dopo il suicidio artistico degli anni 2000 avevo ormai abbandonato kitano ritenendolo definitivamente bollito. il suo ritorno allo yakuza eiga mi aveva fatto rinascere una flebile speranza, ma ero passato oltre. poi outrage a sorpresa è diventato una trilogia e la curiosità ha vinto. ho fatto bene perché si tratta di un felice ritorno alle origini per beat takeshi
OUTRAGE (2010)
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lo stile di kitano non cambia: lento, gelido, ellittico. così come non cambia la sua visione del mondo: misantropa, fatalista, nichilista. ma questo è decisamente il suo film più
scritto, più narrativo ed accessibile. sembra una tragedia da teatro elisabettiano per il suo mix di amoralità e crudeltà ineluttabile: una storia di intrighi, coltellate alle spalle, tradimenti, corruzione. kitano mostra il vero volto della yakuza dietro la facciata esteriore che finge di mantenere tradizioni e valori come il rispetto della gerarchia e i rituali arcaici (come il fantomatico taglio del mignolo): un mondo spietato in cui ci si ammazza tra fratelli, abitato da ferocissimi gangster che fanno sembrare al confronto i criminali dei film hollywoodiani delle babysitter. aspettatevi la tipica brutale violenza di un film di kitano. grande film, il suo migliore dai tempi di brother
OUTRAGE BEYOND (2012)
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con outrage beyond la normalizzazione del cinema di kitano è completa. sembrano ormai distanti anni luce i tempi del suo particolare stile cinematografico idiosincratico. film parlatissimo per un regista che sosteneva di non saper scrivere i dialoghi e per questo prediligeva lunghi silenzi, parecchio uso di movimenti di macchina per uno abituato alla camera fissa e montaggio regolare in risposta allo stile ellittico e frammentato che lo ha reso famoso. non per forza di cose però un film più convenzionale nella forma debba essere automaticamente meno di valore o riuscito di un film personale ed artistico. il problema di outrage beyond rispetto al film precedente è la mancanza di mordente e di ritmo. kitano si ammorbidisce come si ammorbidisce il suo personaggio, il gangster otomo, che esce di prigione stanco e pentito come gli antieroi del noir, ma con anche una ritrovata umanità e istanza valoriale. otomo diventa insomma il protagonista “positivo” mentre nel primo outrage era impossibile per lo spettatore entrare in empatia con qualcuno e si veniva gettati in un gioco al massacro spietato. in giappone comunque è stato un successo persino maggiore del precedente
OUTRAGE CODA (2017)
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macchinazioni machiavelliche, tradimenti, giochi di potere: sono gli ingredienti di questa trilogia e anche outrage coda ripete il medesimo meccanismo. ma in questo schema “politico” c’è una variabile impazzita: è otomo, che a differenza degli altri yakuza non è mosso dalla sete di potere e di soldi, ed è in tutto e per tutto assimilabile agli altri antieroi kitaniani nei quali alla fine prevale il nichilismo esistenziale. outrage coda, come il precedente secondo capitolo, non è un grande film, non è neppure un film essenziale – anche se sicuramente superiore al fiacco e convenzionale beyond – ma come elegante canto del cigno dell’antiepica kitaniana è indubbiamente un film affascinante, rispetto agli altri due episodi più venato di sfumature noir malinconiche ed esistenziali come i suoi classici degli anni 90