Una serie di ricongiungimenti di Salvador Mallo, maturo regista cinematografico. Alcuni sono fisici, altri ricordati: la sua infanzia negli anni 60 quando emigrò con i suoi genitori a Paterna, un comune situato nella provincia di Valencia, in cerca di fortuna; il primo desiderio; il suo primo amore da adulto nella Madrid degli anni 80; il dolore della rottura di questo amore quando era ancora vivo e palpitante; la scrittura come unica terapia per dimenticare l’indimenticabile; la precoce scoperta del cinema ed il senso del vuoto, un nuovo film da realizzare.
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Era da molto tempo che non andavo al cinema, e per l'occasione sono andato alla "prima" (in una sala di città) del suddetto film.
Almodóvar non è esattamente tra i miei preferiti, ma ne ho visto svariati suoi, sino a metà anni Zero, e l'ho sempre apprezzato. Quest'ultimo suo sforzo mi è piaciuto proprio, e soprattutto mi è piaciuto in ogni sua parte.
Dalla trama, in cui il gusto per il melodramma con tocchi di grottesco per non dire umoristico si stempera in una diffusa malinconia, alle strepitose fotografia e scenografia, concentrate perlopiù su interni, i cui colori passano dal bianco accecante e povero a tonalità calde e sature, con forte predominanza delle tinte rosse, compresi gli abiti di scena dagli accostamenti magnifici e quasi barocchi. Per non parlare delle prove attoriali, a cominciare da un Banderas eccellente, quasi non lui, invecchiato, misurato nella resa di un profondo dolore sia fisico che sentimentale, alle prese con il fare i conti con il proprio passato.
C'è tutto ciò che amo del regista, che si può riassumere in due punti fondamentali, che danno la misura del suo talento.
Il primo è la sua cultura di provenienza, quella Spagna che da buon paese del sud mescola lacrime e risate, e le tragedie sono sempre viste con una sorta di allegra accettazione, grazie a rapporti di amicizia e fratellanza forti e saldi; come dire che è sempre vita, e quello che ti offre nel bene e nel male lo devi prendere in blocco, senza buttarti giù più di tanto. Anche se qui non si ride molto, la storia è direi fluida, pur negli incastri temporali tra ciò che è il ricordo e quello che sta vivendo, sino al
Il secondo punto è la sua visione dell'omosessualità. Una delle cose che ho sempre ammirato del regista è il modo aperto e normale con cui mette in scena l'amore gay. Nelle sue storie, compreso il super melò La legge del desiderio, che a rileggere la trama e la presenza del Banderas ha un bel po' in comune con questo Dolor Y Gloria, l'amore gay non è tale, è amore, con tutto quello che ne consegue, dal rapporto fisico alle cattiverie alla passione e le lacrime, in tutto e per tutto indistinguibile, come è ovvio e naturale, dalle canoniche storie donna uomo. Nei film di Almodóvar non c'è spazio per titubanze o paure o cammuffamenti per colpa di un società perbenista e dei suoi ipocriti rappresentanti. I protagonisti, e le loro formidabili alleate donne, vivono, amano, si odiano e fanno la pace senza soluzione di genere e continuità, dando una grande lezione di, mi ripeto, normalità che è il messaggio più forte e positivo che si può fare in questi tempi ancora bui.
Estremamente consigliato.