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Tornare dove (non) si è (mai) stati: il cinema di Amos Gitai


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#1 Pierrot le fou

    Roadie

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Inviato 16 novembre 2006 - 14:47

Immagine inserita

DVD 1
Esther
1985,Francia/Israele/GranBretagna/Austria/Olanda, 35mm, colore, 97â??
Versione originale in ebraico e arabo con sottotitoli opzionabili in italiano e in inglese

DVD 2
Berlin Jerusalem
1989, Gran Bretagna/Francia/Olanda/Italia, 35 mm, colore, 89â??
Versione originale in tedesco, ebraico e arabo con sottotitoli opzionabili in italiano e in inglese

DVD 3
Golem - lâ??Esprit de lâ??exil
1991,Francia/Italia/Germania/Olanda/GranBretagna, 35mm, colore, 105â??
Versione originale in inglese, francese ed ebraico con sottotitoli opzionabili in italiano

DVD 4
Birth of Golem (documentario)
Francia, 1990, 60â??
Versione originale in francese con sottotitoli opzionabili in italiano


E' finalmente uscito il cofanetto che racchiude la trilogia dell'esilio di Amos Gitai. All'interno è allegato un libricino con diverse interviste ed estratti dal bellissimo libro di Serge Toubiana: Il cinema di Amos Gitai, pubblicato quest'anno da Mondadori.
Amos Gitai, non mi stancherò mai di ripeterlo, è uno dei registi contemporanei più interessanti in circolazione. Il suo percorso formativo, che inizia dai documentari girati sulla guerra del Kippur alla quale anch'egli partecipò, è un percorso saturo di una "spregiudicatezza controllata" che solo un occhio ed una mente intelligente  come la sua avrebbe potuto concepire. Il suo approccio deriva in parte anche dai suoi studi di architettura nei quali ritrova familiari molte caratteristiche cinematografiche.
In questa trilogia egli mostra alcune intuizioni eccellenti di baziniana memoria, riportando dignità alla commistione tra cinema e teatro, rivelandone in maniera armonica le caratteristiche dell'uno e dell'altro.
La sua capacità filmica non è facile ma se ne può usufruire a diversi livelli, uno dei quali è proprio quello forse più moderno di tutti, quello che ha investito tantissimi cineasti di oggi e che deriva direttamente (o quasi) da Flaherty, quello completamente compatibile alle possibilità che ormai ognuno ha di convertire il proprio sguardo con quello di una cinepresa, quello del riprendere documentaristicamente la finzione.
Definirlo solo un poeta, come hanno fatto in molti, mi sembra molto riduttivo: il suo è un impegno comunicativo che nasce dalle proprie origini israeliane (è nato ad Haifa) e cresciuto attraverso le continue opposizioni di verità e di tecnica. E forse il titolo che Enrico Ghezzi ha voluto dare al cofanetto, è proprio figlio di quest'opposizione.
Dagli esordi, fino all'ultimo stupendo Free Zone, il suo percorso è una ragnatela di rimandi, di ellissi e di flashback, atti a cristallizzare nella nostra mente un solo unico grande film, che è anche quello della vita di ognuno di noi.



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