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Apriamo il dibattito sull'uscita dall'euro


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71 replies to this topic

#51 satyajit

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Inviato 22 giugno 2012 - 12:57

L'uscita dall'euro sarebbe un suicidio clamoroso, innanzitutto comporterebbe l'immediata perdita del 50% del potere d'acquisto già nei primissimi giorni


Su che base, questa stima?
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#52 TheWalrus

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Inviato 22 giugno 2012 - 13:49


mi spaventa pero' che hai aperto questo thread a seguito delle dichiarazioni di Berlusconi...


No, è stato un caso, non le avevo neanche sentite.

Piuttosto, tu che hai studiato con De Arcangelis, sai se si è espresso sull'argomento, di recente?


quest'anno non l'ho seguito, l'anno prossimo faccio con lui Economia Internazionale avanzata...
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#53 sheikyerbouti

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Inviato 23 giugno 2012 - 07:25

interessante studio dell'ubs svizzero circa i costi di un'eventuale uscita dall'€uro.
non è recentissimo, è datato 6 settembre 2011.

buona lettura.
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#54 sheikyerbouti

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Inviato 24 giugno 2012 - 11:20

a futura memoria:

Altro che euro, arrivano le Bungalire


amara, e non credo molto distante dalla realtà, considerazione...

saluti.
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#55 ucca

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Inviato 24 giugno 2012 - 15:07

a futura memoria:

Altro che euro, arrivano le Bungalire


amara, e non credo molto distante dalla realtà, considerazione...

saluti.


Sono tutte cose già dette ridette, anche qui sopra. Non ci vuole un premio nobel. Però per i nostri nuovi futuristi tutto ciò non ha importanza, importa la velocità l'azione il vediamo che succede.
è gente che va a sbattere a duecento all'ora contro un muro ma a cazzo dritto. poi vabbè, magari
un attimo prima di salire in macchina ci si ferma un secondo, si scende e piattino in bocca si torna dai crucchi a pregare che non ci caccino, ma questo è un dettaglio.
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#56 sheikyerbouti

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Inviato 24 giugno 2012 - 15:12


a futura memoria:

Altro che euro, arrivano le Bungalire


amara, e non credo molto distante dalla realtà, considerazione...

saluti.


Sono tutte cose già dette ridette, anche qui sopra. Non ci vuole un premio nobel. Però per i nostri nuovi futuristi tutto ciò non ha importanza, importa la velocità l'azione il vediamo che succede.
è gente che va a sbattere a duecento all'ora contro un muro ma a cazzo dritto. poi vabbè, magari
un attimo prima di salire in macchina ci si ferma un secondo, si scende e piattino in bocca si torna dai crucchi a pregare che non ci caccino, ma questo è un dettaglio.

cosa ne pensi dello studio di ubs?

ciao.
  • 0

#57 ucca

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Inviato 25 giugno 2012 - 08:38

Ho letto l'articolo sul Ilfatto, lo studio non ho avuto il tempo. Magari me lo stampo e me lo leggo stasera quando torno.
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#58 satyajit

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Inviato 26 giugno 2012 - 17:21

Avevo letto lo studio dell'Ubs quando lo citò (a sproposito) Repubblica travisandolo (di proposito, suppongo)
Credo che quello studio abbia almeno tre grossi limiti:
1) E' viziato da un enorme conflitto di interessi: praticamente una banca svizzera ti dice che i tuoi risparmi rischiano di dimezzarsi. Fai due più due...
2) E' poco trasparente e parecchio grossolano nelle stime che fa, e lo ammette anche dicendo che in situazioni come queste i modelli econometrici non servono e che i calcoli dello sono appunto rozzi e approssimativi.
3) Non considera né i costi di rimanere nell'euro né, se non ricordo male, i vantaggi dell'uscire.

Tuttavia, non credo sia totalmente da snobbare per almeno altrettanti motivi:
1) E' onesto nell'ammettere che creare l'euro è stata una pessima idea e che il sistema continua a funzionare malissimo
2) Propone soluzioni alternative, per quanto discutibili
3) Condivide le previsioni fosche di tanti esperti di sistemi bancari.
Sì, perché leggendo un po' altri studi sul tema, ciò che emerge è una divergenza tra chi è specialista di economie aperte, che è per lo più favorevole al break up, e chi è maggiormente esperto di sistema bancario, che invece è molto pessimista. La cattiva notizia è che c'è un gran disaccordo su quanto può accadere persino tra gli specialisti. Non c'è da per niente stare sereni.

Poi però arriva il blogger di turno che parla di inflazione al 500%. Perché non 5000, allora? Va beh, lasciamo perdere.
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#59 satyajit

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Inviato 26 giugno 2012 - 17:23

Sono tutte cose già dette ridette, anche qui sopra. Non ci vuole un premio nobel.


Figuriamoci, basta un po' di qualunquismo e si pontifica su tutto lo scibile umano.
  • 1

#60 verdoux

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Inviato 26 giugno 2012 - 19:04

Però, non mi più chiaro cosa importi veramente; Zapatero o Aznar fa lo stesso, il debito pubblico non ha più importanza, l'inflazione mi pare di capire nemmeno, è il feticcio dell'euro la fonte di tutti i mali?
Non credo, l'euro può esser utile, ma va sdrammatizzato, ci sono nazioni sane che ne fanno a meno, Svezia, UK, Svizzera, anzi ho l'impressione che l'euro sia una coalizione necessaria ai più deboli, sotto le gonne di mamma Germania. Comunque anche il cambio valuta ha un costo di qualche decimo di PIL.
Ci vuole crescita e vero, ma vera non drogata, ma ahimè gli alberi non crescono fino in cielo e non vedo alcuna correlazione tra valuta ed euro.
Comunque mi prendo il copyright della forse unica bestialità che Grillo e Berlusconi non hanno ancora detto, solo perché non ci hanno pensato, reintroduciamo la scala mobile, così cresciamo.
  • 0

#61 satyajit

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Inviato 26 giugno 2012 - 19:58

Il problema sono i conti con l'estero. Un buon indicatore, anche facile da tenere d'occhio, è il saldo delle partite correnti. In caso di deficit consistente e cambio fisso, sono dolori. La dinamica della partite correnti all'interno dell'eurozona "spiega" bene la crisi dei paesi periferici.
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#62 sheikyerbouti

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Inviato 28 giugno 2012 - 15:25

Quattro luoghi comuni su Euro ed Europa

smontati dagli economisti eterodossi


buona lettura.
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#63 Dylan

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Inviato 03 luglio 2012 - 18:24

Quattro luoghi comuni su Euro ed Europa

smontati dagli economisti eterodossi


buona lettura.



bel link ad un ottimo articolo, grazie sceicco
  • 0
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e per castelli in aria
l’anima ho milionaria.

#64 ucca

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Inviato 03 luglio 2012 - 22:39

ho letto, mi aspettavo meglio. alcune cose sono interessanti, altre però poco concrete per essere economisti.
dire espandiamo la domanda va bene, ma prova a dire aumentiamo il debito e vedi come suona.
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#65 astrodomini

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Inviato 03 luglio 2012 - 22:54

La cosa divertente è che Kaynes, la scuola economica dominante per mezzo secolo nel mondo occidentale, è diventato il nuovo salvatore del mondo e viene presentato alla stregua di una panacea per tutti i mali.
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the music that forced the world into future


#66 ucca

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Inviato 04 luglio 2012 - 16:52

Ma va benissimo, però dipende dal periodo storico. La stessa ricetta funziona in un momento e non in un altro. se devo ricostruire keynes va benissimo, non sono altrettanto convinto che questo tipo di ricette
funzinino con debiti pubblici altissimi e con economie mature. Il rischio è di buttare i soldi.
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#67 astrodomini

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Inviato 14 luglio 2012 - 12:00


Il Centro studi Confindustria: no a un'uscita dall'euro. La svalutazione «è un attrezzo ormai arrugginito»

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#68 ucca

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Inviato 14 luglio 2012 - 23:26

Secondo me chiunque ha un briciolo di cervello lo sa. Il problema è politico, l'Italia è in cerca di padrone.
La nostra economia, il nostro stato sociale, la nostra classe politica si è fatta sotto l'ombrello degli USA che ci avrebbero parato il culo a qualsiasi livello di debito. Ora è piu' complicato perchè il nuovo padrone è una madre cattiva, che forse ci dà una chance, ma dobbiamo soffrire e non è nemmeno detto che la sua ricetta funzioni. Salari piu' bassi, vendita dei principali asset, meno stato, meno welfare, e puntare tutto sull'export e gli investimenti in italia degli stranieri. Di nostro, non stiamo valorizzando niente, siamo senza politica industriale e con uno stato pezzente che non paga le imprese ma si regge sul rapporto perverso con le banche. Nel silenzio generale, queste si stanno riempendo di titoli pubblici
garantendo allo stato di poter pagare stipendi e pensioni ancora un pò, mentre nel frattempo in questo modo
le banche diventano a profitti privati e garanzia pubblica, e non prestano un cazzo a famiglie e imprese (che gli frega?). La mia sensazione è che stiamo aspettando che scenda qualcuno da "altrove" a salvarci. Anche questi viaggi di Monti (pur lodevoli) per attrarre investimenti stranieri. Ma perchè uno coi soldi dovrebbe investire in un paese con una burocrazia/tassazione/legislazione/costo lavoro cosi alti? Puoi abbassare i salari, puoi precarizzare quanto vuoi, puoi tagliare tutto il tagliabile ma poi? Su cosa sta puntando sto paese di suo?
La mia sensazione è niente, la confusione totale. Magari Passera ha in mente cose geniali che non capisco.
Ho proprio questa sensazione di un premier vero, un uomo di 70 anni e passa, e dietro nessuno.
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#69 satyajit

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Inviato 15 luglio 2012 - 23:06

1 - CRISI:MERRILL LYNCH;USCITA ORDINATA EURO BENEFICA PER ITALIA
(ANSA) - Una "uscita ordinata" dall'euro darebbe all'Italia "benefici in termini di miglioramento della competitività, crescita economica e finanza pubblica". E' quanto scrivono due analisti di Bank of America Merrill Lynch in uno studio riportato dalla Bloomberg secondo cui, assieme al nostro Paese, anche l'Irlanda avrebbe maggiori incentivi a lasciare l'eurozona rispetto alla Grecia mentre i danni maggiori arriverebbero alla Germania.

Immagine inseritaMERRILL LYNCH

Immagine inseritaBANK OF AMERICA


L'analisi rileva come "mentre la Germania potrebbe 'corrompere' l'Italia a rimanere nella zona euro ed evitare le conseguenze di una uscita, la capacità che questo accada è limitata. Questo perché l'Italia ha più motivi rispetto alla Grecia di uscire e ogni compensazione potrebbe divenire troppo costosa per la Germania oltre al fatto che gli italiani possano essere più riluttanti dei greci ad accettare le condizioni per rimanere". "Gli investitori stanno sottovalutando l'ipotesi di un'uscita volontaria di uno o più Paesi", scrivono i due esperti che sottolineano come "le analisi portano ad alcuni risultati che anche i lettori che non le condividono probabilmente le troveranno interessanti".

Immagine inseritaMONTI MERKEL



2 - ITALIA E IRLANDA PIÙ INCENTIVATE DELLA GRECIA A LASCIARE L'EURO (BOFA)
Finanzaonline.com - Secondo la teoria dei giochi e l'analisi costi-benefici, l'Italia avrebbe maggiore incentivo ad abbandonare l'Euro rispetto alla Grecia. Lo rileva uno studio di BofA Merrill Lynch, che mostra come il nostro Paese, insieme all'Irlanda potrebbe trovare conveniente un'uscita volontaria e ordinata dalla moneta unica, ricavandone un miglioramento in termini di competitività, crescita e bilancio.

Lo studio di BofA mette in ordine i 17 Paesi dell'Euro secondo la rispettiva possibilità di un'uscita "ordinata" per scoprire che all'Italia, come anche all'Irlanda, è assegnato un punteggio di 3,5 mentre la Grecia si trova più in fondo alla classifica con un 5,3. La Germania invece è la meno incentivata a lasciare l'euro, con un punteggio di 8,5. Anche Austria, Belgio e Finlandia risultano tra i Paesi meno incentivati ad abbandonare la moneta unica.

Immagine inseritaANTONIS SAMARAS



3 - IL TESTO ORIGINALE DA BLOOMBERG:
ITALY EXITS BEFORE GREECE IN BOFA GAME THEORY: CUTTING RESEARCH
(Bloomberg) -- Italy and Ireland have more incentive to quit the euro than Greece, while Germany may have limited room to prevent departures from the currency union, according to Bank of America Merrill Lynch.

Using cost-benefit analysis and game theory, BofA Merrill Lynch foreign exchange strategists David Woo and Athanasios Vamvakidis concluded in a July 10 report that investors "may be underpricing the voluntary exit of one or more countries" from the bloc.

Immagine inseritaENDA KENNY PRIMO MINISTRO IRLANDESE


"Our analysis produces a few surprising results that even readers who may disagree with our conclusion are likely to find interesting," the strategists wrote.
Italy, the euro area's third-largest economy, would enjoy a higher chance of achieving an orderly exit than others and would stand to benefit from improvements in competitiveness, economic growth and balance sheets, they said.
While Germany is the nation deemed able to leave the euro zone most easily, it has the least incentive of any country to quit because it would face weaker growth, possibly higher borrowing costs and a negative hit to its balance sheets, the strategists said. Austria, Finland and Belgium also have little reason to quit, they said, while Spain has the weakest case for leaving among economies most directly affected by the crisis.

Immagine inseritaIL PRIMO MINISTRO FINLANDESE JYRKI KATAINEN


The analysis is based on a framework which ranks eleven of the 17 euro-area nations on criteria such as how orderly their exit from the bloc would be and how it would affect economic growth, interest rates and balance sheets. Ireland and Italy received an average ranking of 3.5, while Greece was at 5.3 and Germany had the highest score at 8.5. The lower the number, the more there would be to gain from leaving.

Immagine inseritaBANDIERE EUROPA


Woo and Vamvakidis employ game theory to suggest that while Germany could "bribe" Italy to remain in the bloc and avoid the fallout from an exit, its ability to do so is limited. That's because Italy has more reasons than Greece to leave so any compensation could become too expensive for Germany and Italians may be even more reluctant than the Greeks to accept the conditions for staying.
"If our inference turns out to be correct, this could have negative implications for markets in the months ahead," they said.
http://www.dagospia....talia-41516.htm


http://www.bloomberg...g-research.html
http://online.wsj.co...mod=djemheard_t
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#70 HardNheavy

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Inviato 17 luglio 2012 - 17:28

Anche se qualche post fa Brancaccio non era stato considerato "esperto in materia", posto questa sua riflessione perchè credo sia utile in quanto parla del "come" si esce dalla moneta unica. Io credo infatti che il dibattito sull'uscita dall'euro o meno non possa essere staccato dal "come" si esce.

Gli intellettuali di "sinistra" e la crisi della zona euro.
di Emiliano Brancaccio

Man mano che la crisi della zona euro si aggrava, tra gli imprenditori italiani e persino negli ambienti della destra “rispettabile” inizia a far capolino l’ipotesi di una uscita dell’Italia dalla moneta unica. Come quasi sempre accade, allora, per riflesso pavloviano anche gli intellettuali e gli economisti di “sinistra” si vedono costretti a uscire dalle consuete ambiguità retoriche e ad assumere posizioni più chiare sul da farsi. Vari articoli pubblicati di recente, così come un seminario sulla crisi organizzato pochi giorni fa dalla Fondazione Di Vittorio e dall’ARS, hanno dato conto di questa tendenza.
Semplificando al massimo, tra gli intellettuali di sinistra, inclusi gli economisti, possiamo riconoscere due posizioni prevalenti.

Alcuni di essi ritengono che una deflagrazione della zona euro determinerebbe una catastrofe economica talmente violenta da condurre l’intera Europa sull’orlo di un conflitto bellico. La loro tesi è che l’Unione economica e monetaria rappresenta una condizione necessaria per garantire la pace tra i popoli europei. Chiunque si azzardi a evocare la possibilità di un’uscita dall’euro viene quindi immediatamente considerato un avventuriero irresponsabile, potenzialmente un guerrafondaio. In verità questi studiosi non forniscono chiare evidenze a sostegno dei loro anatemi. Nel libro L’austerità è di destra. E sta distruggendo l’Europa (Il Saggiatore, Milano 2012) abbiamo rilevato che la tesi secondo cui le unioni economiche e monetarie - e più in generale il liberoscambismo - garantirebbero la pace tra le nazioni, non trova adeguati riscontri storici. Abbiamo ricordato, in proposito, che alla vigilia del primo conflitto mondiale sussisteva piena libertà di circolazione dei capitali e vigeva un sistema di cambi fissi vincolante quasi quanto l’euro. Anziché lanciare apodittici strali di accuse, dunque, gli intellettuali che intendono difendere la zona euro a tutti i costi farebbero meglio a fornire argomenti più convincenti a sostegno delle loro posizioni. In particolare, essi dovrebbero dirci se ritengono che, pur di restare nell’eurozona, dovremo in futuro adattarci a qualsiasi possibile divario tra tassi d’interesse e tassi di crescita del Pil nominale (con buona pace per la praticabilità di qualsiasi cosa possa vagamente somigliare a una politica economica “alternativa”, espressione che viene tuttora ripetuta come un mantra negli ambienti di sinistra). A questo proposito, bisognerebbe tener presente che negli anni Trenta furono proprio i vani tentativi di Bruning di ripagare i debiti esteri a colpi di deflazione che crearono le condizioni materiali per l’ascesa di Hitler al potere. Insomma, gli strenui apologeti della zona euro “in nome della pace” farebbero bene a considerare la possibilità che il terreno favorevole alla proliferazione del bellicismo lo stiano preparando proprio loro. Eventualità spiacevole come tutte le eterogenesi dei fini, ma tutt’altro che improbabile.
Nell’arcipelago degli intellettuali ed economisti di sinistra c’è però anche una posizione alternativa. Questa è sostenuta da chi ritiene che da un’uscita dalla zona euro si potrebbero trarre molti più vantaggi che svantaggi. Questa tesi viene in genere supportata con evidenze tangibili per l’Italia e per almeno alcuni degli altri paesi periferici dell’Unione. Ci sono tuttavia diversi aspetti, di tale posizione, che appaiono lacunosi e che andrebbero chiariti meglio. 1) In primo luogo, il trapasso da un sistema di cambi fissi a un sistema di cambi flessibili viene solitamente anticipato e seguito da ingenti fughe di capitale all’estero. Una più agevole gestione della transizione richiederebbe allora il ripristino di efficaci meccanismi di controllo dei movimenti di capitale. 2) In secondo luogo, bisognerebbe tener conto del fatto che l’uscita dall’euro potrebbe comportare una caduta della quota salari e dello stesso potere d’acquisto dei salari anche in presenza di un’inflazione moderata. Se la dinamica dei rapporti di forza tra le classi sociali genera salari nominali stagnanti o addirittura declinanti, gli effetti di un’uscita dall’euro sui prezzi e sulla distribuzione potrebbero risultare tutt’altro che trascurabili. La caduta della quota salari negli anni successivi all’uscita dallo Sme è indicativo, in questo senso. Affermare che tale andamento sia stato dovuto all’accordo sul costo del lavoro, senza alcun nesso tra questo e lo sganciamento dal sistema dei cambi fissi, mi fare francamente azzardato. Il problema che dunque si pone, almeno dal punto di vista degli interessi del lavoro subordinato, consiste nella individuazione di criteri che consentano di evitare che il peso di un deprezzamento del cambio si scarichi interamente sui salari. L’ideale, naturalmente, sarebbe il ripristino di meccanismi di indicizzazione dei salari e di controllo amministrativo di alcuni prezzi “base”. Ma anche la ricerca di alleanze finalizzate alla reintroduzione di limiti alla libera circolazione delle merci, che consentano di controllare maggiormente la dinamica del cambio, è una delle opzioni possibili. 3) Infine, un terzo aspetto che andrebbe meglio specificato è quello relativo al valore dei capitali nazionali. La letteratura sui “fire sales” successivi a una svalutazione segnala che i prezzi antecedenti a un deprezzamento scontano solo in parte gli effetti del medesimo. Ciò implica che dopo una eventuale uscita dall’euro il valore degli assets nazionali potrebbe precipitare ulteriormente, al punto da creare condizioni favorevoli per acquisizioni estere a buon mercato. Pertanto, se si vuole che l’uscita dall’euro non venga fatta coincidere con una perniciosa svendita di capitali nazionali, bisognerebbe limitare anziché favorire le acquisizioni estere. In altri ambiti già si discute apertamente di questi problemi. Sarebbe il caso che anche a sinistra venissero affrontati.
Tutte queste considerazioni possono riassumersi nei seguenti termini. Al di là dei loro anatemi, i difensori “senza se e senza ma” della zona euro non sembrano avere argomenti convincenti a sostegno delle loro posizioni. Tuttavia, anche i fautori di un’uscita dall’euro in condizioni di libera circolazione dei capitali e delle merci sembrano sottovalutare le implicazioni negative di una simile opzione. Può dunque essere opportuno delineare una terza opzione, che potremmo riassumere così: se salta la moneta unica, occorre rendere esplicito che ai paesi periferici dell’Unione potrebbe convenire far saltare anche il mercato unico europeo.
E’ bene chiarire, al di là delle apparenze, che questo indirizzo politico non è necessariamente disfattista, ma al contrario potrebbe rivelarsi l’unica vera chance per salvare una Unione europea ormai appesa a un filo. In questo senso, nel libro L’austerità è di destra. E sta distruggendo l’Europa, abbiamo sostenuto che l’esplicito riferimento a una opzione “neo-protezionista” rappresenta forse l’ultima carta che i paesi periferici potrebbero credibilmente giocare in sede europea per convincere la Germania che la crisi dell’Unione rischia di costar cara anche ai paesi più forti. E’ bene infatti ricordare che in Germania i portatori degli interessi prevalenti si sono già dichiarati pronti a sopportare i costi di una eventuale esplosione della moneta unica, sia in termini di perdita temporanea di competitività che di svalorizzazione dei crediti verso l’estero. L’unica prospettiva che essi sembrano davvero temere è che la crisi dell’euro metta in discussione anche il mercato unico europeo, sul quale l’economia tedesca ha lungamente prosperato e su cui si fonda l’attuale processo di centralizzazione dei capitali e di relativa “mezzogiornificazione” delle periferie europee.
Quanto siamo lontani dalla prospettiva evocata? anni luce, considerato che il Professor Monti rappresenta uno dei più strenui difensori del liberoscambismo europeo. Se anche la moneta unica dovesse saltare in aria, egli di certo non oserebbe mettere in discussione il mercato unico europeo. A pensarci bene, un miglior garante per i “falchi” tedeschi non lo si poteva trovare. Complimenti quindi ai numerosi demiurghi del governo Monti: al di là delle volgarizzazioni mediatiche, il capolavoro strategico di mettere un irriducibile liberoscambista a palazzo Chigi potrebbe un giorno essere riletto come un co-fattore non trascurabile dei ripetuti fallimenti delle trattative europee di questi mesi. Monti verrà dunque ricordato come l’ultimo dei danni provocati in questi anni dai “liberoscambisti di sinistra”? Anche solo augurarselo pare fin troppo ottimistico.

Emiliano Brancaccio

http://www.emilianob...euro/#more-3369
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#71 satyajit

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Inviato 18 luglio 2012 - 10:13

Dal blog di Bagnai, un eccellente intervento di Tony Thirlwall datato 1991, in cui dalle colonne del Financial Time l'economista in pratica sconsigliava alla Gran Breatagna di entrare nell'euro. Le note sono di Bagnai.


In un mondo con molte valute, i problemi di bilancia dei pagamenti di un paese sono essenzialmente problemi valutari, derivanti dal fatto che per uno specifico tasso di crescita e per un dato livello di disoccupazione il paese non ricava dalle sue esportazioni abbastanza valuta per pagare le importazioni, dato il tasso di cambio. In queste circostanze ci deve essere un continuo indebitamento estero, oppure qualcosa deve adattarsi: la crescita, l’occupazione, o il tasso di cambio[1]. In questo senso, da anni l’Inghilterra è afflitta da problemi di bilancia dei pagamenti.
Questo significa che se l’Inghilterra aderisse ad un’Unione Monetaria dotata di una singola valuta le sue difficoltà con la bilancia dei pagamenti svanirebbero da un giorno all’altro? Certo, non ci sarebbero più tassi di cambio da difendere, ma ci sarebbero sempre squilibri fra importazioni ed esportazioni che non sarebbero risolti né facilmente né spontaneamente da prestiti e investimenti privati, o da trasferimenti fiscali pubblici in un’unione di tipo federale.
Quelli che dicono che i problemi di bilancia dei pagamenti scomparirebbero ricorrono all’analogia fra le regioni di una nazione, che per definizione usano una singola valuta nazionale. Ora, noi non parliamo delle difficoltà di bilancia dei pagamenti sperimentate dalla Scozia, dal Galles e dal nord dell’Inghilterra, o di quelle della Sicilia e della Puglia. Ma ciò non significa che queste difficoltà non esistano[2]. L’insufficienza delle esportazioni regionali rispetto a un dato livello delle importazioni si tradurrà in rallentamento della crescita, disoccupazione elevata, e condizioni economiche generalmente depresse, a meno che i beni e servizi regionali non possano essere resi più competitivi tramite sussidi[3] o la regione non riceva afflussi di capitali sotto forma vuoi di prestiti privati, vuoi di trasferimenti fiscali pubblici.
Quindi, anche se è vero che il passaggio da un sistema a più valute ad una valuta unica elimina le manifestazioni esterne delle difficoltà di bilancia dei pagamenti, perché non c’è più un tasso di cambio da difendere e le riserve valutarie diventano irrilevanti, le manifestazioni interne del deficit di bilancia dei pagamenti rimangono.
Samuel Brittan ha recentemente sostenuto (Economic Viewpoint, 27 giugno) che “la possibilità di liberarsi una volta per tutte dai problemi di bilancia dei pagamenti è fra i vantaggi più grandi, ma meno enfatizzati, dell’Unione Economica e Monetaria”. Al fine di sminuire l’importanza delle bilancia dei pagamenti per il sano funzionamento dell’economia reale, Brittan allude al fatto che sarebbe assurdo trattare il commercio fra il Sussex e la Normandia in modo interamente diverso dal commercio fra il Sussex e lo Yorkshire, una volta che le tre regioni appartengano al medesimo mercato unico. Brittan riconosce tuttavia che qualche problema di bilancia dei pagamenti potrebbe ripresentarsi in termini regionali all’interno di una unione monetaria.
Simili questioni sono alla base del dibattito sulla sovranità che sta attualmente provocando tanto fervore all’interno della Comunità Europea[4].
Eppure, ci sono buone ragioni per trattare il commercio fra Sussex e Normandia in modo diverso da quello fra Sussex e Yorkshire. Primo, l’Inghilterra, in quanto stato nazionale, può avvertire verso i residenti del Sussex una responsabilità che non prova per quelli della Normandia. Secondo, può sentirsi capace e disposta ad affrontare le disparità fra Sussex e Yorkshire tramite il proprio sistema fiscale interno, secondo modalità che potrebbero non essere più assicurate se la vitalità economica del Sussex fosse compromessa dalla superiore competitività della Normandia all’interno di una unione monetaria.
In alcune circostanze quindi la manovra del tasso di cambio potrebbe diventare un’arma utile per difendere gli abitanti del Sussex.
La questione della bilancia dei pagamenti tuttavia è più profonda di quella del tasso di cambio. Il ruolo della bilancia dei pagamenti nella spiegazione dei differenziali fra i tassi di crescita nazionali è stato ignorato troppo a lungo dalla teoria economica ortodossa che, nel periodo pre-Keynesiano, sosteneva che la bilancia dei pagamenti, come qualsiasi altra parte del sistema economico, si sarebbe regolata da sola attraverso il sistema dei prezzi, e di conseguenza negli anni ’50 analizzava le performance di crescita dei singoli paesi dal lato dell’offerta, senza alcun riferimento alla domanda[5].
La rivoluzione keynesiana non fu di grande aiuto perché il modello di Keynes era statico e trattava principalmente il caso di economia chiusa. Il risalto dato allo squilibrio fra risparmio e investimento allontanò l’attenzione dallo squilibrio potenzialmente più grande fra esportazioni e importazioni, che nel mondo reale può dimostrarsi ben più difficile da rettificare. Una robusta performance delle esportazioni rispetto alla domanda di importazioni resta vitale per garantire la forza della domanda aggregata del sistema economico nel suo complesso, sia la moneta unica o meno.
Il passaggio a una valuta unica, del resto, comporterebbe una certa perdita di sovranità, ma una perdita ben più consistente venne sperimentata con l’adesione alla Comunità Europea nel 1971. La capacità di proteggere e incoraggiare le industrie strategiche è stata persa; la possibilità di progettare sistemi di commercio amministrato per livellare sbilanci nei pagamenti è stata persa; la capacità di proteggersi nei riguardi dei paesi che esibiscono surplus persistenti ci è stata tolta; l’adozione di regimi fiscali differenziati che discriminino in favore del settore dei beni commerciabili confligge col trattato di Roma.
La bilancia dei pagamenti inglese è cronicamente debole[6]. Per finanziare i deficit che sorgono quando il paese tenta di crescere a più dell’1% o 2% all’anno sono necessari alti tassi di interesse, che danneggiano ulteriormente l’economia reale.
Tre secoli or sono i mercantilisti riconobbero questo dilemma con grande chiarezza, e altrettanto fece Keynes nella sua difesa del mercantilismo dall’attacco dei liberoscambisti classici, che trattavano i mercantilisti da “imbecilli” (secondo Keynes)[7]. Come notò giustamente Keynes, il tasso di interesse richiesto per l’equilibrio esterno può non coincidere con quello richiesto per l’equilibrio interno. Questo problema non scompare in una zona dotata di moneta unica nella quale vi siano regioni (o paesi) depressi che concorrono per attrarre investimenti.
L’Inghilterra necessita di tutti gli strumenti monetari e fiscali ai quali possa far ricorso per interrompere un quarantennio di debolezza della bilancia dei pagamenti, crescita lenta, domanda depressa, e de-industrializzazione che conduce a ulteriori debolezze della bilancia dei pagamenti. Credere che la debole performance delle esportazioni, la penetrazione delle importazioni, il deterioramento della base industriale che porta a rallentamenti della crescita e a innalzamenti della disoccupazioni scomparirebbero con la moneta unica significa trasformare l’economia in una branca della teologia.



[1] N.d.T.: se la crescita diminuisce, diminuiscono le importazioni e la Bdp si riporta in equilibrio; se l’occupazione diminuisce, diminuisce il tasso di crescita dei salari (svalutazione “interna”), la competitività migliora e la Bdp si riporta in equilibrio (questo effetto è chiaramente compatibile con e collegato al primo); se il tasso di cambio si svaluta, si ripristina la competitività, aumentano le esportazioni, diminuiscono le importazioni, e la Bdp si riporta in equilibrio.

[2] N.d.T.: nel caso dell’Italia le abbiamo documentate qui, dando ampia evidenza del fatto che la politica monetaria, di qualsivoglia tipo, non ha potuto fare alcunché per risolverle. Restiamo in fiduciosa attesa di dimostrazioni del contrario dagli spaghetti-MMTers (fiduciosi che non arriveranno).

[3] N.d.T.: il ricorso ai sussidi, ovviamente, è reso necessario dal fatto che fra le regioni di un singolo Stato non sono concepibili aggiustamenti di cambio.

[4] N.d.T.: alzi la mano chi si ricorda di questo dibattito e di questo fervore in Italia, con un sentito ringraziamento ai nostri informatori di fiducia.

[5] N.d.T.: questi “ortodossi” sono quelli che noi chiamiamo “omodossi”, il riferimento colto è al modello di crescita di Solow, quello pratico agli spaghetti-liberisti secondo cui l’importante è produrre (e quindi, di converso, combattare la spesapubblicaimproduttivabrutto, che però, poi, guarda caso, è anche l’unica cosa che può tenere insieme i cocci di una unione monetaria fasulla, via trasferimenti...).

[6] N.d.T.: vi ricorda qualche altro paese europeo che inizia per “I” e finisce per la musa della commedia?

[7] N.d.T.: noi diremmo “personedalla limitata capacità di comprensione”.


http://goofynomics.b...cura-per-i.html
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#72 satyajit

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Inviato 28 settembre 2012 - 11:45

Bofinger: la fine dell'Euro sarebbe la rovina della Germania


Interessante disamina dei possibili problemi determinati da una valuta troppo forte, Interessante anche in relazione al caso italiano.
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