io spoilerizzo un po'...
Ho apprezzato tantissimo l’asciuttezza del film e il suo rifuggire la facile commozione. Dato il tema e il velo quasi plumbeo, al netto dell’ironia e del comico sparsi un po’ ovunque, che avvolge il film poteva essere una pellicola che giocava tutto sulla emotività immediata, e invece no.
Film politico, pochi discorsi, con una manciata di personaggi e un unico micro tema, Moretti è capace di poter offrire una identificazione a molti, per genere, ruolo, età, fascia sociale. Ed è un mondo in crisi, sono tutti in crisi, non solo il contesto macro con l’economia a rotoli e il sistema piccola/media impresa che sparisce, ma anche il movimento operaio non c’è più, ma lo siamo tutti, non è solo Moretti/Margherita che non capisce più il mondo, che non sa leggere più la realtà, ma nessuno sa più leggere la realtà, quella sociale e quella intima e privata (Margherita non vede la crisi della figlia). Una immane stanchezza si aggira per il film: la madre, che è la grande pietra angolare di questa storia, è stanca (per ovvi motivi), ma lo è la regista della sua storia amorosa, del film, del suo attore, della sua vita; lo è Giovanni, stanco, a fronte della scelta dell’inattivismo lavorativo (potendoselo permettere) è stanco di lavoro in un mondo in cui il lavoro è sempre meno; è stanca Livia di una scuola che non capisce; è stanco Barry all’interno di una realtà finzione in cui davvero non si sa mai cosa sia vero.
E allora il gioco di immaginazione di Margherita, attanagliata dalla paura della perdita della madre e dalla propria crisi individuale, per cui passato/presente/futuro si mescolano, si lega indissolubilmente con lo specchio falsificatore e moltiplicatore che è il cinema, regalandoci tutte quelle bellissime gag in cui Turturro giganteggia.
Film politico perché in questo momento di crisi così ben rappresentato Moretti cerca la logica, chiede e auspica logica, rifugge l’ovvio, la banalità (non fermarsi al primo significato di un verbo sul vocabolario) e recuperando questi principi passatisti forse, non per nulla legati al latino, ci dice chiaramente “pensa a domani” ed è una battuta messa in bocca ad una donna che muore e che sul crinale della morte dice, appunto, “penso al domani”. Perché dal passato e dalla storia se ne deve trarre uno strumento, la logica, per pensare a domani e non un catino di meri ricordi, cosa che continua a fare Margherita e che fanno, ahiloro, gli amici in visita dalla madre, che nostalgicamente cullano e rassicurano. Ma cerchiamo di scardinare uno schema, cominciando dai propri.
La scena della madre che “scappa” dall’ospedale mi ha ricordato il Papa che scappa dal Vaticano; molto bella la parte dell’allagamento della casa che costringe Margherita a tornare nella casa della mamma, dove poi tornerà anche Giovanni, sia per come è irrealmente reso il passaggio fra sogno e realtà, sia perché mi dice un ritorno all’utero attraverso il liquido amniotico; ed è una scena che narra dell’impotenza di questa donna nel governare con mezzi impropri eventi enormi. Splendida l’idea dell’imperterrita negazione della imminente morte della madre da parte di Margherita, molto vera, ci si sente orfani e soli e terrorizzati a qualsiasi età senza genitori.
Dal mio punto di vista film difficile, non nazionalpopolare a dispetto del fatto che in un paese mammone si parli di mamma; gli attori mi son sembrati tutti bravissimi, bella la Buy invecchiata.