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E' morto Emilio Vedova (1919-2006)


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#1 kingink

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Inviato 27 ottobre 2006 - 16:44

Ho appreso soltanto oggi che martedì si è spento all'età di 87 anni uno dei pittori italiani più importanti del secondo dopoguerra: Emilio Vedova.
Nato a Venezia nel 1919, la sua prima formazione è da atttribuirsi alla corrente tardo espressionista operamdo a stretto contatto con il gruppo corrente.
E' dal secondo dopoguerra che Vedova partecipa al gruppo degli otto  (Afro, Birolli, Corpora, Santomaso, Morlotti, Vedova, Moreni, Turcato) e con questi pittori sviluppa una nuova tendenza rivoluzionaria di fare arte cha darà il la al moviemto informale. Partito da una pittura neocubista, chiari i riferimenti pollockiani,
giocata su un uso materico-gestuale-geometrico di forme bianche e nere, Vedova perverrà ad esiti di grande personalità e originalità. Insomma creerà una pittura assolutamente autonoma e subito riconoscibile come stile.
Storica è inoltre la collaborazione con il musicista Luigi Nono per l'allestimento delle scene dell'opera Intolleranza 60.

Addio a Emilio Vedova, profeta dell'astratto
La sua scomparsa segue di poco più di un mese quella della moglie, Annabianca, avvenuta il 21 settembre scorso 


«Mezzo soldato di ventura e mezzo trappista: il tutto avvolto in una grande barba nera. Una barba fluente e quadrata che gli arrivava al petto come quella dei falegnami, apostoli della Settimana santa in Val Gardena», scriveva, nel '62, Raffaele Carrieri di Emilio Vedova. Circa 45 anni dopo, l'artista, nato a Venezia nel 1919, era esattamente come allora. L'unica differenza era, forse, data dalle rughe e dal bianco della barba che lo faceva avvicinare più ad un profeta, mentre si aggirava fra i suoi Dischi enormi, dipinti in entrambe le facce con sciabolate di nero, di rosso e di bianco, e fra gli Angeli (con i quali aveva una certa dimestichezza).

Colori squillanti. Forse proprio per questo, partendo da Kandinsky-Schömberg, s'è sempre parlato dell'uso sonoro del colore, dovuto anche alla sua frequentazione con Luigi Nono. E proprio al musicista veneziano aveva dedicato i suoi ultimi tre lavori grafici, riuniti in un libro d'arte, Al gran sole carico d'amore, da Egidio Fiorin, per le edizioni Colophon, nel luglio scorso. Vedova e Nono si erano incontrati nel 1942. Poi, nel '60, il compositore aveva dedicato un'opera all'amico. Nono amava la gamma cromatica di Vedova perché vi trovava un'analogia con l'improvvisazione e la sonorità della musica dodecafonica. Colori guizzanti, lampeggianti, si diceva.

L'artista liberava il furore che aveva dentro di sé, con gesti repentini che diventavano forme astratte. E che lasciavano anche perplessi se recitate con una punta di stramberia. Ricordo, agli inizi degli anni Settanta, una sua performance al castello di Pavia, in occasione d'una mostra a favore dei fuorusciti spagnoli. C'ero andato con Rafael Alberti, di cui Vedova era amicissimo. Dopo i soliti discorsi di circostanza, era intervenuto Vedova. Aveva biascicato qualcosa, commuovendosi platealmente. D'un tratto aveva cominciato a tempestare di pugni un suo grande quadro. Gli astanti lo guardavano tra stupore e divertimento. Ma quella di Emilio era una maniera di esprimere la sua collera contro il franchismo. Teatrale? Certamente. Ma efficace.

La recita faceva parte del personaggio e c'era, in lui, in questo, un certo compiacimento. D'altronde egli stesso faceva di tutto per alimentare l'aneddotica che gli fioriva attorno. Un esempio? Qualche anno addietro, due ufficiali della Guardia di Finanza erano andati nel suo studio fingendosi interessati all'acquisto di alcuni dipinti. «Quanto costa, questo?». «Due-tre milioni», rispondeva la moglie Annabianca, che aveva capito chi erano i due. «Ma che dici, sei impazzita, per quel quadro ci vogliono cento milioni!», urlava Emilio, dal fondo dello studio. La scena s'era ripetuta più volte, anche se la moglie aveva cercato di avvertirlo con gesti e gestacci. Finale? Un miliardo e 200 milioni di multa (ridotta, poi, a un miliardo). L'anno dopo, una seconda visita. Stavolta, Vedova aveva capito tutto e subito. Così, dopo essersi allontanato, s'era ripresentato nudo: «Così mi avete lasciato l'altra volta», aveva detto agli agenti esterrefatti.

Furore, s'è detto. Ma il suo furore non ha conosciuto scuole o correnti. Vedova, a suo tempo, aveva rimesso in discussione il Futurismo e la sua partecipazione a Corrente, a Oltre Guernica, al Fronte nuovo delle arti, al Gruppo degli Otto, all'Action painting, all'Art brut, sino all'Informale coi quali aveva avuto sempre un rapporto di scambio, mai di subordine. In realtà, Vedova ha sempre agito come una forza della natura. L'artista veneziano â?? che di Venezia, ormai, era diventato un elemento del paesaggio come San Marco e l'isola di San Giorgio â?? viveva i suoi dipinti. Una pennellata era un colpo di nervi, un gesto bilioso e selvaggio. E del selvaggio aveva anche l'aspetto, l'istinto vigile. Natura e carattere si fondevano, diventavano ritmo. Angoscia e lirismo, lucidità e pazzia. Di un finto pazzo, però, che in realtà era un genio.
Sebastiano Grasso
(www.corriere.it)


Addio a Emilio Vedova, uno dei maggiori pittori dell'«informale»
Stefano Miliani

Poche settimane fa se n´è andata l´amata moglie, Anna Maria, martedì, nel sonno, è morto a Venezia Emilio Vedova: era uno di quei non tanti artisti italiani che, negli anni Cinquanta, con la potenza del loro gesto, si inserirono di diritto nello scenario internazionale per restarvi vita natural durante. Con pieno merito: il suo segno, il suo gesto forte, espressionista, astratto, i suoi inserti rossi, l´uso di materiali come il legno, la carta, il vetro, il rifiuto di tante formalità, la tensione tra i bianchi e i neri ne hanno fatto un innovatore e un protagonista della dirompente stagione dell´informale. E sempre con una cifra molto personale, rigorosa e coerente. Come coerente è stata la sua vita.

Durante la Seconda guerra mondiale, nel â??44 e nel â??45, aveva partecipato alla Resistenza (era il partigiano «Barabba») e aveva mantenuto fortissimi gli ideali antifascisti: fino alla fine, senza cedimenti. E conviene ricordare subito che, nel dopoguerra e negli anni successivi, dipingere astratto e/o informale ed essere di sinistra era una bella scommessa: erano gli anni in cui Togliatti prediligeva il realismo, magari alla Guttuso. Ma molti pittori astratti, e poi quelli che ruppero con la geometria e abbracciarono la loro strada «informale», la pensavano altrimenti, sapevano che il realismo non era l´unica via per essere di sinistra, per credere in una giustizia sociale. E c´era passione, nelle discussioni, e quella passione civile non lo ha mai abbandonato.

Era un bell´uomo, con una gran barba che gli dava un´aria da filosofo al di fuori di ogni scuola. Era veneziano fino al midollo e ne era orgoglioso. Nato nella città lagunare il 9 agosto del 1919, tenne la sua prima mostra nel â??43 a Milano, nel â??46 con Ennio Morlotti elaborò il manifesto «Oltre Guernica» (la città spagnola bombardata dai nazisti) e fu tra i fondatori della Nuova Secessione artistica italiana-Fronte nuovo delle arti. Nel â??55 fu a «Documenta», la rassegna di Kassel che stava lanciando le avanguardie post-belliche nell´universo artistico e dove tornò per altre tre volte. Nel â??60 ottenne il Gran premio per la pittura alla Biennale e nel â??97 la mostra veneziana, doverosamente, gli consegnò il premio alla carriera. Persona burbera e dolce, che a qualcuno sembrava brusca ma perché non amava i fronzoli e i salamelecchi, fu felice di quel riconoscimento. Non che ne avesse bisogno da un punto di vista di stima internazionale, né da un punto di vista economico, perché i suoi dipinti dalle superfici grezze, con escrescenze e incassi, valgono montagne di soldi. Ne fu felice anche perché lo festeggiava Venezia, città alla quale rimase sempre legato: soprattutto alle spinte radicali di artisti che sentiva affini. La sua pittura aveva ritmo, dissonanze, il ritmo e le dissonanze del tempo che la figurazione allora non potevano appagare.

Ã? in questo quadro che si inserisce un intervento del â??60, quando preparò le scene e i costumi per una pagina di Luigi Nono, il compositore veneziano. E di nuovo nell´84 eseguì gli «interventi di luce» per la struttura lignea di Renzo Piano disegnata per il Prometeo, sempre di Nono. Vi collaborò anche Cacciari. Magari vi sembrerà un dettaglio, lo è, eppure è emblematico: rivela una fedeltà a strade condivise, a ideali per un mondo più equo, ad amicizie, al bisogno di non attardarsi sul già fatto, né sul «facile» consenso. Rivelano, questi episodi, una coerenza da parte di una persona acclamata nel mondo. E le sirene dell´arte, ricordiamocelo, hanno voci suadenti e quattrini, ci mettono poco a travolgere l´umanità, o la vita stessa, di un artista (pensate solo a Basquiat). Ma lui non si fece abbindolare: l´arte, per lui, era anche contestazione, coraggio, e ci ha sempre creduto. Fino all´ultimo.
(www.unità.it)


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#2 dazed and confused

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Inviato 30 ottobre 2006 - 08:47

Si, è stato uno degli ultimi, se non l'ultimo, grande pittore italiano.
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#3 Ringa

    aspirante indie

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Inviato 30 ottobre 2006 - 09:36

Mi dispiace da morire... giusto in questi giorni avevo letto un articolo interessantissimo sulla sua pittura su una rivista di cultura veneziana, con una bella intervista.
Sembrava davvero non ci dovesse lasciare mai, anche quest'anno aveva continuato a creare opere (il ciclo dei monotipi), non aveva mai smesso.

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#4 Guest_Eugenetic Axe_*

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Inviato 30 ottobre 2006 - 17:10

L'ho sentito l'altro giorno al Tg3; per quanto lo conoscessi quasi solo di nome, dopo avermi fatto una ricerca sulla sua arte, mi dispiace.
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#5 kingink

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Inviato 30 ottobre 2006 - 17:12

Si, è stato uno degli ultimi, se non l'ultimo, grande pittore italiano.


uno dei più importanti, apprezzato anche all'estero ttra l'altro. una perdita pesante del nostro patrimonio artistico.
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#6 Jazzer

    Utente anziano

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Inviato 31 ottobre 2006 - 23:27

Mi dispiace da morire... giusto in questi giorni avevo letto un articolo interessantissimo sulla sua pittura su una rivista di cultura veneziana, con una bella intervista.


Se ho capito bene, la rivista è trevigiana. Preciso, giusto perché ci scrivo anch'io a volte.

Ho molto rispetto per Vedova e la sua opera anche se - onestamente - la capisco poco.
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non sono asociale...sono socialmente selettivo





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