L'illusionista di Sylvain Chomet
#1
Inviato 02 novembre 2010 - 13:59
Consigliato, soggetto di Tati, ottima la resa visiva, bellissimi i particolari di contorno (la ricostruzione di Edimburgo è fiabesca), il tratto grafico è demodè, ma molto espressivo, a tratti nervoso e pieno di spigolature. Tutta la storia è costellata di piccole lievi gag, molte ruotano attorno al coniglio nevrotico dellâ??illusionista.
La ragazzina cresce a contatto con la città : se il primo regalo lo riceve dal mago spontaneamente, gli altri saranno determinati da esplicite richieste indotte dai bisogni nati a contatto con le vetrine, le persone e le occasioni offerte da Edimburgo. E il nostro illusionista, immerso in doppi lavori, non si arrende a svelare la vera natura della sua arte che è illusione allo stato puro, gioco di schermi, riflessi di possibilità , ma slegata dalla realtà . La perdita dellâ??innocenza della ragazza quindi avviene solamente quando questa maturerà completamente.
Molto belli i piccoli ruoli marginali del clown alcolizzato, del ventriloquo e degli acrobati. Dâ??altronde il pupazzo del ventriloquo, in vetrina da un trovarobe, si deprezza di settimana in settimana invenduto, senza più pubblico nè clienti.
#2 Guest_Noir_*
Inviato 02 novembre 2010 - 14:22
L'ho apprezzato di più di Les Triplettes de Belleville
#3
Inviato 02 novembre 2010 - 17:00
#4
Inviato 02 novembre 2010 - 18:34
#5
Inviato 02 novembre 2010 - 19:47
Dalla regia?http://tiratesulpian...ain-chomet.html, mi dicono questo....
Ad ogni modo, come al solito non trovo il download !
#6
Inviato 02 novembre 2010 - 20:04
#7
Inviato 22 novembre 2010 - 10:15
E' la trasposizione di un'idea di Jacques Tati, con i colori e i tratti di Sylvian Chomet, che già ci aveva abituati alle splendide immagini di Appuntamento a Belleville.
Una storia delicata, piena di humour gentile ed elegante, come appunto quello di Jacques Tati. Tempi umoristici dilatati, liquefatti, che cozzano contro le velocità da videogames a cui siamo purtroppo abituati tutti.
Un vecchio illusionista incontra una bambina, nasce un rapporto danzante, timido, i due si sfiorano appena, l'illusionista aiuta la ragazzina a diventare donna, e i passaggi sono scanditi dagli acquisti di scarpe. Infine, la perdita dell'innocenza, trascritta nella frase d'addio, sul biglietto: I maghi non esistono.
Il miglior omaggio a Tati che si potesse immaginare.
Continuano, si ostinano a presentare alcune pellicole come film per bambini e questo rattrista parecchio, dato che poi durano nelle sale si e no qualche giorno di programmazione.
Sconforto.
#8
Inviato 22 novembre 2010 - 10:31
Inoltre il film era già stato recensito: http://www.ondacinem...lusionista.html
E per questo il topic era stato spostato nella sezione "film recensiti"
#9
Inviato 02 dicembre 2010 - 22:58
I disegni sono bellissimi, ma durante 3/4 buoni del film si ha la sensazione di assistere a uno spettacolo tremendamente moscio, senza alcuna verve: come quello di un prestigiatore che ha perso la fiducia nelle proprie capacità di intrattenere al contrario del protagonista del film. Per fortuna c'è l'ultimo quarto a salvare il prodotto completo, con una bella dose di brividi. Il più riuscito dei personaggi (grazie anche alla sua tristissima evoluzione) mi è parso quello del ventriloquo.
6 pieno, ma per Chomet è un'occasione persa. Spero almeno che, dedicandosi a un progetto originale, darà il meglio la prossima volta
#10 Guest_Lollito93_*
Inviato 03 dicembre 2010 - 19:57
6,5
#11
Inviato 28 gennaio 2011 - 10:46
A seguito di sette interminabili anni di inattività , contrassegnati da progetti abortiti, sporadici cortometraggi in live-action e disastrose iniziative imprenditoriali culminate con lo smantellamento della sua Django Films, Sylvain Chomet si ripresenta sulla scena europea con l'attesissimo "L'Illusionista", piccolo gioiello dell'animazione tradizionale che riesce nell'invidiabile ossimoro di apparire un'opera umile e al contempo ambiziosissima: lo spunto proviene da una sceneggiatura, mai realizzata per una serie di controversie produttive, di Jacques Tati, celeberrima icona della comicità francese degli anni '50 e '60, e Chomet, già precedentemente accostato nel precedente "Appuntamento a Belleville" al geniale autore di "Playtime", rafforza ed esplicita definitivamente il legame stilistico ed estetico con l'assurdo e paradossale universo del creatore di Monsieur Hulot, che qui, già dal nome del protagonista, rivive in una effettiva versione animata: Tatischeff, modesto illusionista sul viale del tramonto, si aggira per la Francia ed il Regno Unito portando con sè ciò che resta della propria piccola, anacronistica arte in via d'estinzione, soppiantata dal rumore e dal cinismo di un'epoca sulla strada della globalizzazione e della modernizzazione.
La desolazione è onnipresente, generalizzata, e dall'inizio alla fine si percepisce il ritratto di un mondo prossimo alla scomparsa, in cui il beneficio della creatività , pur di sopravvivere, è destinato ad adeguarsi, a svendersi, se non a prostituirsi, e, aldilà del palese richiamo al presente, è impossibile non pensare al graduale soppiantamento del cartoon tradizionale da parte dell'animazione in 3D: Chomet, seppur lontano dalle esasperazioni grottesche e iperrealiste di "Appuntamento a Belleville", si promuove alfiere e ultimo difensore del disegno tradizionale e lo ribadisce con uno stile asciutto, acquerellato, che sostituisce alle deformazioni sardoniche del film precedente un disarmante realismo, tanto nello stile, quanto nelle situazioni, secondo, appunto, la maniera di Tati, che si proponeva di ricreare l'umorismo dalle situazioni quotidiane senza forzature di sceneggiatura (esilarante e dolceamaro al tempo stesso l'episodio dello stufato di coniglio, in cui il mago teme per la sorte del proprio peloso asistente).
Il risultato è un film straordinariamente malinconico e toccante, per quanto pervaso da un'ironia sottilissima e in levare, impressionante nella sua capacità di lasciar parlare le immagini e le situazioni (alla pari dei film di Tati, se non oltre, i personaggi si esprimono raramente e, perlopiù, solo bofonchiando indistintamente): e se la galleria di comprimari, i guitti che popolano l'albergo in cui Tatischeff risiede, è impagabile, è con il complesso, indecifrabile rapporto con Alice, la solitaria ragazza scozzese che si lega all'illusionista come una figlia, che il film tocca vette di lirismo di grande delicatezza (non a caso, Tati intendeva realizzare il film come tentativo di riconciliazione con la figlia che non aveva mai riconosciuto).
Come in "Belleville", il mondo cambia intorno ai protagonisti senza che loro possano fare niente per evitarlo, fuorchè resistere e arrangiarsi rimanendo fedeli a se stessi, sembra riconoscere autobiograficamente Chomet: inevitabile notare, a partire dall'ambientazione edimburghese (laddove, nel progetto di Tati, la storia si svolgeva a Praga) il doloroso fallimento della Django Films, in cui il regista aveva investito molte delle proprie forze e che è fallita al termine della produzione del film.
E in mezzo ai dialoghi borbottati, per la verità , questa volta, un po' pretestuosi e forzati rispetto all'opera prima, l'unica frase comprensibile, "i maghi non esistono", scritta dal protagonista in una lettera ad Alice prima di separarsi da lei, è la sola, commoventissima, serie di parole possibili per prendere atto di una società che (ci) sta cambiando e dimenticando.
(7.5/10)
#12
Inviato 14 aprile 2011 - 20:53
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