Il perché di un romanzo.
#1
Inviato 26 maggio 2010 - 13:33
Mi sento un po' in colpa, ogni tanto. Magari potrei informarmi di più sull'attualità, su cosa succede in Italia e su cosa succede nel mondo (e qui ben che sono gnurént), invece che leggere romanzi e racconti.
Come pensate che un romanzo possa arricchire una persona? Un romanzo può farci conoscere realtà e culture lontane dalla nostra? Darci una visione del mondo diversa? Può cambiare i nostri atteggiamenti? Ci permette di leggere in modo diverso anche le persone?
Sono molto incerto su queste domande e quindi cerco di prendere spunto da qualche vostra risposta (qualcuno risponderà? spero ). E' gradito anche fare esempi concreti, magari parlando di un romanzo in particolare che vi ha colpito profondamente...
#2
Inviato 26 maggio 2010 - 14:04
La mia (per ora) ridotta conoscenza di Dostoevskij è comunque sufficiente a definirlo l'autore del dramma esistenziale, dei personaggi/caratteri che in piccola o larga parte abitano il nostro ego. Accidiosi, vendicativi, paradossali, spesso subdolamente folli. Se arriviamo a disprezzarli, è solo perché rispecchiano e magnificano i nostri peggiori difetti latenti.
Henry Miller mi ha iniziato alla dimensione del sesso.
Quasi inutile che parli di Proust, che scava e cesella chirurgicamente le percezioni e l'umano sentire. L'analisi che in Joyce si era fermata al livello sintattico, e che nella "Recherche" assume tratti enciclopedici.
La mia risposta alle tue domande è affermativa.
I have spoken softly, gone my ways softly, all my days, as behoves one who has nothing to say, nowhere to go, and so nothing to gain by being seen or heard.
(Samuel Beckett, “Malone Dies”)
#3
Inviato 26 maggio 2010 - 14:12
Henry Miller mi ha iniziato alla dimensione del sesso.
porco mondo
Siamo vittime di una trovata retorica.
#4
Inviato 26 maggio 2010 - 14:20
Può aiutarti a rispondere ad alcune tue domande.
Personalmente... uhm... ho un rapporto stranissimo con la narrativa. Da qualche anno ormai leggo molta più saggistica. Ma certi romanzi (pochi, negli ultimi tempi, già di più nei miei anni formativi) sono state esperienze complete. Non si tratta solo di "apprendere" o di "informarsi", ma direi proprio di "formarsi". Anche se magari a distanza di anni non ne ricordo che pochi dettagli, mi scopro spesso a pensare e a vedere le cose attorno a me nel modo in cui quelle opere me le hanno mostrate.
Tra i più "formativi", La coscienza di Zeno, svariate opere di Pirandello, La montagna incantata, non poco Kafka...
#5
Inviato 26 maggio 2010 - 15:12
Mi fa venire in mente la storia dei "brevi cenni sull'universo" di Eco nel Diario minimo...
In sostanza la tua domanda è: a che cosa "serve" leggere (dato che la differenziazione fra romanzi, poesia, saggistica ecc... diventa quasi secondaria), se leggere è "utile" e così via...
Ma come si fa a rispondere a una domanda così... ?! O_O
Ps. Non c'entra niente ma mia menzione speciale per bloody Valentine per avere citato Thomas Mann... Oggi è considerato un cane morto (e infatti non ne parla più nessuno, almeno così mi pare... ), ma più lo leggo (e lo rileggo) più lo trovo uno scrittore fantastico...
«Ciò che l'uomo può essere per l'uomo non si esaurisce in forme comprensibili».
(k. jaspers)
Moriremotuttista
#6
Inviato 26 maggio 2010 - 15:23
Codeste ambiguità, ridondanze e deficienze ricordano quelle che il dottor Franz Kuhn attribuisce a un'enciclopedia cinese che s'intitola Emporio celeste di conoscimenti benevoli. Nelle sue remote pagine è scritto che gli animali si dividono in (a) appartenenti all'Imperatore, (b) imbalsamati, c) ammaestrati, (d) lattonzoli, (e) sirene, (f) favolosi, (g) cani randagi, (h) inclusi in questa classificazione, (i) che s'agitano come pazzi, (j) innumerevoli, (k) disegnati con un pennello finissimo di pelo di cammello, (l) eccetera, (m) che hanno rotto il vaso, (n) che da lontano sembrano mosche.
non si dice, non si scrive solamente si favoleggia
#7
Inviato 26 maggio 2010 - 17:44
Henry Miller mi ha iniziato alla dimensione del sesso.
porco mondo
E' molto strano? Prima di "Tropico del Cancro" la mia educazione sessuale deficitava parecchio: era un mondo segreto e proibito, fatto di sentito dire e di tantissimi tabù che i miei non si erano sprecati a chiarirmi.
E al di là del sesso - componente madre delle sue opere - Henry Miller è un maestro di vita. Dietro alle sue varie vicende letterarie/autobiografiche si annida una saggezza sconfinata.
I have spoken softly, gone my ways softly, all my days, as behoves one who has nothing to say, nowhere to go, and so nothing to gain by being seen or heard.
(Samuel Beckett, “Malone Dies”)
#8
Inviato 26 maggio 2010 - 17:48
Henry Miller mi ha iniziato alla dimensione del sesso.
porco mondo
E' molto strano? Prima di "Tropico del Cancro" la mia educazione sessuale deficitava parecchio: era un mondo segreto e proibito, fatto di sentito dire e di tantissimi tabù che i miei non si erano sprecati a chiarirmi.
E al di là del sesso - componente madre delle sue opere - Henry Miller è un maestro di vita. Dietro alle sue varie vicende letterarie/autobiografiche si annida una saggezza sconfinata.
non mi stupisce. Solo mi pare una terapia d'urto mica male
Siamo vittime di una trovata retorica.
#9
Inviato 26 maggio 2010 - 18:42
I have spoken softly, gone my ways softly, all my days, as behoves one who has nothing to say, nowhere to go, and so nothing to gain by being seen or heard.
(Samuel Beckett, “Malone Dies”)
#10
Inviato 26 maggio 2010 - 19:09
Dark, scusa, ma che razza di domanda è... ?!
Mi fa venire in mente la storia dei "brevi cenni sull'universo" di Eco nel Diario minimo...
Che razza di domanda è? E che ne so!
Quella cosa che citi di Eco non la conosco :
Conosco la tua (incomprensibile, tra l'altro ) idiosincrasia per Calvino, ma a questo devi darci un'occhiata:
Può aiutarti a rispondere ad alcune tue domande.
Un poco lo conosco il testo, perché è sempre pluricitato (anche perché, mi pare, è composto da tanti aforismi..right?]. Lo leggerò.
In sostanza la tua domanda è: a che cosa "serve" leggere (dato che la differenziazione fra romanzi, poesia, saggistica ecc... diventa quasi secondaria), se leggere è "utile" e così via...
Dire "utile" è un po' brutale ma in fondo va bene. Preferei dire "morale", in senso un po' allargato..morale nel senso che ci dice qualcosa del mondo, delle persone ecc...
In questo senso per me è utile. Posso dire che alcuni scrittori qualcosa me lo hanno insegnato (penso soprattutto a Proust, Gadda, Pirandello).
Considero la musica un'arte più pura della letteratura: molto più diretta e potente -smuove con forza incomprensibile qualcosa che è nascosto in noi- ma anche più "inutile". Non posso dire che la musica mi abbia insegnato qualcosa (ma ne sono certo?); forse ha soltanto modificato la mia sensibilità.
All art is quite useless? Bah.
#11
Inviato 26 maggio 2010 - 22:26
#12
Inviato 26 maggio 2010 - 22:48
Masturbazione.
Ottimo come primo post
#13
Inviato 27 maggio 2010 - 08:55
Personalmente gli autori che più sento "miei" (Baudelaire, Nietzsche, Bataille, Rilke, Blanchot, Dostoevskij, Kafka, altri...) li considero come dei veri e propri incontri, con una sorta di amicizia e complicità, per quello che mi hanno "detto" o per quanto mi hanno messo in crisi, in questione.
La Nausea di Sartre poi ha seriamente rischiato di rovinarmi l'esistenza...
#14
Inviato 27 maggio 2010 - 09:49
#15
Inviato 27 maggio 2010 - 09:50
Supremazia no, ma (parlando a titolo strettamente personale) leggere un romanzo e leggere un testo filosofico sono due tipi di esperienze completamente diverse.Leggere un romanzo (ma anche una raccolta di poesie o di racconti, un testo filosofico; non capisco questa "supremazia" del romanzo)
#16
Inviato 27 maggio 2010 - 09:53
Henry Miller mi ha iniziato alla dimensione del sesso.
prima credevi fosse normale averlo così piccolo.
#17
Inviato 27 maggio 2010 - 10:00
Henry Miller mi ha iniziato alla dimensione del sesso.
Credevo fosse stato Ian Smith
Stefano
Sono stato ad un loro concerto in prima fila, impiedi. Ubriaco fracico ed erano convinte fossi un fan sfegatato, mi dedicavano le canzoni mentre io per quasi due ore urlavo: troieee!
#18
Inviato 27 maggio 2010 - 10:01
Supremazia no, ma (parlando a titolo strettamente personale) leggere un romanzo e leggere un testo filosofico sono due tipi di esperienze completamente diverse.
Leggere un romanzo (ma anche una raccolta di poesie o di racconti, un testo filosofico; non capisco questa "supremazia" del romanzo)
Sì certo, su questo non posso che essere d'accordo. Però se le metodologie di lettura sono differenti a seconda della tipologia del testo, ciò non toglie che le sensazioni suscitate possano non essere così dissimili.
C'è anche da dire che nel '900 si sono sviluppate forme ibride di scrittura che mescolano elementi stilistici diversi e che hanno fatto sì che le distinzioni tra una forma e l'altra di scrittura si siano molto "elasticizzate".
#19
Inviato 27 maggio 2010 - 10:11
Questo è vero.Sì certo, su questo non posso che essere d'accordo. Però se le metodologie di lettura sono differenti a seconda della tipologia del testo, ciò non toglie che le sensazioni suscitate possano non essere così dissimili.
C'è anche da dire che nel '900 si sono sviluppate forme ibride di scrittura che mescolano elementi stilistici diversi e che hanno fatto sì che le distinzioni tra una forma e l'altra di scrittura si siano molto "elasticizzate".
Vero anche che i filosofi di cui mi occupo e che più mi interessano non sono propriamente di questo tipo. Mi è difficile associare sensazioni "letterarie" a Kant, a Peirce o a Wittgenstein
#20
Inviato 27 maggio 2010 - 10:20
Parlo di romanzo perché secondo me è la forma che più si presta a diventare anche solo un intrattenimento. Magari si può pensare ad un libro giallo di poca profondità che però ci rapisce, ci porta fuori dal mondo concreto: perché siamo curiosi, perché ci identifichiamo con un personaggio, ecc.
#21
Inviato 27 maggio 2010 - 10:22
Non parlavo di filosofia perché la considero una cosa meno evasiva, meno da "svago". Non è propriamente una disciplina artistica.
Parlo di romanzo perché secondo me è la forma che più si presta a diventare anche solo un intrattenimento. Magari si può pensare ad un libro giallo di poca profondità che però ci rapisce, ci porta fuori dal mondo concreto: perché siamo curiosi, perché ci identifichiamo con un personaggio, ecc.
Mah, io se voglio lo svago lo cerco altrove, non in un libro. Non prendermi per uno "snob" eh... Solo che mi riesce difficile leggere un libro per svagarmi, per il semplice fatto di "far passare il tempo"...
Poi c'è il libro che ti segna di più nel tempo e quello che invece ti conquista nell'immediato ma poi non "sedimenta"...
#22
Inviato 27 maggio 2010 - 10:23
Non parlavo di filosofia perché la considero una cosa meno evasiva, meno da "svago". Non è propriamente una disciplina artistica.
Parlo di romanzo perché secondo me è la forma che più si presta a diventare anche solo un intrattenimento. Magari si può pensare ad un libro giallo di poca profondità che però ci rapisce, ci porta fuori dal mondo concreto: perché siamo curiosi, perché ci identifichiamo con un personaggio, ecc.
Mah, io se voglio lo svago lo cerco altrove, non in un libro.
già. in una rivista. con tante foto.
#23
Inviato 27 maggio 2010 - 10:27
Mah, io se voglio lo svago lo cerco altrove, non in un libro.
Io, se leggo un romanzo, lo leggo anche per diletto, e penso sia così un po' per tutti. Uno legge anche perché prova piacere nel farlo.
Miscere utile dulci.
#24
Inviato 27 maggio 2010 - 10:55
Henry Miller mi ha iniziato alla dimensione del sesso.
prima credevi fosse normale averlo così piccolo.
Boh, tu sei diventato poco divertente e poco simpatico. Una volta il tuo sarcasmo era più efficace.
I have spoken softly, gone my ways softly, all my days, as behoves one who has nothing to say, nowhere to go, and so nothing to gain by being seen or heard.
(Samuel Beckett, “Malone Dies”)
#25
Inviato 27 maggio 2010 - 11:06
#26
Inviato 27 maggio 2010 - 11:57
Ci sono romanzi a cui non posso fare a meno di tornare (anche solo con la mente) di tanto in tanto: La valle dell'Eden, The Return of The Native, Il Borgo, Q. ,
Credo che qualcuno che ne capisce più di me dovrebbe anche accennare alla primordiale necessità umana di creare e dunque di ascoltare/leggere/tramandare storie.
Forse speranza che quelle storie razionalizzino l'apparente caos attorno a noi?
Per quanto mi riguarda ho un rapporto piuttosto "brutale" con la letteratura: leggo, senza chiedermi perchè. Prendo un libro,lo apro, arrivo in fondo. I significati, i sapori delle storie arrivano piano, dopo o durante la lettura (a seconda della lunghezza del libro)
Dekalog 5
#27
Inviato 27 maggio 2010 - 13:17
ossessione, possessione, fame fisica
#28
Inviato 27 maggio 2010 - 16:20
Masturbazione.
Ottimo come primo post
Credo anch'io, è nato da una seria riflessione.
Il piacere che traiamo dalla lettura e dal fatto che essa ci faccia sentire particolarmente acuti è scabroso.
#29
Inviato 27 maggio 2010 - 16:27
Siamo vittime di una trovata retorica.
#30
Inviato 27 maggio 2010 - 17:27
L??angoscia di fronte a questo dover finire può naturalmente essere tenuta a bada. Religione e filosofia dovrebbero offrircene gli strumenti. Ciò che però non scompare è la tristezza per questa finitudine. La tristezza non la si può vincere, può soltanto essere rifiutata o accettata. Il raccontare storie ha qualcosa a che fare col fatto di accettarla. La tendenza degli uomini alla tristezza li fa diventare narratori di storie. [?] Ogni storia ha la capacità di alleggerire il mondo. Una storia ?? e questo fa spesso arrabbiare ?? è consolatoria. Ciò che trova una forma perde il carattere minaccioso del caos. [?] Mentre racconto delle storie, io non mi occupo della verità, ma delle possibilità della verità. Finché ci saranno ancora storie, esisteranno ancora delle possibilità".
Cito questo passo di P. Bichsel soltanto per indicare, Dark, che il narrare è talmente consustanziale all'esistere (causa il comune riferimento alla temporalità) che vivere e leggere sono quasi la stessa cosa...
Quindi come si fa a domandare della sua "utilità"... ?!
L'essere ha uno stile narrativo...
«Ciò che l'uomo può essere per l'uomo non si esaurisce in forme comprensibili».
(k. jaspers)
Moriremotuttista
#31
Inviato 27 maggio 2010 - 18:38
io avevo capito che leggevi per poterti masturbare...
la libreria è un prolungamento del pene.
#32
Inviato 27 maggio 2010 - 18:52
Questo è vero.
Sì certo, su questo non posso che essere d'accordo. Però se le metodologie di lettura sono differenti a seconda della tipologia del testo, ciò non toglie che le sensazioni suscitate possano non essere così dissimili.
C'è anche da dire che nel '900 si sono sviluppate forme ibride di scrittura che mescolano elementi stilistici diversi e che hanno fatto sì che le distinzioni tra una forma e l'altra di scrittura si siano molto "elasticizzate".
Vero anche che i filosofi di cui mi occupo e che più mi interessano non sono propriamente di questo tipo. Mi è difficile associare sensazioni "letterarie" a Kant, a Peirce o a Wittgenstein
Wittgenstein ha uno stile piuttosto aforistico e ha concepito lui stesso una buona parte dei suoi scritti come opere d'arte (in effetti, gli manca il lato della « definizione », o meglio le sue definizioni sono volontariamente laconiche e poco esplicite). Credo possa essere messo con Nietzsche tra coloro che stanno tra la filosofia e la letteratura.
Per rispondere a Dark Angel : oltre a tutto ciò che hai detto (arricchire, farci conoscere altre realtà ecc), un romanzo è in genere un forte stimolo alla riflessione, come tutta esperienza straordinaria (provata o riportata da altri).
Per la prima domanda invece la risposta è meno diretta : esistono romanzi che sono puro svago e altri invece che hanno un contenuto un po' più profondo. Non che questi ultimi non siano svago, ma diciamo che si tratta di un divertimento portato all'estremo della propria eccitazione (non per nulla nella maggior parte dei romanzi la chiave di tutto il racconto viene spostata verso la fine, più o meno come i preliminari ritardano l'atto sessuale e il suo glorioso finale eiaculatorio).
In ogni caso vai tranquillo, leggere o scrivere un romanzo è sempre ed in ogni caso una forma di masturbazione. E masturbarsi fa bene, ti aiuta a prendere confidenza con il tuo corpo.
#33
Inviato 27 maggio 2010 - 19:24
Questo è vero.
Sì certo, su questo non posso che essere d'accordo. Però se le metodologie di lettura sono differenti a seconda della tipologia del testo, ciò non toglie che le sensazioni suscitate possano non essere così dissimili.
C'è anche da dire che nel '900 si sono sviluppate forme ibride di scrittura che mescolano elementi stilistici diversi e che hanno fatto sì che le distinzioni tra una forma e l'altra di scrittura si siano molto "elasticizzate".
Vero anche che i filosofi di cui mi occupo e che più mi interessano non sono propriamente di questo tipo. Mi è difficile associare sensazioni "letterarie" a Kant, a Peirce o a Wittgenstein
Wittgenstein ha uno stile piuttosto aforistico e ha concepito lui stesso una buona parte dei suoi scritti come opere d'arte (in effetti, gli manca il lato della « definizione », o meglio le sue definizioni sono volontariamente laconiche e poco esplicite). Credo possa essere messo con Nietzsche tra coloro che stanno tra la filosofia e la letteratura.
Questo è (in parte) vero, ma io intendevo qualcosa di diverso. Partivo dalla affermazione di Stavrogin "ciò non toglie che le sensazioni suscitate [da letteratura e da filosofia] possano non essere così dissimili."; se ciò è vero per molti filosofi (per dirne una che ammiro molto, Hannah Arendt), vale poco per il tipo di filosofia di cui mi occupo, in cui il tipo di "sensazione" che mi viene evocata (parlo, come prima, a titolo personale: ma credo sia una cosa condivisa) è di sfida alla mia capacità di concettualizzazione, e da lì di sprone a un ripensamento delle categorie intellettuali con cui affronto il mondo. Vengono ben poco coinvolte (o se lo sono, solo indirettamente) forme di "pensiero del mondo" di natura più metaforica, emotivamente carica, individualizzata. Che sono invece gli aspetti che più mi risultano coinvolti dalla lettura di romanzi e poesie (quando scatta il coinvolgimento, è ovvio). Forse, fra i tre che ho citato, Kant quando parla di morale arriva vicino a coinvolgere anche quegli aspetti: ma in quel caso è lo stile assai poco letterario a impedire una esperienza "romanzesca".
Riguardo allo stile aforistico di Wittgenstein, attenzione però a non "letterarizzarlo" troppo, a non vederlo troppo come Nietzsche. Nel "non detto" tra un aforisma e l'altro c'è parecchio di analitico, raziocinante, passaggi logici che "tengono" insieme le diverse suggestioni. Ciò non toglie che la scelta di uno stile aforistico non sia solo di comodo, abbia funzioni sostanziali: ma molti incauti lettori cadono nella trappola di leggerlo in maniera "suggestiva" anche laddove è perfettamente analitico e "scientifico".
[Su Nietzsche soprassiedo il giudizio, lo conosco troppo poco. Che scrittore, però!]
#34
Inviato 27 maggio 2010 - 19:29
Comunque cercherò di documentarmi sulla questione. Non bisogna scordarsi che molte volte la letteratura ha avuto una vera e propria funzione (didattica, morale, politica), ma comunque non è proprio questo il punto che mi interessa, come spero di aver lasciato ad intendere.
Gli scrittori avranno sicuramente riflettuto. Non era Calvino (di cui mi avete consigliato "Perché leggere i classici") a chiedersi se lo scrivere era per lui una forma di evasione (non ricordo di preciso dove, ma mi pare che lo dicesse riferendosi a "Il barone rampante")?
#35 Guest_ale_*
Inviato 27 maggio 2010 - 19:34
Penso per un unico motivo: perché ti piace, perché ti fa star bene.
Non ne trovo altro. La legittimazione della letteratura come "arte formativa" non mi ha mai convinto: penso che uno possa essere una persona "formata" anche senza aver letto un libro (magari difetterà nello scrivere quello sì ).
La lettura spesso viene presa come una sorta di termometro che misuri quanta cultura c'è in una persona: in poche parole, da quanto leggi viene dedotto quanto sei "colto" (poi non importa cosa leggi... , ma anche qui non voglio cadere nel tranello letteratura "alta"/letteratura "bassa").
Non credo sia un dramma se uno non riesce a leggere 10 libri in un anno. Non penso neanche che sia un dramma se uno ha letto 10 libri in tutta la sua vita. Non penso esista uno studio scientifico che dimostri che leggere romanzi (ma quali?) migliori le persone. Le migliora (ma è sempre tutto ad un livello soggettivo) se leggere, a queste persone, piace.
è una delle tante favole della cultura europea (una certa cultura) che leggere sia l'attività intellettuale superiore, l'attività "contemplativa" per eccellenza.
Molto semplicemente è una delle tante attività a disposizione.
La nostra attualmente è una cultura audio-visiva: nella nostra cultura l'oralità (e l'immagine) ha il predominio sulla scrittura. C'è da meravigliarsi se la gente si allontana sempre di più dal foglio di carta? No.
Ma non penso neanche che questo sia un male. Ci sono altre forme di trasmissione del sapere. E non ne esiste una superiore all'altra. Spogliamoci dai pregiudizi, la nostra contemporaneità non è il male assoluto.
#36
Inviato 27 maggio 2010 - 19:54
I film si prestano a parlare del mondo quanto i romanzi.
#37
Inviato 27 maggio 2010 - 20:48
Questo è (in parte) vero, ma io intendevo qualcosa di diverso. Partivo dalla affermazione di Stavrogin "ciò non toglie che le sensazioni suscitate [da letteratura e da filosofia] possano non essere così dissimili."; se ciò è vero per molti filosofi (per dirne una che ammiro molto, Hannah Arendt), vale poco per il tipo di filosofia di cui mi occupo, in cui il tipo di "sensazione" che mi viene evocata (parlo, come prima, a titolo personale: ma credo sia una cosa condivisa) è di sfida alla mia capacità di concettualizzazione, e da lì di sprone a un ripensamento delle categorie intellettuali con cui affronto il mondo. Vengono ben poco coinvolte (o se lo sono, solo indirettamente) forme di "pensiero del mondo" di natura più metaforica, emotivamente carica, individualizzata. Che sono invece gli aspetti che più mi risultano coinvolti dalla lettura di romanzi e poesie (quando scatta il coinvolgimento, è ovvio). Forse, fra i tre che ho citato, Kant quando parla di morale arriva vicino a coinvolgere anche quegli aspetti: ma in quel caso è lo stile assai poco letterario a impedire una esperienza "romanzesca".
Riguardo allo stile aforistico di Wittgenstein, attenzione però a non "letterarizzarlo" troppo, a non vederlo troppo come Nietzsche. Nel "non detto" tra un aforisma e l'altro c'è parecchio di analitico, raziocinante, passaggi logici che "tengono" insieme le diverse suggestioni. Ciò non toglie che la scelta di uno stile aforistico non sia solo di comodo, abbia funzioni sostanziali: ma molti incauti lettori cadono nella trappola di leggerlo in maniera "suggestiva" anche laddove è perfettamente analitico e "scientifico".
[Su Nietzsche soprassiedo il giudizio, lo conosco troppo poco. Che scrittore, però!]
Il problema è in realtà che la scrittura letteraria è uno dei due modelli fondatori della filosofia stessa, ritrovabile precisamente nei dialoghi di Platone (il saggio vero e proprio si trova invece presso Aristotele). Da quel punto di vista, credo che una buona parte della filosofia sia, come la letteratura, fondata sulla volontà di trasmettere un'esperienza straordinaria avvenuta nella propria vita.
Per il resto, la differenza tra la filosofia e la letteratura è che la prima pretende la verità delle proprie tesi argomentate, mentre la seconda chiede al contrario di mettere tra parentesi la questione della verità per immergersi in modo totale nell'esperienza narrata.
Poi vi sono in ogni caso autori per i quali il limite tra filosofia e letteratura resterà sempre e comunque incerto, come nel caso di Rousseau e il resto dei romantici ispirati da lui (Schelling, Hegel ecc., fino ad arrivare volendo a Sartre o a Merleau-Ponty).
Kant è un altro autore ambiguo perché, nonostante almeno nelle tre critiche utilizzi la forma classica del saggio, l'intensità estrema del suo lavoro concettuale fa sentire benissimo che c'è qualcosa di molto forte ed « esistenziale » alla base delle sue tesi. Di fatto Kant stesso era un profondo ammiratore di Rousseau, se non molto di più.
Su Nietzsche e Wittgenstein, ovviamente non intendevo dire che erano la stessa cosa, anche se nella realtà dei fatti i due hanno moltissime cose in comune oltre all'espressione (anima solitaria, sensibilità romantica, gusto per la musica, dissentimento riguardo la filosofia « accademica », esperienza di meraviglia nei confronti del mondo, rapporto con il mondo protestante, ecc). Diciamo che il primo ha espresso le proprie idee in modo libero rinunciando ai metodi del discorso accademico, mentre il secondo si è inserito in quest'ultimo cercando costantemente d'indicare la strada per uscirne.
Poi nella realtà dei fatti i wittgensteiniani e i nietzscheani si odiano in modo deliberato e profondo, il che conferma allo stesso tempo la vicinanza e la distanza tra i due autori. Non credo in ogni caso si possa slegare né Nietzsche né Wittgenstein da una marcata tendenza anti-moderna, romantica e, in fin dei conti, profondamente letteraria.
Posso benissimo mettere sullo stesso piano cinema e romanzi allora.
Su questo non c'è alcun dubbio, credo.
#38
Inviato 27 maggio 2010 - 20:57
Credo che in merito siano state date milioni e milioni di risposte, una per ogni appassionato di letteratura, diciamo. Ognuno deve trovare la propria dentro di sè, è inutile cercare tra quelle degli altri, ci si deve arrivare tramite un personale percorso di maturazione. Questa perlomeno è la mia idea, che sia la domanda fondamentale ed al tempo stesso la più intima.
Per quanto riguarda me, onestamente, non saprei da dove iniziare, potrei parlare di come certi libri hanno influenzato - anzi, mutato radicalmente - la mia via di vedere il mondo, di come certi personaggi siano usciti fuori dalla carta per divenire parte integrante della mia compagnia, delle mie amicizie e conoscenze, e così potrei andare avanti all'infinito. Ma non credo che sia molto utile, perlomeno in questa circostanza. Piuttosto, questo messaggio mi ha fatto riflettere.
Premesso che tutte le forme d'arte sono nobili in quanto, per usare un clichè ab-abusato, sono cibo per la mente, ritengo impossibile metterle tutte sullo stesso piano, in quanto profondamente diverse. La recitazione ha qualcosa che la pittura non ha, e viceversa, così come per tutte le altre.Posso benissimo mettere sullo stesso piano cinema e romanzi allora.
I film si prestano a parlare del mondo quanto i romanzi.
Tu paragoni il cinema ad un romanzo in quanto tutti e due hanno a che fare con il mondo. Su questo sono ovviamente d'accordo - d'altronde, la sceneggiatura cos'è se non un'opera letteraria? Tuttavia, ritengo la settima arte molto più vicina al teatro che non alla narrativa.
Un romanzo può costruire personaggi credibili tramite la descrizione/narrazione, e solo lui può - mi si perdoni la mancanza di stile. Mi viene in mente Marcel de "Alla ricerca del Tempo perduto" che incontra le ragazze sulla spiaggia in "All'ombra delle fancuille in fiore". In che modo Proust avrebbe potuto farci vedere Albertine non come individuo, ma come parte di un tutto indefinito, se non tramite un romanzo? Oppure pensa al monologo finale di "Ulisse", per il quale non ho parole, ma mi limito a considerarlo la più grande prova delle possibilità della narrativa?
In definitiva, un romanzo va prima di tutto goduto per la struttura, come una qualsiasi opera d'arte, ma in seconda analisi è capace di offrirti spunti unici - tieni a mente gli esempi che ho citato poco sopra. E' questa la differenza che intercorre tra un magnifico dipinto di Giorgione, uno stupendo film di Jean-Luc Godard od un indimenticabile brano di Coltrane, ed un romanzo. Ed è la differenza che rende la narrativa la mia forma d'arte preferita - la mia seconda, a dire il vero, dopo la poesia.
Citando Eco, che è molto più eloquente di me. Questa credibilità che si adatta nella godibilità ci dice che, realizzandosi come termine di un processo artistico e consegnandosi al lettore solo al termine di un apprezzamento estitico, il tipo [qui inteso come personaggio in generale] perdura nella memoria del lettore e gli si può riproporre come esperienza morale.
In breve, la capacità di creare tipi, ovvero personaggi credibili dei quali è possibile ricordarsi nella vita, è propria ed esclusiva dei romanzi. E credo sia un buon motivo per leggerli.
Ciao
E un passo di quella danza era costituito dal tocco più leggero che si potesse immaginare sull'interruttore, quel tanto che bastava a cambiare...
... adesso
e la sua voce il grido di un uccello
sconosciuto,
3Jane che rispondeva con una canzone, tre
note, alte e pure.
Un vero nome.
#39
Inviato 27 maggio 2010 - 22:39
#40
Inviato 28 maggio 2010 - 00:18
penso che leggere serva a tenere viva la propria immaginazione grazie all'esempio di "quelli bravi".. ti sprona anche a saper connettere il linguaggio all'esperienza
Ecco su questo sono molto d'accordo e ne sento il continuo bisogno. Pochi brividi sono potenti come quello datoti da una storia quando ti si forma nella mente.
O di quando stai narrando quella storia a qualcun altro e capisci che l'altro la sta recependo.
Per fare questo però bisogna tenere allenata la fantasia, e non solo a livello ricettivo (saper appassionarsi a un film o a un libro) ma anche creativo, almeno per quanto mi riguarda.
Dekalog 5
#41
Inviato 28 maggio 2010 - 00:29
Premesso che tutte le forme d'arte sono nobili in quanto, per usare un clichè ab-abusato, sono cibo per la mente, ritengo impossibile metterle tutte sullo stesso piano, in quanto profondamente diverse. La recitazione ha qualcosa che la pittura non ha, e viceversa, così come per tutte le altre.
Io vedo il romanzo molto vicino al film.
Molto più facilmente grazie a un film, che non grazie ad un'opera teatrale, penso.In che modo Proust avrebbe potuto farci vedere Albertine non come individuo, ma come parte di un tutto indefinito, se non tramite un romanzo?
Il romanzo e il film hanno potenzialità enormi di rappresentazione, si possono muovere facilmente nello spazio e nel tempo (si può parlare di "montaggio" anche in un romanzo, ma nel teatro mi pare fatica), possono trasfigurare la realtà a loro piacimento, sono generi multiformi ed eversivi, e altamente contagiosi (nei confronti delle altre arti).
Il cinema usa oggetti e persone reali come significante, ma il fatto che siano proiettate e non del tutto vere (come invece sono gli attori di teatro), fa in modo che ci siano grandi possibilità sfruttabili in post-produzione (a partire dal "banale" montaggio, che è alla base del cinema). Questo è scontato, ma mi sembra in qualche modo un punto di contatto tra romanzi e film.
Grazie delle risposte comunque, pensavo che il topic sarebbe finito presto nel dimenticatoio
EDIT: Billybudapest, ti stai divertendo molto?
#42
Inviato 28 maggio 2010 - 00:31
#43
Inviato 28 maggio 2010 - 07:18
Tu paragoni il cinema ad un romanzo in quanto tutti e due hanno a che fare con il mondo. Su questo sono ovviamente d'accordo - d'altronde, la sceneggiatura cos'è se non un'opera letteraria? Tuttavia, ritengo la settima arte molto più vicina al teatro che non alla narrativa.
Ma il teatro e la letteratura hanno entrambi la stessa funzione (come il cinema o i fumetti del resto), vale a dire raccontare delle storie che hanno un inizio e una fine e che coinvolgono in genere almeno un personaggio (il protagonista).
Sono la poesia, la pittura, la scultura e la fotografia che, invece, non raccontano storie, a meno che i loro oggetti non vengano messi in una sequenza temporale.
#44
Inviato 28 maggio 2010 - 07:50
Perché conoscere gli altri ci aiuta a conoscere noi stessi.
Per dirla con Proust ??Ogni lettore, quando legge, legge se stesso. L'opera dello scrittore è soltanto una specie di strumento ottico che egli offre al lettore per permettergli di discernere quello che, senza libro, non avrebbe forse visto in se stesso.??
#45
Inviato 28 maggio 2010 - 08:10
@DarkAngel, StellaDanzante, etc.:
Non riesco a capire come fate a separare nettamente la poesia dal romanzo, quando poi accomunate quest'ultimo al cinema.
#46
Inviato 28 maggio 2010 - 09:13
??Ogni lettore, quando legge, legge se stesso. L'opera dello scrittore è soltanto una specie di strumento ottico che egli offre al lettore per permettergli di discernere quello che, senza libro, non avrebbe forse visto in se stesso.??
Stranamente non mi era venuta in mente questa frase. Proust dice sempre le cose in maniera perfetta. :-*
@DarkAngel, StellaDanzante, etc.:
Non riesco a capire come fate a separare nettamente la poesia dal romanzo, quando poi accomunate quest'ultimo al cinema.
Per certi versi mi sembra molto più simile al cinema, per la propensione alla narratività, perché al centro della vicenda stanno quasi sempre dei personaggi.
Ci sono innumerevoli trasposizioni di romanzi al cinema proprio perché i romanzi si adattano ad essere messi in immagini.
La poesia...boh. E' più musicale, misteriosa..
Anche i Carmi di Catullo, o il Canzoniere di Petrarca, raccontano una certa storia. Qualcuno dice che il Canzoniere è un romanzo in versi, ma la differenza con un romanzo è enorme.
#47
Inviato 28 maggio 2010 - 09:24
??Ogni lettore, quando legge, legge se stesso. L'opera dello scrittore è soltanto una specie di strumento ottico che egli offre al lettore per permettergli di discernere quello che, senza libro, non avrebbe forse visto in se stesso.??
Stranamente non mi era venuta in mente questa frase. Proust dice sempre le cose in maniera perfetta. :-*
senza contare ciò che, senza libro, non avrebbe visto in se stesso perchè, in effetti, non c'è.
#48
Inviato 28 maggio 2010 - 09:44
??Ogni lettore, quando legge, legge se stesso. L'opera dello scrittore è soltanto una specie di strumento ottico che egli offre al lettore per permettergli di discernere quello che, senza libro, non avrebbe forse visto in se stesso.??
Stranamente non mi era venuta in mente questa frase. Proust dice sempre le cose in maniera perfetta. :-*
Ci sono innumerevoli trasposizioni di romanzi al cinema proprio perché i romanzi si adattano ad essere messi in immagini.@DarkAngel, StellaDanzante, etc.:
Non riesco a capire come fate a separare nettamente la poesia dal romanzo, quando poi accomunate quest'ultimo al cinema.
Di primo acchito sì. Però la maggior parte delle trasposizioni cinematografiche che partono da un romanzo (mi) lasciano parecchio a desiderare. Parlo ovviamente della mia esperienza. Un romanzo non è una sceneggiatura "in potenza".
#49
Inviato 28 maggio 2010 - 09:49
@DarkAngel, StellaDanzante, etc.:
Non riesco a capire come fate a separare nettamente la poesia dal romanzo, quando poi accomunate quest'ultimo al cinema.
Semplice : la poesia non « rappresenta » nulla e non narra nessuna storia, è un'opera di linguaggio che resta sempre all'interno del linguaggio stesso.
Tieni presente che si tratta di distinzioni funzionali e non reali - un film può avere una forma esclusivamente poetica (come buona parte delle opere di Lynch), una poesia narrare direttamente dei fatti o degli eventi, ecc. Resta che la differenza tra una poesia di Mallarmé e un romanzo di Victor Hugo è immediatamente palpabile, e se leggi Baudelaire o Rimbaud sperando di trovarci delle storie dentro sarai certamente deluso.
#50
Inviato 28 maggio 2010 - 09:56
romanzi si adattano ad essere messi in immagini.
Di primo acchito sì. Però la maggior parte delle trasposizioni cinematografiche che partono da un romanzo (mi) lasciano parecchio a desiderare. Parlo ovviamente della mia esperienza. Un romanzo non è una sceneggiatura "in potenza".
Diciamo che è spesso possibile. Poi magari esce fuori il film schifo, ma se parliamo di romanzi non sperimentali, la possibilità c'è sempre.
Poi vabbè Jean-Marie Straub e Danièlc Huillet hanno fatto un film sui Dialoghi con Leucò, che non si presta granchè bene
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