Nel suo cinema (in cui l'amore per i lavori di Ozu appare evidente) fonde la sensibilita' dei suoi primi documentari alla narrativa drammatica, imbevendola di un profondo umanesimo. La sua esplorazione di temi come i ricordi e il lutto avviene attraverso un'osservazione svuotata di sentimentalismi. Temi, questi, personalmente cari a Koreeda stesso, che immancabilmente trasporta su pellicola con intenzioni autobiografiche.
Il suo primo film, Maboroshi no hikari (o piu' semplicemente Maborosi) (1995)
mostra il modo in cui una giovane donna elabora un lutto inaspettato, andando avanti con la sua vita, continuamente in bilico tra ritrovata serenita' e tristezza verso il passato. Cio' che le impedisce di trovare pace risiede nel concetto semplicissimo che alla morte non e' possibile dare una spiegazione.
Lo stile registico e' asciutto e distante. La telecamera e' sempre ferma, non segue i personaggi, ma li guarda. Molte scene cominciano e finiscono in stanze vuote. Non ci e' dato spesso di comprendere cio' che la protagonista prova, lo possiamo solo intendere da come certi piccoli dettagli ci sono presentati, ma nonostante questo siamo costantemente carichi di un sentimento di forte empatia. Koreeda ha una delicata cura per ogni particolare, ed il suo approccio e' infuso di un affascinante senso di tradizione giapponese.
Nel 1998 e' la volta di Wandafuru raifu (Wonderful Life aka After life)
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film che da piu' parti e' considerato il suo capolavoro. Quando la gente muore, le loro anime trascorreranno una settimana in un luogo di transizione - letteralmente un enorme edificio semi dismesso - dove verra' loro affidato un compito: devono decidere quel'e' il ricordo piu' bello della loro vita. Lo staff (defunti anche loro) segue i nuovi arrivati, guidandoli, ascoltandoli (a proposito: la naturalezza con cui i protagonisti raccontano la proprio vita ha dell'incredibile. Non sembrano attori, ma gente genuina reclutata affinche' raccontino le loro memorie), e prendendo nota, perche' quando le decisioni saranno prese, sara' loro responsabilita' ricreare i ricordi su un set cinematografico e filmarli. A fine settimana alle anime verranno mostrati i prodotti finiti nella sala proiezione, e cio' conferira' loro la possibilita' di muoversi al prossimo stadio, dove vivranno per l'eternita' assieme a quel ricordo, dimenticandosi di tutto il resto.
Questo credo sia il film che piu' eloquentemente incarna la filosofia di Koreeda: il cinema ha un'impareggiabile abilita' di rappresentare la vita e i ricordi. E' una dichiarazione d'amore al Cinema, un mezzo che l'ha aiutato a superare traumi personali.
Forse il suo film piu' famoso e' Dare mo shiranai (Nessuno lo sa) (2004), di cui avevo gia' parlato qui:
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Daremo shiranai (Nessuno Sa) [Hirokazu Koreeda, 2004]
Una donna si trasferisce coi suoi 4 figlioletti in un nuovo appartamento, dove i bambini piccoli non sono pero' benvenuti, e quindi solo ad Akira, di 12 anni (in locandina), e' permesso uscire di casa. Gli altri non possono nemmeno andare sul balcone, o fare rumore. Sono quindi costretti in casa, non vanno a scuola, non conoscono il mondo. la madre e' quasi sempre assente, fino a quando addirittura non tornera' mai piu', senza un motivo ben chiaro. L'intera famiglia, nonche' l'intero film, si basa su Akira, intelligentissimo ragazzino, a cui tocca anche divenire adulto in fretta. Il film dura 2 ore e 20, di cui si e no 5 minuti contengono persone adulte. E' una spirale di discesa costante nell'oblio. Corrente e gas verranno staccati, i soldi che la madre aveva loro lasciato finiranno, ed infine anche la speranza che lei torni si dissolvera'. E quando questo succede i bambini non avranno altra scelta che confrontarsi col mondo esterno, e tutti i fragili equilibri che Akira era inizialmente riuscito a creare per tutti loro, crolleranno.
E' una storia molto cruda che mi ha distrutto. E' girato con stile quasi documentaristico, i bambini sono sempre il centro di tutto, non sfugge nulla del degrado che li devastera', e sara' senza pieta'. I silenzi sono pesanti come mattoni, ed ancora di piu' i loro sguardi vuoti, testimoni soltanto della loro innocenza ed inconsapevolezza. Tu, spettatore, vorresti quasi avere la possibilita' di chiamarli, avvisarli, proteggerli.
La madre all'inizio sembra avere un buon rapporto coi bambini, per questo non sono riuscito a capacitarmi di come possa averli abbandonati cosi', e anche dopo la fine del film mi e' rimasto dentro un forte sentimento di rabbia, ed una profonda tristezza, in quanto consapevole che certe storie succedono veramente. Nessun altro film che ho visto tratta cosi' in primo piano l'abbandono.
Aruitemo aruitemo (Still Walking) (2008)
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e' forse il suo film che preferisco. Ogni anno una famiglia si riunisce per commemorare la morte del figlio primogenito (Junpei), affogato 12 anni prima mentre salvava la vita ad un bambino. Non e' un evento piacevole per il figlio minore (Ryo), dato che non ha mai avuto un buon rapporto col padre, il quale apertamente ammette "e' morto il figlio sbagliato". Ryo si reca alla riunione assieme alla novella sposa, una donna vedova con bambino: altro particolare che ai genitori non va giu'. C'e anche la sorella di Ryo con suo marito: loro sembrano invece godere di tutte le simpatie dei genitori. Il dramma familiare di Ozu-iana memoria e' piu' che mai presente qui, anche stilisticamente nella sua eleganza, nelle pause per spezzare il ritmo, nelle inquadrature a livello tatami che ci fanno sentire li' seduti con loro. E' un perfetto documento che attesta la difficolta' di relazionarsi tra due generazioni diverse, che rimangono estranee pur essendo state una la parte integrante dell'altra. E' la realizzazione che - cosa che noto soprattutto nella cultura gapponese - le ferite piu' dolorose rimangono inespresse, avvolte da un silenzio alienante. La tensione durante il film si accumula impercettibilmente, fino ad un finale cosi' potente nella sua semplicita, delicatezza e sottigliezza, che ha provocato un sonoro pianto di liberazione nel sottoscritto. Roba che non mi succedeva da non so neanche io quanti anni.
Questi sono i 4 film di Koreeda che ho visto finora, 3 dei quali nelle ultime 3 settimane. Cio' mi e' bastato per farmi ritenere Koreeda uno dei massimi cineasti contemporanei, ed uno dei miei preferiti di sempre, data la sua profonda comprensione dei temi della vita, la delicatezza con cui li racconta, lâ??amore per le immagini, per la costruzione scenica, per la tradizione ed i suoi valori.
Conto di recuperare presto anche altri due film: Distance (2001 - la storia di un gruppo di persone i cui parenti erano membri di un culto religioso che ha poi commesso suicidio di massa) e Hana (2006 - l'unico period-piece di Koreeda, che segue le gesta di un samurai).
Sono a dir poco estasiato dalla scoperta di questo regista, che in cosi' poco ha cambiato il mio modo di percepire il cinema, e non posso fare altro che consigliarlo con tutto il mio cuore.