone; sono finiti in carcere e sono stati poi scagionati sei presunti colpevoli; si è svolto un processo che ha portato a un nulla di fatto e un altro che ha condannato un innocente; si sono costituiti una Squadra anti mostro (Sam) e un pool di avvocati e di investigatori in difesa di un solo imputato; sono stati uccisi presunti testimoni; sono stati scritti almeno sei libri e centinaia di articoli che hanno accusato o discolpato i vari «mostri».
Dopo il 13 febbraio l’inchiesta è ripartita da zero, anzi da Pacciani. Secondo la nuova ipotesi investigativa, l’omicida non è uno solo - come indicano tutte le perizie psicologiche - ma ad aver agito sarebbe stata una sorta di congrega di maniaci. Nel frattempo si è anche appurato che Pacciani è possessore di un conto bancario di centocinquanta milioni «Sono la prova che Pacciani fu assoldato come killer da un mandante», sostengono alla Sam. «Non si può modificare ogni volta la tesi iniziale sulla base di un idea preconcetta: la colpevolezza di Pacciani», replica uno degli avvocati della difesa, Nino Marazzita.
Insomma, quella del mostro di Firenze non è solo la vicenda di uno dei serial killer più efferati della storia italiana, ma anche una telenovela che appassiona il paese da più di tre lustri.
QUELLA MATTINA AL BAR
Nella notte tra il 21 e il 22 agosto due amanti vengono uccisi in auto vicino al cimitero di Castelletti di Signa. Sul sedile posteriore della macchina, assiste alla scena il figlio di lei che all’epoca ha sei anni. Due giorni dopo il marito della donna, Stefano Mele, confessa di essere l’autore dell’omicidio. Il caso è risolto e Mele viene condannato a tredici anni di carcere.
Sei anni dopo, è il 14 settembre 1974, due ragazzi vengono uccisi a bordo della loro auto. Questa volta c’è anche un macabro reperto: la donna viene trovata con un tralcio di vite nella vagina. I due delitti non vengono ricollegati anche perché per il primo c’è un reo confesso che si trova in prigione.
Passano altri sette anni (6 giugno 1981) e il mostro colpisce di nuovo. Anche questa volta la coppia si trovava in macchina; la donna viene mutilata al pube. La mattina seguente pochi minuti dopo la scoperta casuale dei cadaveri da parte di un brigadiere dei carabinieri, un tale Enzo Spalletti entra in un bar che usa frequentare la domenica mattina: ordina un caffè e si lascia scappare «Ci sono due morti là fuori,vicino al Vingone. Ammazzati. Due ragazzi». Il giorno dopo, quando la notizia esce sui giornali, il particolare dell’esistenza di un testimone circola in paese e arriva fino ai carabinieri. Spalletti viene interrogato e nega tutto, poi cambia versione, alla fine viene accusato dei delitti e finisce in carcere, anche in seguito alla testimonianza di un altro guardone, Fosco Fabbri. Ma Fabbri dice qualcos’altro. Racconta che quattro anni prima mentre si trovava «in perlustrazione nel bosco», vicino al luogo del doppio delitto, aveva fatto uno strano incontro: un uomo alto e robusto, armato di una pistola, lo aveva invitato a salire in macchina e, dopo essersi seduto accanto, gli aveva dato una serie di consigli giuridici su come si deve comportare un voyeur. Si era presentato come guardia,forestale, ma Fabbri sostiene che aveva «l’aria da poliziotto». Alla fine comunque le dichiarazioni di Fabbri non vengono prese in considerazione. Ma a ottobre dello stesso anno il mostro uccide ancora La scena del delitto è quella di sempre. Spalletti viene allora liberato. Non si saprà mai quello che ha visto la notte del 6 giugno: nessuno lo interrogherà più.
I SARDI
19 giugno 1982, altro doppio delitto. Questa volta l’assassino commette un’imprudenza e si fa scoprire dal ragazzo, che riesce a mettere in moto l’auto ma si dimentica di togliere il freno a mano e fa incagliare la macchina in un fosso della provinciale. L’assassino uccide entrambe le vittime a colpi di pistola, ma non compie mutilazioni sulla ragazza. La fuga ha sconvolto i suoi piani?
Fino a questo momento l’episodio del 1968 non è stato ancora preso in considerazione. Ma quattro delitti sono troppi per i mass media e per gli inquirenti. Si comincia così a scavare nel passato, a passare in rassegna la letteratura sui casi analoghi. E una lettera anonima viene indirizzata a un sottufficiale dei carabinieri. Nella missiva si dice che nel 1968 c’era stato un altro doppio delitto, effettuato con modalità simili e con la stessa arma: una Beretta calibro22. Grazie alla disorganizzazione e alla lentezza dell’apparato burocratico giudiziario, si riescono a ritrovare i proiettili del 1968 - sarebbero dovuti essere distrutti, visto che la sentenza sul caso era già passata in giudicato. Apparterrebbero alla stessa arma anche se - sostengono gli esperti – non si può avere la certezza assoluta. Viene così stabilita la data d’inizio dell’escalation ufficiale della violenza omicida del mostro.
Stefano Mele, l’uxoricida uscito di galera da un anno, accusa del delitto del 1968 un suo ex amico sardo come lui nonché ex-amante della moglie. Nasce ufficialmente la «pista sarda». Francesco Vinci, ricercato per maltrattamenti in famiglia e furto aggravato, viene arrestato in agosto, quattro mesi dopo l’ufficio istruzione di Firenze spicca nei suoi confronti un mandato di cattura per il delitto del 1968.
Sebbene non ci siano ancora elementi di prova, la probabilità che sia lui l autore degli altri omicidi appare chiara a tutti.
9 settembre 1983. Ancora due vittime. Questa volta si tratta di due maschi, due ragazzi tedeschi. Si sospetta che il mostro sia stato tratto in inganno dai capelli lunghi di uno dei due. Vinci esce di galera Al suo posto vengono incriminati altri due sardi: Giovanni Mele e Piero Mucciarini, rispettivamente il fratello e il cognato di Stefano Mele
Passa un anno (29 luglio 1984) e il mostro si rifà vivo, con un nuovo duplice omicidio seguito dalle macabre mutilazioni: oltre al pube, asporta anche il seno della ragazza. I due sardi vengono scagionati e con evidente ritardo viene costituito un gruppo investigativo ad hoc: la «Squadra anti mostro». Vengono passati al vaglio i dati su tutti i possessori di una calibro 22 long rifle, su coloro che sono stati condannati per reati sessuali di un certo tipo. Vengono immagazzinati i numeri di targa delle auto che passano in certi orari e in certe località
PROFILO DI UN SERIAL KILLER
Ma neanche la Squadra anti mostro riesce fermare il killer. II 7 settembre 1985 vengono uccisi due francesi in una tenda. Il ragazzo è un atleta, riesce in un primo momento a fuggire, ma non scampa alla furia omicida dell’assassino. Anche in questo caso alla donna vengono asportati pube e seno sinistro.
Secondo l’identikit tracciato da una equipe di criminologi dell’Università di Modena il maniaco è un «lust murderer.» I lust murderer «sono caratteristici perché procedono all’immediata neutralizzazione delle vittime, seguita dalla mutilazione post-mortem dei cadaveri. Il murderer ha familiarità con le aree in cui uccide. Commette i primi omicidi in zone meglio conosciute, vicine alla propria abitazione. Successivamente, quando acquista fiducia in sé stesso, se ne allontana progressivamente, anche allo scopo di eludere la vigilanza e di confondere le investigazioni».
Nel frattempo finisce in cella Salvatore Vinci, fratello di Francesco. Conosciuto dalla polizia come un guardone, secondo la moglie, le amanti e alcuni amici, Salvatore è un bisessuale pervertito che ama fare orge e costringe la moglie ad adescare uomini per lui. Un mostro perfetto. Peccato che nel 1989 venga assolto e con lui cancellata definitivamente la pista sarda.
LETTERE ANONIME
Nel frattempo, siamo nel settembre 1985, giunge una lettera ai carabinieri di San Casciano Val di Pesa, in cui si sostiene che un certo Pietro Pacciani aveva già ucciso e si esprimeva il sospetto che fosse proprio lui l’omicida delle coppie. La lettera anonima, secondo i periti grafologi, è stata scritta dalla stessa mano dell’altra missiva del 1982. In entrambi i casi chi scrive è a conoscenza di dettagli sconosciuti non solo all’opinione pubblica, ma anche agli stessi inquirenti. Nella prima lettera si faceva riferimento a una pallottola della quale era estremamente difficile conoscere i dettagli. E poi come faceva l’anonimo a sapere del legame tra i delitti del mostro e quello del1968? Nella seconda lettera si ricorda che Pacciani (e chi lo conosceva all’epoca?) era già stato condannato per omicidio ben trentuno anni prima. Nessuno indagherà mai su queste due lettere. E Pacciani entra così ufficialmente nella lista dei sospettati.
BLOCK NOTES TEDESCO
Siamo arrivati al 1989, ventuno anni dopo l’apparizione del mostro. Pacciani a questo punto è a pieno titolo il sospettato numero uno. Certo di ragioni per sospettarlo ce ne sono tante. È il 1951 e Pietro scopre la sua fidanzata con un altro uomo. «Lei mi ha gridato di ucciderlo perché la stava violentando», dirà lui. «È saltato addosso al ragazzo con un coltello preso da un raptus di gelosia e poi mi ha violentata con il cadavere vicino ancora caldo», testimonierà lei al processo. Fatto sta che alla fine vengono condannati entrambi.
Pacciani viene condannato un altra volta nel 1987. Questa volta l’accusa è di violenza carnale nei confronti della figlie. Si scopre tra l’altro che Pacciani picchia la moglie, è violento con amici ed estranei, è un guardone e accanito consumatore di materiale pornografico, salta addosso a una donna non appena gli si presenta l’occasione, mente in continuazione. «Non dice mai la verità perché presume che lo vogliano incastrare con dei trucchi» lo difende Marazzita. È insomma il mostro ideale.
La Sam e la procura di Firenze giurano che è l’uomo giusto e a prova di ciò esibiscono prove acquisite durante le perquisizioni a casa di Pacciani: una pallottola identica a quelle usate dal mostro, uno straccio che avvolgeva uno dei pezzi della pistola omicida (l’asta guida molla), spedito con un’altra lettera anonima - e tre! - agli inquirenti (anche su questa non sono state svolte indagini), un block notes appartenuto a una delle due vittime tedesche.
Pacciani si difende sostenendo che la pallottola è stata messa appositamente nel suo giardino da qualcun altro quando lui stava in prigione e lo stesso vale per lo straccio. Il block notes, invece, l’ha trovato in una discarica molti anni prima del delitto. E a prova del fatto che dice la verità invita Perugini a controllare gli appunti riportati sul blocco: risulta effettivamente che Pacciani stesso vi ha descritto episodi datati 1980 e1981, verificati come realmente accaduti dalla Sam. Perugini però va in Germania e riesce a dimostrare che il block notes non può essere stato acquistato prima dell’aprile 1982 (il delitto dei due tedeschi risale al 1983) e quindi le annotazioni possono solo essere successive. Infine il blocco risulta essere stato venduto nella città natale di uno dei due ragazzi tedeschi.
«MEZZO PIÙ MEZZO FA ZERO»
Pacciani viene arrestato e processato, La sentenza di primo grado (primo novembre 1994) lo condanna all’ergastolo. «Concreti elementi» portano a individuare nell’imputato non un abile assassino ma «l’assassino delle coppie». Tali elementi emergono con chiarezza ed indicano in Pietro Pacciani, in eventuale concorso con altri soggetti, l’autore della serie dei duplici delitti dal 1974 in poi».
Si va in appello. E la requisitoria del pubblico ministero Piero Tony è sorprendente: si schiera addirittura in favore dell’imputato: «È un processo indiziario a seguito del quale - dice il codice - è vietato dichiarare la responsabilità di una persona. La somma di due indizi “semipieni” non dà un indizio pieno. Mezzo più mezzo fa zero». E:ancora: «È da spiegare se il Pacciani molestatore di ogni donna che gli passa accanto - perfino sul tetto in equilibrio ha rotto le scatole alle donne; padre incestuoso - sia o meno compatibile con quel tipo di autore inesperto di rapporti eterosessuali impotente o quantomeno inibito».
Nella sentenza del collegio presieduto dal giudice Francesco Ferri vengono usati toni ancora più pesanti contro la Procura e i giudici di primo grado. È scritto a proposito della pallottola ritrovata nell’orto di Pacciani dal capo della Sam: «II dottor Perugini avrebbe visto uno scintillio metallico provenire da uno dei fori dei due tronconi Ma sfugge al comune intendere come possa essersi prodotto quello scintillio metallico Erano le 17.45 di un pomeriggio di aprile piovoso e comunque con cielo coperto. La cartuccia era imbozzolata in un grumo di terra per riprendere il quale erano necessari i riflettori. Non si comprende quale parte potesse luccicare all’esterno».
LETTERE GRECHE
Pacciani assolto, dunque. Archiviato il processo di secondo grado anzi, ancora prima che cominciasse, la Procura ha però deciso di riaprire le indagini. «Ci sono nuovi elementi». Improvvisamente esce fuori una messe di nuovi testimoni, pronti a giurare sulla colpevolezza di Pacciani, e non solo. Si scopre che il “mostro” non era solo, che agiva in compagnia di alcuni complici. Viene arrestato Mario Vanni, vengono messe sotto inchiesta altre cinque persone, viene nuovamente accusato Pacciani. Questa volta si tratta di associazione a delinquere. I nuovi testimoni vengono soprannominati dalla Procura con lettere greche: C’è il testimone «Gamma» che dichiara: «Quella sera ero con Norberto (il “Delta”) e lì all’altezza degli Scopeti notai questa macchina rossa... Era l’auto del Lotti (Beta). Il giorno dopo sentii che avevano: "ammazzato i due ragazzi e confidai al Norberto: ‘Corriamo dai carabinieri e gli raccontiamo della macchina. Lui mi picchiò e mi ordinò di stare zitta». Lotti stesso dichiara: «Abbiamo visto Pietro Pacciani e Mario Vanni quella sera dell’8 settembre 1985 agli Scopeti. Il primo con la pistola, il secondo con un coltello. Ci hanno allontanato minacciandoci. Poi hanno attaccato la coppia dei ragazzi francesi». E così via. Ribatte Marazzita: «Se un pubblico ministero si fissa che c’è un colpevole da condannare, tutti facilmente si sintonizzano con questo desiderio. I testimoni sono personaggi squallidi, vecchi rimbecilliti, terrorizzati. Nel caso di Pacciani di queste testimonianze ce ne sono tante. Prendiamo il caso di Lotti, un poveraccio anonimo e alcolista che parla per avere dei vantaggi». E poi c è la perizia degli psicologi di Modena, ripresa nella requisitoria dell’accusa del processo di appello: «Sul fatto che si sia trattato di un solo uomo ci giochiamo la nostra professionalità». Tanti dubbi e interrogativi. L’unica cosa certa è che dopo ventotto anni il mostro di Firenze non ha ancora un nome
(Avvenimenti, 18 settembre 1996)