ti rispondo con la mia personale esperienza: l’amplificazione dei sensi e le diverse prospettive che si aprono quando sono fatto sono fattori che mi sono stati di grande aiuto nell’approfondire la comprensione di tante cose, e ci ho pure scritto articoli. se io reagisco bene e so gestirne il consumo, perché non dovrei avere accesso a un prodotto pulito e sicuro?
Credo che qua sopra siamo tutti d'accordo che l'ideale a cui aspirare sia quello di una società dove non c'è bisogno di repressione, nè di stigma sociale, ma in cui cittadini ben informati compiono le loro libere scelte di consumo, consapevoli delle conseguenze che dovranno affrontare soprattutto in prima persona. Il problema è che questa è un'aspirazione ideale. Nel mezzo ci sono situazioni da gestire in cui l'intervento dello Stato nel regolare le modalità di produzione o vendita di determinati beni o servizi, se da una parte limita la libertà di impresa e anche quella di consumo, dall'altra tutela altri interessi almeno altrettanto importanti come la salute o l'ordine pubblici. Abbiamo ultimamente fin troppa familiarità con il concetto di limitazione perfino delle libertà personali per tutelare interessi collettivi, ma i confini dell'intervento intrusivo dello Stato nelle scelte dei consumatori, in tema di dipendenze, sono stati allargati almeno un ventennio fa. La tutela dei non fumatori dai danni del fumo passivo è stata ben presto allargata ad un dichiarato disturbo attivo del fumatore, che si è visto privato del diritto di sentirsi come il cowboy della pubblicità, per trovarsi molestato da foto raccapriccianti e scritte menasfiga listate a lutto pur di dedicarsi al suo legittimo, meritato e iper-tassato passatempo.
Allora giustamente ci fu un dibattito su quali fossero i legittimi confini del paternalismo di Stato, che poteva diventare addirittura criminalizzazione vera e propria di chi aveva una dipendenza che nuoceva soprattutto a se stesso. Un tema, in fondo, non tanto differente da quello che riguarda l'atteggiamento verso i no-vax. Direi una battaglia in cui la posizione libertaria ha straperso, anche nella coscienza collettiva, dal momento che più nessuno ora si sognerebbe di reintrodurre la pubblicità delle sigarette e un po' tutti i fumatori si sono abituati a queste molestie nella loro esperienza di consumo senza domandare più di tanto evidenza del rapporto costi-benefici.
Personalmente ritengo che questo metodo che non reprime ma attivamente disincentiva comportamenti potenzialmente dannosi per se stessi sia un caso di successo che si può attuare anche sulle droghe leggere. Io vedo anche l'atteggiamento attivo dello Stato rispetto all'abbandono delle possibile vittime delle dipendenze a loro stessi come uno dei rari casi, o comunque uno di quelli più spettacolari, in cui l'interesso pubblico è riuscito ad opporrsi con successo ad interessi particolare potentissimi.
Non sono quindi pronto a concedere che esista il diritto inalienabile a fumare bene a quella minoranza di persone che lo fanno con coscienza, o credono di farlo, se questo dovesse portare a gravi danni per la popolazione, in questo caso peraltro soprattutto giovane e giovanissima. Per questo per me la posizione di Pino Arlacchi, con tutti i limiti e in certi aspetti perfino, probabilmente, la malafede che avete sottolineato, per me non è assolutamente da bollare come una cripto-giovanardata qualunque, visto anche l'esperienza e la cultura politica da cui Arlacchi proviene. Per me su questo tema occorre un atteggiamento non ideologico, o meglio la mia ideologia è quella di minimizzare i danni anche a scapito di una coerenza liberale o libertaria della legislazionie a cui si aspira su questi temi.