Proprio la scorsa settimana il prode intellettuale sloveno ha rilasciato un'intervista su La Stampa nella quale parlava del suo nuovo libro, intitolato L'Islam e la modernità. Tale opera toccherebbe, tralaltro, dedicato il rapporto instauratosi tra l'emersione islamista e il liberismo mondiale. Qualche stralcio dell'intervista
«Ormai è diventato quasi un luogo comune far notare che l’ascesa dell’Isis è l’ultimo capitolo della lunga storia del risveglio anticoloniale (di fatto si stanno ridisegnando i confini arbitrari tracciati all’indomani della Prima guerra mondiale dalle grandi potenze), e al tempo stesso è un capitolo della lotta contro il modo col quale il capitalismo globale intacca il potere degli Stati nazione. A incutere paura e costernazione, tuttavia, è un’altra caratteristica del regime dell’Isis: le autorità dell’Isis dichiarano ufficialmente che compito principale del potere dello Stato non è occuparsi del welfare della popolazione (sanità, lotta alla fame). Ciò che più conta è la vita religiosa, che l’intera vita pubblica obbedisca alle leggi religiose. È per questo che l’Isis resta più o meno indifferente nei confronti di qualsiasi catastrofe umanitaria: il suo motto è “occupiamoci della religione, e il welfare verrà da sé”. È qui che è quanto mai evidente il grande divario tra il concetto di potere esercitato dall’Isis e quello esercitato dall’Occidente. Il secondo è il concetto di “bio-potere”, che regola la vita, mentre il califfato dell’Isis respinge integralmente questo concetto».
«È proprio questo il mio punto: non riusciremo a sconfiggerlo se restiamo nell’ambito delle coordinate liberal-democratiche. Soltanto una nuova sinistra radicale potrà riuscirci. Teniamo bene a mente la vecchia intuizione di Walter Benjamin quando disse che “ogni ascesa del fascismo è un fallimento della sinistra ma al tempo stesso reca testimonianza di una rivoluzione fallita”: è la dimostrazione che c’era un potenziale rivoluzionario da sfruttare, c’era un’insoddisfazione che la sinistra non è stata capace di mobilitare. Perché questo stesso principio non dovrebbe valere per il cosiddetto “islamo-fascismo” odierno? L’ascesa dell’islamismo radicale non è forse correlata con grande precisione alla scomparsa della sinistra laica nei Paesi musulmani? Nella primavera del 2009, quando i talebani conquistarono la valle dello Swat in Pakistan, il “New York Times” riferì che essi avevano architettato e attuato una “rivolta di classe che sfruttava le profonde crepe che si erano venute a creare tra un gruppetto di facoltosi possidenti terrieri e i loro vassalli senza terra”. Tuttavia, se “sfruttando” la piaga dei contadini i talebani stanno “facendo suonare l’allarme e richiamando l’attenzione sui rischi di un pericolo analogo in Pakistan, che continua a essere ancora oggi in buona parte feudale, che cosa impedisce ai democratici liberali pachistani come pure statunitensi di “sfruttare” nello stesso modo questa preoccupazione, cercando di aiutare gli agricoltori senza terra? La triste implicazione di tutto ciò è che in Pakistan le forze feudali sono “alleate naturali” della democrazia liberale…».
«Il paradosso è che da solo il liberalismo non è abbastanza forte per salvarli dalla mannaia dei fondamentalisti. Il fondamentalismo è una reazione – una reazione fasulla e mistificatrice, naturalmente – alla pecca reale del liberalismo, ed è per questo che continua a nascere da quello. Lasciato a sé, il liberalismo si farebbe del male, danneggerebbe soltanto sé stesso. L’unica cosa in grado di salvare i valori più importanti è una sinistra rinnovata. Affinché questo importante patrimonio di valori possa sopravvivere, il liberalismo necessita anche dell’aiuto fraterno della sinistra radicale. Questo è l’unico modo per sconfiggere il fondamentalismo: togliergli il terreno da sotto i piedi. Reagire alla carneficina di Parigi significa abbandonare una volta per tutte l’accondiscendente autocompiacimento dei liberali permissivi e ammettere che il conflitto tra la permissività liberale e il fondamentalismo è in definitiva un falso conflitto, ovvero un circolo vizioso tra due poli che si generano reciprocamente e implicano a vicenda l’altro come scontato. Ciò che Max Horkheimer disse del fascismo e del capitalismo già negli anni Trenta (“Coloro che non intendono parlare del capitalismo criticamente dovrebbero astenersi dal parlare anche di fascismo”) dovrebbe valere anche per il fondamentalismo: “Coloro che non intendono parlare di democrazia liberale criticamente dovrebbero astenersi dal parlare anche di fondamentalismo religioso”».