The Coral
Piccolo grande gruppo di stregoncini lisergici.
Rimediamo alla grave mancanza che non esistesse già un topic a loro dedicato. Devo pur confessare che anch'io li avevo persi di vista da un po' di anni, all'altezza del quarto album. E non per disinteresse o noia, ma perché... boh: capita. Finché qualche giorno fa mi è caduto casualmente l'occhio, anzi l'orecchio su una loro uscita fresca fresca di vecchio materiale, per altro pubblicata il giorno stesso del mio svoltoso genetliaco quarantennale. Un disco bello bello, ancorché con un'atmosfera molto diversa dai primi adorabili dischetti. Tanto è bastato per recuperare quei due dischi che avevo saltato e per riascoltarmi gli altri.
2002 The Coral
Bombetta atomica d'esordio. Gioiello di revival psichedelico, radioattivo e pazzerello. Filotto di canzoni divertentissime e fulminati, dove già si fa notare la stringatezza della band e risalta il singolone Dreaming of you. Parecchio stralunato, unico ed efficacissimo l'utilizzo in quasi ogni canzone di accenni melodici ispirati alla tradizione russa, una specie di rock del Dottor Stranamore, quasi un'ipotesi di ucronia storica, come se il folk rock anni 60 avesse sognato e trasfigurato in chiave psichedelica steppe e cosacchi almeno quanto fatto con praterie e cowboy cosmici.
2003 Magic and Medicine
Dimostrano subito di non essere un fuoco fatuo con un altro carosello di canzoni piene di piccole magie, un album che sta al precedente The Coral come Strange Days sta a The Doors: formula sostanzialmente invariata, canzoni meno dirompenti e più sinuose, un clima più posato, ma per tutto il disco spira un'arietta avvolgente e indistinta per certi versi anche più affascinate e allusiva. Espugna il numero 1 delle classifiche inglesi un disco che cita (tipo) Donovan e in cui il tempo sembra essersi fermato al 1966. Grandi.
2004 Nightfreak and the Sons of Becker
Mini album in tiratura limitata che il gruppo non mette in conto tra le uscite maggiori. In realtà con le sue undici canzoni e la sua mezz'ora scarsa di durata non è tanto più breve degli altri album "normali" e ne ha la stessa densità. Per me è persino una delle loro cose più irresistibili, in cui la laconicità della band giunge a pieno compimento. Undici pillole di minimalismo psichedelico e surrealismo pop, undici porticine aperte su altri mondi e altre epoche per due, massimo tre minuti.
2005 The Invisible Invasion
Quel che si dice un disco di passaggio, ma senza la connotazione negativa che in genere si da alla definizione. La copertina per una volta non finto-vintage mente sullo stile, che resta retrò, ma indica bene un cambiamento di atmosfere, che si fanno meno "rock nel paese delle meraviglie", ma più noir e pensose. Le canzone si allungano un po', ma continuano ad essere dei maestri nella capacità di creare atmosfere sospese e inquiete nel giro di pochi minuti. Meno circo, più racconto.
2006 (pubblicato nel 2014) The Curse of Love
Appunto una vecchia raccolta di nastri registrati tra il 2005 e 2006 (quando infatti saltarono l'allora puntuale uscita annuale) per un album comunque molto compatto, uguale e diverso dagli altri. Uguale perché il piccolo mondo antico dei Coral è (era?) sempre quello, diverso perché esplode(va) quell'atmosfera malinconica e crepuscolare solo latente negli altri album. Atmosfere delicate e impeccabili uscite da uno scrigno di autunnalità inglese. Consueta encomiabilmente stringatezza: nove brani, due strumentali e una reprise. Dalla serie triste è bello: gran bel ritorno recupero.
2007 Roots and Echoes
Se vogliamo il disco che segna la definitiva normalizzazione del sound e di un certo generale incupimento dell'umore. Canzoni piane e orizzontali, prive di quei trabocchetti sonori ed effetti surreali che finora avevano caratterizzato il sound del gruppo. Un disco come da copertina, in bianco e nero, dalle atmosfere notturne e romantiche, un'infornata di pregiatissimo artigianato rock, che non viene considerata un classico solo perché da qualche parte c'è scritto 2007 invece che 1969: quisquillie per gente senza fantasia.
2010 Butterfly House
Classe e stile sono sempre gli stessi, ma stavolta l'ingranaggio non gira al meglio. Fossero opera di esordienti tanto di cappello per le perle musicali comunque presenti in gran quatità. Ma al cospetto di nobili alchimisti psichedelici come loro è giusto denunciare un po' di stanchezza, qualche trucchetto calligrafico di troppo e persino un po' di stucchevolezza in certi insistiti coretti byrds / beachboys / beatles /-iani finora meglio utilizzati.
Ad oggi l'ultimo loro vero album.
Editando di tando in tando...
2016 Distance Inbetween
Per il loro (stavolta vero) ritorno si ripresentano incupiti e piu' morrisoniani che mai, finendo per assomigliare non poco ai loro cug(g)ini di campagna texani Black Angels. Come suggerito dalla copertina un album strutturato un po' stile yin e yang. Un primo blocco di cinque canzoni piuttosto cupe, e un secondo blocco di canzoni, se non proprio solari, meno oscure e claustrofobiche. Il versante "nero", cosmico e aereo, è il migliore, con almeno tre perle (Connector, Chasing The Tail Of A Dream, Beyond The Sun) che vanno a posizionarsi alte nel canzoniere coraliano, ma il livello generale e' alto come sempre.
2018 Move Through The Dawn
Continuando a giocare il loro gioco di ruolo retromaniaco, fin dalla copertina realizzano scientemente l'album della "decadenza", da immaginari reduci dei loro immaginari anni 60 ora sperduti e un po' indecisi in piu' terreni, ballabili e un po' tamarri anni 70. “Abbiamo provato a tradurre in arte la tipica impressione di decadenza delle band che vanno in merda”, testuali parole. Quindi canzoni da una stanza dell'Hotel California o dalla cabina di un qualche yacht da rock star precocemente invecchiata. Il loro album piu' poppettoso e diretto, ma sempre con materiale di primordine. Decadenza "fake" in tutti i sensi.
2020 Live At Skeleton Coast
2020 Lockdown Session
Due uscite live in piena pandemia covid. Live At Skeleton Coast e' un bel live tradizionale, la cui natura festaiola e collettiva e' stata il vero elemento psichedelico in pieno lockdown. Piu' in sintonia coi tempi fin dal titolo il solitario (solo la voce e la chitarra di James Skelly) Lockdown Sessions, riproposizione nuda e inevitabilmente malinconica dei loro classici, in cui risalta la semplice e micidiale arte della band e che signor cantante sia Skelly.
2021 Coral Island
Come in un capolavoro di Bradbury, si parte dalle luci e dai colori e pian piano si scivola in un'atmsfera sempre piu' spettrale e stregata. Ma anche prima di arrivare al clima fantasmatico e pensieroso della seconda parte, si avverte qualcosa di doloramente autunnale anche nei pezzi piu' allegri e estivi. L'estate esiste solo come ricordo in autunno. Chissa' da dove, hanno fatto rispuntare fuori anche le suggestioni russe e balcaniche che avevano caratterizzato soprattutto il disco d'esordio, e come allora riescono a dare un'atmosfera "spostata", piu' fosca e fatale, rispetto alla semplice rievocazione 60s. Il probabile capolavoro del loro autunno.
Spin-off e carriere soliste
Bill Ryder-Jones
2013 A Bad Wind Blows in My Heart
Il primo e finora unico a mollare convintamente il gruppo e' il chitarrista Bill Ryder-Jones, l'unico ad allontanarsi dal psichedelico sole al centro del sistema solare del gruppo e a darsi a un'attitudine indie piu' up-to-date. Per me il suo disco bellone e' il secondo, A Bad Wind Blows in My Heart, parecchio influenzato dal fantasma di Elliott Smith, riletto in chiave molto inglese, con le atmosfere da brughiera stinta e i ricami onirici delle chitarre. Disco lento e mormorante con ogni canzone splendidamente ricamata. Ha il curioso andamento di iniziare malinconico e dimesso per chiudersi con le canzoni più allegre (o meglio meno tristi), quando in genere gli album musicali scelgono lo sviluppo opposto.
Ian Skelly
2012 Cut From A Star
Il capolavoretto solista se lo aggiudica il batterista fratello del cantante, quello che del resto anche nell'incarnazione dei Serpent Power resta piu' fedele allo stile dei Coral, forse in una variante un pelo piu' baroque e romanticheggiante di quella del gruppo. Quindi dieci pillole musicali per passeggiate mano nella mano con ragazze con occhi da caleidoscopio, voletti in cieli di carta, con uccelli di fuoco, diamanti di Lucy e tappetti volanti della 5th dimensione.
James Skelly & The Intenders
2013 Love Undercover
Primo e finora unico disco solista del cantante, lontano dalle sonorità del gruppo, con un deciso spostamento su sonorità bluesy e soul. Dalle nebbioline colorate tutte 60s del gruppo si passa infatti alla polvere e il sudore dei 70s americani, ma la manina fatata per ganci melodici di irresistibile irresistibilità è evidentemente la stessa. Vanno in scena quei 70 che sognavano gli happy days perduti dei 50, quindi con ombre dell'Innominabile, di Tom Petty e di Willy DeVille, ma si trovano tracce di un po' tutta la più alta scuola "on the road" dell'epoca dei pantaloni zampa. Nonostante l'urenda copertina, un album molto cool.
Serpent Power [Ian Skelly + Paul Molloy]
2015 Serpent Power
2017 Electric Looneyland
Side-band del prolifico batterista col nuovo chitarrista della band. Entrambi gli album sono due tesoretti che forniscono un adorabile psico-rock da ascoltare in casa della famiglia Addams per i party di halloween, con un sacco di riferimenti all'horror e all'immaginario macabro-gentile. Per entrambi i titoli i virtuali "lati A" sono un tripudio di delizie e suggestioni, mentre i sempre virtuali "lati B" calano un po', ma e' un calo da mettere in relazione all'eccellenza delle partenze, colore e divertimento non scendono di una tacca.
Nick Power
2017 Caravan
Da non credere, ci si mette pure il tastierista e pure lui sforna un gioiellino. Un disco al lume di candela, mezz'ora di puro incanto, languore e malinconia neo-hippie. Canzoni alle spezie secondo l'antica ricetta al "prezzemolo, salvia, rosmarino e timo" di Simon & Garfunkel, una magia che in questi tempi cinici fa tanto sorridere, ma che pochissimi hanno saputo rievocare. Bizzarro il recupero "I Talk To The Trees", canzone cantata da Clint Eastwood(!) in "La ballata della citta' senza nome".
Ian Skelly
2020 Drifters Skyline
Dalla perfezione psycho di "Cut From A Star" alla perfezione estiva di questo. Canzoni da spiaggia e amaca, senza svenevolezze sunshine, ma anzi con un tiro da fratelli De Angelis piu' cool, che si alternano a canzoni da piscina solitaria piu' introverse e soundsilenziose, con un paio di salutari scosse elettriche.
Paul Molloy
2020 The Fifth Dandelion
Disco gemello del precedente: due dischi-giocattolo, gemelli siamesi spensierati, per ventilare l'estate di gran lunga meno spensierata. Il compare dei Serpent Power tira fuori un album piu' caleidoscopico e barocco, con allo stesso tempo qualche canzone ancora piu' ob-la-di ob-la-da di quelle di Skelly, ma anche con momenti piu' psichedelici e introversi.