Sono scomparsi qui dentro i fan di PJ Harvey? In ogni caso, riporto anche qui per dovere di cronaca.
Distesa nelle acque, capelli corvini, occhi chiusi, labbra scarlatte come il luccicante abito che indossa. Down by the water. Forse quella del fiume dove si è compiuto il terribile infanticidio del brano omonimo, forse quella del lavacro battesimale in cui – lungo l’intero album - cerca di mondarsi di tutti i suoi peccati. Appare così, Polly Jean Harvey, nella copertina di “To Bring You My Love”. Come una moderna Ophelia di Millais, o, forse, come la reincarnazione di qualche ninfa incantatrice.
La punkette acerba e selvatica di “Dry” e “Rid Of Me” si è trasformata in una femme fatale sofisticata, posseduta da un nuovo demone: quello di un blues atipico, dagli accenti biblici e gotici. Scelta non certo casuale, visto che il blues incarna per antonomasia l’idea del dolore, della continua tensione tra colpa ed espiazione. Un blues di marca totalmente femminile, però, costruito lungo quella linea rossa-sangue che unisce idealmente Billie Holiday e Janis Joplin. Ecco allora le metafore sulla gravidanza, gli esorcismi sessuali, le allusioni più o meno esplicite a figure-archetipo come Eva (il serpente di “Long Snake Moan”), Medea (la madre assassina di “Down By The River”) o Ecate (la divinità dell’oltretomba invocata in “Teclo”).
Vittima e carnefice al tempo stesso, PJ compie così la sua definitiva metamorfosi, recidendo i legami con l’adolescenza turbolenta e immergendosi in un più profondo, e non meno doloroso, percorso catartico, dritto verso l’età adulta. Paradossale per un’artista che all’epoca si definiva lost, “persa”. (...)
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